Arrivo al Selous in aeroplano nella pista di terra di Mtemere e mi accoglie una bella pioggia a dirotto. Non c'è nemmeno una casetta o una baracca per i viaggiatori, solo un chiosco aperto ricavato alla buona sotto un grande albero. Vicino alla pista, un gruppo di facoceri ed un elefante che per poco non investiamo atterrando. Pazzesco. Ancora non so dove potrò alloggiare per un paio di notti, ma tanto ho il sacco a pelo dietro, male che va dormo sotto al chiosco, sperando però che i leoni siano clementi.
La pista sterrata dell'aeroporto di Mtemere nella riserva del Selous
In tutto lo sterminato Selous ci sono non più di quattro o cinque bellissimi lodge, ecochic e molto costosi, dato l'estremo isolamento del posto. A pochi km di distanza dalla pista di atterraggio però è presente un campo tendato in riva al fiume: è la sistemazione più economica e spartana dell'intera area. Chiedo un passaggio ad un camion e dopo mezzoretta di ballo attraverso una strada sterrata nella giungla più impenetrabile che costeggia il fiume, sono all'Hippo Camp.
Il posto è di una bellezza infinita, una serie di tende e baracche di legno adagiate in riva al fiume Rufiji circondate da una fitta foresta, con intorno ippopotami, coccodrilli e elefanti, una location selvaggia, primitiva, tribale da togliere il fiato ed quella bellissima sensazione di isolamento e magia che sempre ricerco quando sono in viaggio. Dormirò 2 notti in tenda in uno dei luoghi più remoti e romantici del pianeta, immerso nella natura più impenetrabile del Selous, senza la minima presenza umana. Ippopotami che si tuffano nel fiume ed elefanti a strappare foglie dai rami degli alberi fuori la tenda... Ed una voglia matta di rimanere lì per sempre.
L'Hippo camp visto dal fiume Rufiji
Incontro Benson, manager, cuoco e factotum del posto, gentilezza e disponibilità uniche. Siamo soli, nessun altro ospite è presente. Mi conferma anche lui che fin qui si spingono davvero in pochi. Benson fortunatamente parla inglese e la conversazione con lui è facile ed assai piacevole. Accendiamo un fuoco in riva al fiume e rimaniamo in estasi ad ammirare lo spettacolare tramonto sulle placide acque del Rufiji. Inizia il concerto intorno a noi. La natura canta. Impazzisco d'amore per lei, ora provo un senso di pace assoluto, di fusione e comunione con l'universo, puro benessere psicofisico. La perenne inquietudine che sempre mi accompagna svanisce. Solo madre natura ed il pianoforte riescono a farmi sentire così. In poco tempo la notte più buia ed impenetrabile si chiude sul Selous e la natura non canta più. Adesso urla a squarciagola. Tra due giorni sarò nel posto diametralmente opposto a questo, Dubai. Ad urlare a squarciagola saranno auto di lusso e condizionatori accesi in modalità frigorifero.
Benson fa un giro di chiamate con il suo vecchio telefonino Nokia, ma è un po' preoccupato. Dato lo scarsissimo afflusso turistico nella riserva, i safari si organizzano con anticipo e non può garantirmi di riuscire a trovare un fuoristrada disponibile per domani mattina... occorre infatti preparare il mezzo facendo tutti i controlli del caso perché si va in aree molto accidentate e remote, fare il pieno, preparare il pranzo al sacco ed avere dietro acqua in abbondanza. Sono fortunato: il mio angelo custode quando sono in viaggio, dà sempre il meglio di sé. Un ragazzo di nome Daniel del villaggio vicino di Mloka, ha un vecchio e piccolo fuoristrada 4x4 e si rende ben disponibile ad accompagnarmi attraverso lo sconfinato territorio del Selous. Appuntamento domani mattina ore 8.
Nel cuore della Tanzania meridionale, il Selous Game Reserve, rappresenta la più grande riserva faunistica d'Africa e del mondo, con una superficie di circa 55.000 kmq, circa 4 volte il Serengeti, più della Svizzera e poco meno dell'Austria. Dal 1982, l'area è patrimonio mondiale dell’Unesco. Ciononostante, è del tutto sconosciuta ai più, ancora totalmente intatta, ed assai poco battuta: qualche temerario come me in cerca di avventure e poco altro. La densità turistica è assolutamente ridicola e minimamente paragonabile a quella dei più noti e ben più costosi parchi del nord della Tanzania e del Kenya, anche a causa della presenza della mosca tse-tse che limita la presenza umana nella zona. La puntura dell'insetto causa un'infezione, la tipica malattia del sonno, davvero subdola perché una persona può essere infetta per mesi o anche anni senza mostrare alcun segno o problema; quando appaiono i sintomi più evidenti, il paziente si trova spesso in uno stadio avanzato della malattia che interessa il sistema nervosa centrale, con gravi problemi neurologici difficili da curare che portano spesso prima al coma e poi alla morte.
Benson mi dice che il rischio di esser punti in riva al fiume con acqua corrente e non stagnante, è davvero minimo, estremamente improbabile ma impossibile ovviamente da escludere. Nel villaggio di Mloka, a pochi chilometri di distanza, ci sono stati episodi in passato. E comunque sono più frequenti casi di malaria che di malattie del sonno. Andiamo bene. Mah... .Non voglio assolutamente ripetere l'esperienza dengue della Cambogia che mi ha lasciato strascichi per molto tempo. Pantaloni lunghi e maglia lunga, corpo totalmente coperto e spray antibestiacce a palla. Farò la sauna, ma preferisco soffrire un giorno che un anno, come successo la volta scorsa.
Ritratto di Frederick Selous durante un un safari africano nel 1890
Il Selous è gigantesco, ma soltanto una sua piccola parte a nord del fiume Rufiji è percorribile ed aperta al turismo dei safari fotografici. La parte rimanente a sud, circa l'80% della superficie complessiva, è praticamente inaccessibile e utilizzata esclusivamente fin dal 1905 come riserva di caccia grossa, i cui proventi vanno, forse, a finanziare la protezione di tutta l'area.
La natura dualistica e bipolare della riserva, protezione da una parte e caccia dall'altra, si rispecchia perfettamente nella persona che ha dato il nome al parco: Frederick Selous, personaggio inglese romantico che meriterebbe un post a parte, tanto è stata intensa la sua vita, tra esplorazioni, gare sportive, carriera militare e guerre, studi etnologici e mirabolanti imprese ed avventure. Vissuto a cavallo tra il 1800 ed il 1900 un tempo cacciatore di professione, Frederick Selous, capendo che la popolazione di elefanti in quella zona si stava riducendo sempre di più, anche per colpa sua, divenne in seguito un acceso conservazionista ed ambientalista. E' morto nel 1917, colpito a morte dai tedeschi durante la prima guerra mondiale, proprio sulle rive del fiume Rufiji.
La caccia regolamentata al Selous: si o no
Il Selous di fatto dunque è più una gigantesca riserva di caccia che un'area di protezione di specie a rischio. Ciò ovviamente costituisce un aspetto alquanto controverso e dibattuto. I sostenitori dell’attività venatoria sostengono che, senza la caccia regolamentata, la riserva sarebbe da tempo già stata presa d'assalto dai bracconieri, tanto è ricca di animali tra cui i ben ambiti "big five". La regolamentazione del settore invece assicura ingenti introiti che possono esser reinvestiti in progetti di protezione delle specie a rischio oltre ad esser anche la contromisura più efficace contro i cacciatori di frodo. Mah, il discorso mi convince poco. Mascherare barbare uccisioni con una finalità ambientalista... questo è troppo davvero. Qui si uccidono leoni, elefanti, giraffe, leopardi semplicemente per il piacere sadico di uccidere, fare una foto da pubblicare sui social e riportare il trofeo imbalsamato in patria. Un orrore per me che non ho una visione antropocentrica del mondo, tipica ad esempio della maggior parte delle religioni. Secondo tale logica, allora si potrebbe anche legalizzare la pedofilia, permettendo a qualche schifoso porco riccone di abusare di bambini, pagando poi un sacco di soldi per poi finanziare la lotta stessa alla pedofilia. A sfavore di questa tesi, poi ci sono proprio i numeri, che dimostrano il crollo nella presenza di alcune specie animali, come gli elefanti, per non parlare della quasi estinzione di altre, come il rinoceronte, quasi scomparso dal Selous. La popolazione di leoni in Tanzania è la maggiore del mondo, tuttavia si è dimezzata nell'ultimo paio di decenni e le aree di caccia guarda caso hanno proprio mostrato la riduzione più significativa. E' vero che la caccia nel Selous apporta grandi quantità di denaro alle casse del governo, ma è anche vero che l'inevitabile corruzione e l'indebitamento estero sempre maggiore, consentono di reinvestire solo una minima parte in progetti di conservazione e lotta ai bracconieri. La caccia dei leoni potrebbe esser sostenibile solo limitando le uccisioni a leoni anziani, non più in età riproduttiva e con cuccioli oramai adulti che non possono esser sbranati dal maschio di turno subentrante, il quale vuole garantirsi il proseguo della sua sola linea genetica. Gli studi mostrano che nel Selous dovrebbero esser uccisi al massimo un leone ogni 1000 kmq, mentre al momento il governo ne permette quasi 2. Sviluppare maggiormente nelle aree adibite a caccia, un turismo fotografico etico e responsabile, indubbiamente genererebbe molti più soldi ed opportunità di lavoro, contrasterebbe il bracconaggio e ridurrebbe anche l'afflusso turistico ai parchi del nord.
Siamo io e Benson a cena in un'atmosfera magica, direi surreale. In uno dei posti più remoti del mondo, buio totale, un paio di candele ed tanti galagoni, chiamati anche “bush babies” che ci girano attorno, piccoli primati che sono dappertutto e tentano anche di rubarti il cibo. I suoni del fiume ed il frastuono della foresta circostante. Un elefante che mangia foglie a poche decine di metri. La magia diventa estasi totale quando Benson caccia una bottiglia di vino che aveva da parte. E ricominciamo a parlare del tema più controverso del Selous. Mi dice che il nuovo presidente ha ridotto l'area di caccia, aumentato le taglie sugli animali e che per uccidere leoni o elefanti si paga carissimo. Così uccidere bestioni africani è sempre più una questione esclusiva ed elitaria. Lui non vuole sbilanciarsi, il tema è molto difficile da affrontare, ci sono esigenze contrapposte insanabili. La Tanzania d'altronde ha bisogno di valuta estera e l'uccisione di un leone o di uno dei “big five” porta decine di migliaia di dollari nelle casse dello stato. Di fronte al denaro siamo tutti impotenti dice Benson. Già. In un sistema capitalista, dove è il mercato a dettare le regole e non uno stato centrale secondo principi etici rispettosi dell'uomo e della natura, funziona così. Un sistema violento, genera inevitabilmente persone violente. Persone che devono soddisfare la propria voglia di sangue andando in Tanzania nel Selous ed ammazzare un giovane felino maschio con una bellissima criniera e farne la gioia più grande della propria vita. Tanto da piangere. Cordialmente e gentilmente, andate affanculo va.
Benson dice che la caccia regolamentata è un male necessario, è come il fenomeno della prostituzione. Bisogna accettarlo e scendere a compromessi. Il bracconaggio esiste e l'area da controllare è immensa. E' una battaglia persa in partenza: molto meglio regolamentare e permettere la caccia in alcune zone ed sotto strettissime condizioni, rendendola carissima e riutilizzando i proventi per il bene del parco. Mah... pur essendo totalmente favorevole alla legalizzazione sia delle droghe che della prostituzione, qui il caso è ben diverso. Tra l'altro, facta lex inventa fraus: le scappatoie utilizzate dalle agenzie di caccia turistica autorizzate dal governo sono tante ed alla fine si finisce sempre per uccidere più animali di quelli effettivamente consentiti. Non sono molto d'accordo con Benson, ma comunque rifletto sulle sue parole ed il beneficio del dubbio me lo concedo. Sono confuso. Il fine giustifica i mezzi? E' giusto consentire la caccia regolamentata per combattere il bracconaggio? Secondo me no. Capisco benissimo e posso anche condividere la caccia di specie non a rischio estinzione per esigenze alimentari, ma queste mostruosità faccio davvero fatica a comprenderle. E provo un enorme senso di repulsione e schifo per quelle persone che uccidono animali così nobili per puro e sadico piacere, abituate probabilmente nella vita privata a pensare di poter ottenere qualsiasi cosa pagando denaro. Americani e cinesi pieni di dollaroni, sceicchi arabi ed asiatici il cui più grande problema è come spendere la quantità infinita di denaro che hanno e così pagano decine di migliaia di dollari per uccidere un leone, un rinoceronte, un elefante e posare davanti a lui per poi scuoiarlo, decapitarlo e riportare il trofeo in patria mostrando orgogliosi al mondo la prova del loro coraggio. Il piacere gratuito della violenza. C'è qualcosa di deviato, sadico e malato in tutto ciò. Questi sono mostri. Rifiuti della società. Vermi. Parassiti.
Un'occhiata a questi siti per cacciatori di animali di grossa taglia nel Selous per rabbrividire ed inorridire. E capirmi. Capire l'odio e la rabbia delle mie parole, sicuramente forti.
www.discountafricanhunts.com/
www.africahunting.com//
Questi esseri disumani vomitevolmente immondi si mettono in posa di fronte a bufali, leopardi, leoni, zebre, rinoceronti addirittura, una specie che hanno quasi totalmente sterminato. Facile sparare eh? Perché non scendete e li affrontate a mani nude? Con un fucile in mano vi sentite padreterni. Il re della foresta è nudo di fronte a voi. Lo lisciate e lo pulite dal sangue, testa in primo piano ed un bel sorriso per la foto ricordo. Ma che bestie siete? Come si può gioire dell'uccisione di un animale così nobile magari pure in via d'estinzione, che nemmeno poi mangiate?
Ma non sono solo ricconi americani, cinesi ed arabi, con tanta voglia di sangue e tanti dollaroni in tasca. Anche europei, anche italiani. Mi sono imbattuto navigando in rete in un sito, www.montefeltro.com in cui un tal Luca B., narra le sue eroiche gesta di uccisione di un leone in Tanzania, la sua ossessione come la chiama. Piange di gioia e commozione quando vede il leone barcollare colpito a morte e cadere. Voi state male, ascoltatemi, fatevi vedere da qualche psichiatra. Ma non uno qualsiasi, deve esser davvero bravo. Un luminare.
Leggiamo insieme l'orrore di ciò che scrive:
«Accade, a volte, che l’oggetto di una passione si trasformi nel soggetto di un’ossessione che non lascia tregua, finché non viene, più o meno simbolicamente, esorcizzata attraverso la conquista».
E già basterebbe il pensiero così cervellotico e contorto di queste prime due righe per capire che qualche rotella fuori posto questo qui ce l'ha, eccome se ce l'ha. Continuiamo.
«Per me, dopo le più diverse cacce in Europa, Asia e Africa, la sfida irrinunciabile era ormai il leone. [... ] È per questo che sono venuto, dopo due anni di attesa, di frustrazioni e insuccessi. [... ]
Lascio partire il colpo con grande determinazione: sento risuonare come un tamburo la cassa toracica del felino, e un tremendo ruggito si leva nella grande pianura. Il leone si accascia, poi si rialza e riparte, offrendomi il posteriore... [... ] Con l’ultimo colpo lo centro sulla parte posteriore della groppa, immobilizzandolo al terreno [... ] Tutto si è compiuto in pochissimi istanti. Ancora non credo ai miei occhi che lascio riempire di lacrime, tanto con questa pioggia nessuno se ne accorge. [... ] un incubo è finito, mi sento leggero e vuoto come un palloncino fuggito di mano a un bambino. La mia caccia al leone è finita e “Simba” è a terra davanti a me. Sotto un basso cespuglio, gettato come uno straccio, c’è un piccolo di zebra con la spina dorsale spezzata da una terribile zampata. Sul terreno all’intorno, le tracce della tragedia consumatasi durante la notte».
Cioè fammi capire caro Luca, la tragedia secondo te è il piccolo di zebra sbranato dal leone, giusto? Secondo le più note e sacre, anche crudeli leggi della natura? La tragedia non sei tu che imbracci il fucile e vai in Africa per sparare al re della foresta? E che ti metti a piangere dalla commozione? O che ti senti “leggero e vuoto come un palloncino fuggito di mano ad un bambino”?
Tu e solo tu sei la tragedia caro Luca. Ripeto, fatti vedere da qualcuno bravo. Ma continuiamo pure.
«L’animale abbattuto, durante questa caccia al leone, è un maschio maturo con una bella gorgiera di peli fulvi e con poca criniera. Mi somiglia moltissimo: parafrasando la battuta di un famoso film sul Vietnam, è proprio il caso di dire: “come lui ce ne sono tanti ma questo è il “mio leone”. Ed è, comunque, la fine della mia ossessione.
Dopo il “kabubi”, la festa africana dedicata all’uccisore di “Simba”, ha luogo il solito rituale dopo l’abbattimento e la tensione di una caccia pericolosa: abbracci commossi, strette di mano e battute. Nel quotidiano rimane l’intensità dei ricordi del viaggio venatorio, la vertigine fisica ogni volta che guardi il trofeo e, come ora, il vuoto di quando senti di mancare da troppo tempo dall’Africa.»
No no, stattene in Italia che l'Africa può benissimo fare a meno di te.
La follia e la cattiveria dell'uomo non hanno proprio limiti. Il Trophy hunting non è comunque solo apprezzato dal testosterone maschile. Ci sono anche belle, affascinanti ed inquietanti rappresentanti del gentil sesso come l'italoamericana Sabrina Corgatelli, “theitalianhuntress”, che senza rimorso, senza un minimo di pietà, senza paura delle reazioni del web anzi godendoci dell'indignazione delle persone, pubblica sui social tutti i suoi trofei, simbolo secondo lei di eroismo e coraggio. Con tanto di frasi della genesi ovviamente manipolate a sua immagine e somiglianza per giustificare l'orrore.
Perché voi, cari lettori, non lo sapete e non potete immaginarlo, ma come sostiene la nota cacciatrice di trofei sudafricana Merelize Van Der Merwe “solo i cacciatori amano veramente gli animali”! Come trascorre San Valentino una donna normale? Una cenetta romantica al lume di candela seguita magari da una notte di passione con il suo innamorato giusto? Ed invece una donna malata di sangue come Merelize cosa cazzo fa? Uccide una vecchia giraffa per poi estrarre il grande cuore sanguinante del povero animale e donarlo con sincera estasi e commozione al marito come regalo per il 14 febbraio, ovviamente con tanto di macabre foto e video a documentare la violenza, che la sua mente malata e distorta invece vede come la più grande prova d'amore. Seguono poi ovviamente tutti gli insulti del caso agli ambientalisti scioccati, da lei considerati la vera mafia. Perché siamo noi ambientalisti di merda a non capire un cazzo. E' giusto "levar di torno quel vecchio maschio, così che un esemplare più giovane e forte possa irrobustire la specie”. Parole sue. La vecchia logica nazista, mi sembra. A mio avviso invece è giusto che la natura segua il suo corso e che passioni perverse come la sua debbano esser considerate illegali perché illegale deve esser considerata l'idea antropocentrica tutta religiosa e capitalista di superiorità dell'esser umano sulla natura che giustifica sempre i peggiori scempi ambientali. Questioni di punti di vista.
Ma soprattutto, volete uccidere perché la caccia grossa è la vostra passione? La legge ve lo permette? Bene, fatelo ma con un minimo di rispetto nei confronti della morte, non pubblicate sui social queste facce del cazzo sorridenti con lo scalpo dell'animale o in estasi con il cuore in mano delle bestie ancora agonizzanti. Perché davvero ferite altre persone che hanno sensibilità diversa.
Uccide giraffa e offre il cuore al marito come regalo di San Valentino (greenme.it).
Ogni tanto capita che qualche cacciatore faccia qualche cazzata grossa. Ma grossa grossa. E nemmeno paga penalmente: i killer si affidano infatti per i safari ad agenzie scaricando loro tutte le responsabilità e gli errori del caso. Spesso i "big hunters" sono cittadini americani, che come sappiamo se ne possono andar in giro per il mondo godendo di una sorta di immunità non concessa ad altri. Avendo un pozzo di soldi possono anche pagare i migliori avvocati e spesso le questioni si risolvono con qualche banale multa di decine di migliaia di euro. Bruscolini per loro. Centesimi. Ne hanno pagati magari 60 o 70.000 per partecipare alla caccia ed uccidere un rinoceronte o un elefante, figurati se non possono pagarne altrettanti per una multa dovuta ad un'eventuale uccisione oltre i confini del parco. Magari pagano in termini di visibilità mediatica e di sputtanamento agli occhi del mondo. Ma a loro non gliene fotte proprio un cazzo e continuano a scaricare piombo su animali in via d'estinzione. Come nel caso, famosissimo, del dentista del Minnesota Walter Palmer, che tuttora quando torna a lavoro ha di fronte all'ingresso del suo studio peluches di leoncini messi da cittadini ed associazioni ambientaliste. Cosa ha combinato questo dentista? Scioccando l’opinione pubblica internazionale, nel 2015 ha ucciso con arco e frecce il leone Cecil. Ha pagato ufficialmente 55.000 dollari per farlo, probabilmente altrettanti corrompendo anche funzionari del parco e guide di caccia per avere il suo scalpo. Il leone di 13 anni, è stato attirato con esche fuori dall'area protetta e colpito con le punte avvelenate. Il felino è morto solo 40 ore più tardi, finito con una fucilata quando i cacciatori, dopo una lunga ed eccitante ricerca, lo hanno rintracciato ancora agonizzante sotto un cespuglio nel bush. Ovviamente lo hanno poi scuoiato e decapitato. La foto di rito prima di tutto. Ed a seguire, coltello affilato e barbara operazione stile ISIS per l'ambito trofeo.
Uccidere un leone con cuccioli ha però conseguenze gravissime sulla linea di successione perché il leone più anziano che subentra, ucciderà tutti i figli del vecchio capobranco morto per poter innestare la propria linea di sangue. Una tragedia sopra la tragedia. Come sempre accade quando si alterano i sacri equilibri di madre natura.
Non contento, quella bestia immonda di Palmer dopo aver ucciso Cecil, voleva uccidere anche un elefante con una zanna da almeno una trentina di chili; ma, come riferito dalla sua stessa guida di caccia, non ne ha trovato uno grande abbastanza e ha rinunciato, anche perché doveva rientrare in patria visto che l'indignazione mediatica stava salendo esponenzialmente. Cecil infatti non era un leone qualsiasi. Era Mufasa, il Re leone dello Zimbabwe. Era il più famoso animale nonché principale attrazione del parco nazionale Hwange e simbolo indiscusso della stessa nazione africana. Tutti conoscevano Cecil, un bellissimo leone maschio con una rarissima criniera nera anziché marrone; era ben monitorato mediante gps ed il suo era un caso oggetto di studio da parte di ricercatori dell'università di Oxford. A causa della sua fama, Cecil era ben abituato alla presenza di esseri umani; le persone nei safari potevano arrivare anche a poche decine di metri da lui per fotografarlo ed ammirarlo senza farlo innervosire particolarmente; la leggenda del re leone dello Zimbabwe richiamava turisti nella riserva ed era una notevole fonte di guadagno per il parco. Un disastro.
Cecil viveva in un branco con i suoi cuccioli e tre leonesse, insieme ad un altro maschio solitario di nome Jericho. Fortunatamente dopo l'uccisione di Cecil, Jericho ha accettato i suoi cuccioli e la storia non ha avuto l'epilogo drammatico che tutti i ricercatori e gli studiosi pensavano avesse. Ad uccidere i figli di Cecil ci penseranno in seguito i cacciatori ed i bracconieri.
Palmer ha ucciso il simbolo dello Zimbabwe con il lasciapassare probabile di guide di caccia corrotte e coperte di denaro che così si sono sistemate a vita. La giustizia ha fatto il suo corso, nessuno ha pagato per il crimine commesso e nessuno pagherà. Il caso è chiuso perché le pressioni del governo USA per proteggere il boia del Minnesota ed i suoi superavvocati col pelo sullo stomaco, sono troppo potenti per il povero staterello squattrinato dello Zimbabwe. Tutto finisce nel dimenticatoio. Ed i crimini contro madre natura continuano e continueranno.
Cecil è solo la punta dell’iceberg, il caso noto a tutto il mondo. Della sessantina di leoni che hanno preso parte allo studio dell’università di Oxford, una buona metà sono morti uccisi dai cacciatori, incluso Xanda, figlio di Cecil che incontrò un destino simile a quello del padre solo due anni dopo, nel 2017. Otra vez. La storia si ripete come al solito sempre uguale.
Walter Palmer, è un criminale recidivo. Basta fare una googlata per vederlo, prima e dopo l'uccisione di Cecil, ben sorridente in posa fotografica con i trofei più ambiti: rinoceronti, leopardi, zebre, bufali... Tutto sempre nella legalità. O meglio, non sempre, perché in passato aveva ricevuto condanne per bracconaggio di orsi e corruzione. Questa bestia umana continua imperterrita a corrompere guardaparchi per uccidere illegalmente quando non può farlo nel rispetto della legge. I trofei più ambiti d'altronde sono quelli quasi impossibili da avere, quelli di animali rarissimi ed intoccabili. La sua sete di uccidere specie protette è inarrestabile: recentemente è arrivato fino in Mongolia per uccidere il più grande montone selvatico del mondo, l'Altai Argali. Ha pagato 90.000 dollari per far secco un altro esemplare di un bellissimo animale a rischio estinzione che non poteva uccidere. Pubblicando ovviamente in seguito le foto ed i soliti discorsi di struggente e commossa emozione del solito sogno che si avvera. Ma vattene affanculo, stronzo pezzo di merda schifoso.
Non c'è nulla da fare. Contro queste persone si può fare ben poco. La fanno sempre franca. Purtroppo troppi sono i dollaroni che girano dietro a tale settore: l'attività venatoria è praticata da persone con un pozzo di soldi che paradossalmente non infrangono alcuna legge, in luoghi dove la povertà è estrema e la corruzione dilaga. Il meccanismo sacrosanto di redistribuzione della ricchezza purtroppo avviene a danno dell'ambiente e della fauna protetta. Solo un intervento normativo internazionale può far cambiare seriamente le cose, ad esempio bloccando l'importazione di trofei di caccia in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti dove il problema è maggiore perché il numero di paperoni è notevole e grande è la cultura di armi, guerra e violenza; anche le compagnie aeree potrebbero scegliere di non imbarcare più “le prove dell'infinito coraggio” di hunter e huntress nelle stive.
Tranquilli, ho concluso il mio sfogo sulla caccia legalizzata di animali di specie a rischio. E già immagino bene le obiezioni che la maggior parte dei lettori farà a tutte queste mie divagazioni:
«Ogni giorno muoiono bambini di fame, uccisi in guerra, violentati magari nei modi più barbari e noi dobbiamo piangere un vecchio leone della savana? Offendi persone con toni così scurrili e davvero inqualificabili soltanto perché il loro hobby è uccidere animali?».
Osservazione impeccabile, poco intelligente a mio avviso ma ci sta.
Non ho scordato ovviamente le guerre ed i bambini che muoiono di fame, né sto mettendo sullo stesso piano i due problemi. Certo che no. Ma io in questo post sto parlando del crimine commesso contro animali a rischio estinzione. Gli argomenti sono totalmente diversi. Le guerre, le carestie e la fame nel mondo sono fenomeni complessi di fronte ai quali oggettivamente siamo per larga parte impotenti, fenomeni complessi che io, comunque, mai mi stanco di condannare attaccando l'unica vera causa di tutto, il sistema capitalista. Cos'altro posso fare per evitare che un bambino cambogiano in questo istante salti sopra una mina disseminata dai soldati americani decenni fa nella sua campagna? Io sono a San Benedetto del Tronto e lui è in qualche campo vicino Phnom Penh. L'unico strumento che ho è questo blog, l'unica arma è la scrittura, per mostrare gli orrori della guerra e contribuire nel mio piccolo alla creazione di una cultura di pace, di fratellanza e solidarietà tra popoli, di rispetto dell'uomo e della natura. In questo post sto parlando di un'altra cosa. Sto parlando di malati mentali, di coglioni perversi che devono pagare. Punto. Parliamo di sadici, di idioti che scaricano piombo o frecce avvelenate su animali a rischio estinzione per fare un selfie da far vedere in un barbecue con amici e mostrare il loro presunto coraggio. Tutto ciò è decisamente un qualcosa di più contenuto, stupido, assai meno grave di un bambino che muore in guerra. Vero, ma comunque è cattiveria inutile, gratuita ed aggiungerei, ugualmente insopportabile. Mi scontro e lotto sempre contro il male. Qualunque forma esso abbia. Non sopporto la cattiveria soprattutto quando questa è “gratuita”, fine a se stessa e rincorre una forma perversa di piacere. Chi uccide un leone e ride compiaciuto di fronte al suo cadavere, sapendo che è una specie a rischio, per me è una persona cattiva nell'animo e perversa nella psiche che sarebbe in grado di fare la stessa cosa ad un essere umano. E per quanto riguarda la scurrilità, lo avevo anticipato in home page: il blog è politicamente scorretto e fa uso di un linguaggio volutamente colorito per svegliare le coscienze e stimolare riflessioni. Frega un cazzo dei perbenisti. Oltre al fatto che io scrivo esattamente come parlo. Riflettendo poco. Tutto istinto. Se urto la sensibilità di qualcuno me ne scuso. Anzi, anche no.
Safari al Selous Game Reserve
La mattina alle 8 passa Daniel. Partiamo subito? Macché. Viaggi non organizzati implicano imprevisti e contrattempi continui. La sua piccola jeep ha dei problemi e non possiamo rischiare in nessun modo di rimanere in panne in mezzo ai leoni del Selous. Riparare il problema al radiatore che si stacca in continuazione, richiederà due ore buone di duro lavoro, ma alla fine, neri come il carbone e sporchi di grasso, riusciremo a rianimare il moribondo.
Mi sa tanto che non si parte...
Si parte, sperando che il fil di ferro resista alle sollecitazioni ed al calore del motore. Verso le 10.30 entriamo nella riserva, nel gate d'ingresso di Mtemere a fianco della pista sterrata d'atterraggio. Solo noi ed un paio di guardaparchi con nessuna voglia di lavorare. Registrare il mio nome all'ingresso ed effettuare il pagamento elettronico di un centinaio di dollari, richiederà una buona ventina di minuti. Nelle aree protette tanzaniane, il pagamento deve esser fatto sempre mediante carta di credito per evitare la corruzione; il problema è che la linea è sempre molto debole o manca del tutto, dunque i tempi d'attesa sono notevoli; cosa vista e sperimentata anche nell'isola di Mafia per l'ingresso al parco marino di Utende. Pazienza ed “akuna matata”, questo è l'ultimo dei problemi. La vera incognita invece è il radiatore, speriamo che resista. Non ho un altro giorno disponibile per fare il safari in questa riserva, domani riparto per l'Italia via Dubai.
Ingresso alla riserva del Selous nel Gate Mtemere, di fianco la pista d'atterraggio
La jeep farà egregiamente il suo dovere ed io e Daniel trascorreremo l’intera giornata in safari a goderci gli animali e gli splendidi paesaggi del Selous senza incontrare nessun altro fuoristrada: questo parco è davvero molto meno battuto rispetto a quelli del nord ma quanto a bellezza ha poco da invidiargli. Usciamo dalle strade sterrate principali e ci addentriamo in mezzo alla vegetazione, potendo così osservare la fauna da una distanza molto ravvicinata: gli animali spesso scappano perché sono poco abituati alla presenza di turisti.
Sotto ad un baobab gigante del Selous
La riserva del Selous, attraversata dal fiume Rufiji che sfocia proprio davanti l'isola di Mafia, è davvero un universo selvaggio di struggente bellezza e grande varietà: i suoi caratteristici paesaggi fluviali e lacustri con paludi e stagni tra i meandri del fiume Rufiji infestato di coccodrilli, lasciano il posto a fitte foreste di miombo ed alla savana pianeggiante con il suo bush e le sue tipiche acacie ad ombrello. Sono presenti anche gole e canyon profondi. Spesso scendiamo dalla jeep per ammirare la maestosità dei baobab, per vedere gli enormi scheletri di ippopotami e giraffe oppure per cercare animali vicino al fiume, sempre facendo ben attenzione a mantenere una distanza di sicurezza di 4-5 metri dalla riva: i coccodrilli sono ovunque ed hanno una rapidità di attacco pazzesca. Diventi cibo ed entri a far parte del “cerchio della vita” che nemmeno te ne accorgi.
Un coccodrillo gigante sulla riva del fiume Rufiji
Anche se il numero degli animali nel tempo è andato diminuendo per via del bracconaggio e della caccia legalizzata, poche riserve e parchi nazionali possono tenere il confronto, in Africa, con la Selous Game Reserve. La quantità di animali è ancora notevole, in alcuni casi come giraffe, elefanti, licaoni, ippopotami e coccodrilli, addirittura sbalorditiva con numeri e concentrazioni superiori a quelle di qualsiasi altra area protetta africana. Un tempo, la riserva ospitava la maggior concentrazione di elefanti di tutta l’Africa, con circa 110.000 esemplari, oggi comunque ne rimangono ben 60.000! Ci sono anche 130.000 bufali, 200.000 giraffe e 40.000 ippopotami oltre al maggior numero di licaoni al mondo, 1300 esemplari corrispondenti ad una buona metà dell'intera popolazione mondiale: la savana del sud della Tanzania offre per il cane selvatico africano, il predatore più raro in assoluto quasi sull'orlo dell'estinzione, un habitat ideale perché la presenza della mosca tse-tse impedisce la colonizzazione umana.
Elefante nella savana del Selous
Non mancano poi nel Selous, svariati tipi di antilopi e gazzelle, decine di migliaia di gnu, il rarissimo rinoceronte nero, i grandi predatori come leoni, leopardi e ghepardi ed i saprofagi per antonomasia come le iene e gli avvoltoi. Circa 450 le specie di uccelli oltre a primati come scimmie e babbuini. Insomma, nel Selous ci sono tutti ma proprio tutti gli animali che uno può desiderare di vedere in un safari africano, anche se ovviamente la frequenza e la probabilità degli avvistamenti variano da specie a specie. Se giraffe, gazzelle ed antilopi, elefanti, zebre, gnu, facoceri sono ovunque e ben presto nemmeno ti giri più a guardarli, ovviamente per licaoni e rinoceronti neri, ben più rari, le chances di avvistamento saranno piuttosto esigue.
Le numerosissime giraffe del Selous, fotografate con la mia tecnica (obiettivo smartphone su obiettivo del binocolo)
L'obiettivo principale di ogni safari che si rispetti però è lui. Il re della foresta. Nel Selous ci sono ottime probabilità di avvistamento, circa 3500 leoni corrispondenti alla metà dell'intera popolazione felina della Tanzania. Ci avviciniamo con la jeep totalmente aperta a distanza davvero assurda da un leone maschio ed una leonessa che dormono sotto un cespuglio. Si svegliano ed alzano la testa controllando i nostri movimenti. Spegniamo il motore. Scelta rischiosa, che da un lato tranquillizza gli animali, dall'altro lato aumenta i tempi di fuga in caso di attacco. Sempre ovviamente se la jeep riparte, cosa non scontata visto i problemi che abbiamo avuto questa mattina. Immagina cazzo, se la macchina decidesse di non riaccendersi proprio ora... E se Mufasa e Sarabi caricano? Che gli raccontiamo? Siamo a non più di 4 metri da loro. Silenzio tombale. Sentiamo i loro respiri e loro sentono i nostri. Io sono a sbalzo sulla jeep per scattare una foto il più vicino possibile, prontissimo a rientrare al minimo accenno di movimento dell'animale. Daniel a bassa voce mi dice di stare molto attento: il leone mi sta studiando, un passo falso e attacca. E' successo altre volte con persone che si sono prese un bello spavento. Ci fissiamo, un paio di minuti che sembrano l'eternità. I suoi occhi verde chiaro dentro ad i miei occhi verde scuro. Madonna che emozione. Il silenzio e l'infinito nelle nostre iridi che si incontrano per un incredibile scambio quantistico di energia. Mi scoppia il cuore dalla gioia e dall'emozione.
Mi illumino d'immenso
Un movimento dolce e lento mi riporta seduto al sicuro dentro la jeep. Ci allontaniamo lentamente ed i leoni come se nulla fosse accaduto, riprendono a dormire.
Spesso ripenso a quei secondi infiniti. A quella scarica d'energia pazzesca. Negli ultimi mesi, quando dovevo fare scelte dolorose e trovare il coraggio di cambiare cose molto importanti della mia vita, ho ripensato spesso a quegli occhi, a quegli istanti magici ed interminabili. Quel leone e quegli occhi mi hanno rubato l'anima. Mi hanno donato la forza ed il coraggio di cui avevo bisogno.
E' incredibile, ma ci sono invece persone al mondo che avrebbero desiderato ficcare una pallottola o una freccia avvelenata nel cuore di quel magnifico esemplare, “facendo risuonare come un tamburo la cassa toracica del felino” per poi gioire, piangere di commozione e sentirsi “leggero e vuoto come un palloncino fuggito di mano ad un bambino”. Va vaffanculo va. A te ed a tutti i Walter Palmer e le Merelize strappacuori del mondo. Frederick Selous si è redento. Fatelo anche voi.
Ogni tanto, nella strada principale, incrociamo qualche grosso camion. Mi stupisco di vedere mezzi da lavoro così impattanti in una riserva remota e selvaggia come questa e chiedo spiegazioni a Daniel. La risposta mi rattrista profondamente. Il governo della Tanzania ha avviato un progetto idroelettrico da 2 GW di potenza elettrica sul fiume Rufiji nella gola di Stiegler, in piena riserva: un ecomostro di cemento alto 130 metri e largo 700 che inonderà un'area pari a circa il 3% dell'intero territorio ed avrà con tutta probabilità un impatto devastante ed irreversibile sul prezioso ecosistema del Selous. Molti mezzi sono al lavoro per costruire le linee elettriche di connessione e sgomberare i 1500 kmq di terreno abbattendo la bellezza di 3 milioni di alberi. È innegabile che la Tanzania abbia bisogno di energia elettrica per far crescere la propria economia e migliorare le condizioni di vita delle persone. Basti pensare che solo il dieci per cento della popolazione è connessa alla rete elettrica nazionale. Ma questa non è la strada. La perdita di parte della preziosa riserva naturale del Selous, è un prezzo da pagare davvero troppo alto e potrebbe addirittura portare al ritiro dello status di Patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco. Incredibile dal mio punto di vista come ancora si possano solamente concepire progetti del genere, in barba non solo ad ogni considerazione ambientale ma anche meramente economica. Secondo gli esperti, il costo complessivo di quest'opera, senza considerare le esternalità, potrebbe lievitare dai 4 preventivati inizialmente fino a ben 10 miliardi di dollari. In un paese dove l'irraggiamento solare è altissimo, dove un kW di fotovoltaico istallato genera ben 2000 kWh di energia elettrica annui, sarebbe molto più facile, economico, immediatamente realizzabile in tempi rapidissimi e con minimo impatto ambientale, realizzare tanti progetti di piccola e media taglia diffusi sul territorio e vicino ai centri di utilizzo anziché grossi ed impattanti progetti centralizzati; un mix di eolico, solare fotovoltaico, solare termodinamico, biogas e sistemi d'accumulo creando lavoro qualificato e coscienza ambientale.
Ippopotami sul fiume Rufiji durante il "boat safari"
Torniamo all'Hippo Camp verso le 6 di pomeriggio, giusto in tempo per proseguire il safari in barca, un'oretta sulle torbide acque del Rufiji e le sue rive melmose all'osservazione di coccodrilli ed ippopotami, insetti, ragni giganti ed uccelli. Con Daniel ci diamo appuntamento domani mattina molto presto. Alle 6, uno sgarrupatissimo pullman dal villaggio vicino di Mloka, ci riporterà entrambi a Dar Es Salaam; il viaggio della speranza, 10.000 scellini, l'equivalente di 3 euro per fare 250 km circa in 7-8 interminabili ore di sofferenza, ammassati come sardine con persone e bestie. Sperando di partire e di arrivare. Non è assolutamente scontato.
Il Selous mi regalerà un altro tramonto mozzafiato, un altro fuoco in riva al fiume ed un'altra bottiglia di vino con Benson, parlando ore dei massimi sistemi, dei grandi misteri della vita e dell'universo. Addio Benson. Torno in Italia. Torno dal mio pianoforte. Mi manca da impazzire.
Che posto incredibile il Selous: autentico, di struggente bellezza e romanticismo, economico, sconosciuto e poco frequentato, selvaggio, paesaggisticamente vario, raggiungibile in pullman da Dar Es Salaam a quattro soldi anche se il viaggio è per pochi viaggiatori ben scafati. Se dovessi scegliere oggi di rifare un safari in Tanzania, non avrei dubbi. Selous 10.000 volte. Serengeti e soprattutto Ngorongoro sono fantasmagorici, ma fantasmagorici sono anche i costi. Il Selous ha un rapporto qualità prezzo imbattibile. Davvero una bellissima sorpresa.
Attacco di leoni in un villaggio del Selous
Sveglia alle 5. Un paio di km di marcia a piedi nella foresta mi separano dal villaggio di Mloka dove alle 6 parte, o meglio dovrebbe partire, il pullman. Mezzo assonnato costeggio il fiume nella penombra; mentalmente saluto per sempre il Selous, il quale ricambia mostrandomi in cammino due grandi ippopotami fuori dall'acqua ed un'elefante. Ovviamente lo scassato pullman programmato per le 6 partirà soltanto un paio d'ore più tardi. Ma va bene così. Almeno parte, già è tanto. Ho così tempo per visitare un tipico villaggio del Selous appena fuori la riserva. Praticamente 4 baracche di legno, mattoni, fango e paglia, allineate lungo la strada principale di terra rossa. Poverissimo, ma con una scuola. Ed addirittura un Grand Hotel 5 stelle, il Kwa Mungu Hotel. Del tipo un paio di dollari a notte per pernottare, tifo e colera inclusi nel prezzo, non so dirvi però se in mezza o pensione completa: opzione più economica possibile per dormire al Selous, in un vero safari africano. Stranamente non è su booking.com. Globetrotter squattrinati di tutto il mondo, prendete nota! A Mloka sono tutti molto gentili e sorridenti con me: qui vedere un bianco è davvero una rarità. I pochi viaggiatori che si spingono fino al Selous arrivano e partono in aeroplano, nessuno arriva al villaggio, il viaggio in pullman è davvero troppo scomodo e rischioso; tra l'altro reperire informazioni su quando, dove e come parte il mezzo non è assolutamente facile.
Vedo tanti bambini vestiti in divisa che convergono verso le aule. Molti vengono a piedi dai villaggi vicini, attraversando territori dove il rischio di attacco leoni è altissimo. Approfitto per visitare la scuola. Classi pollaio, poche sedie e banchi, la maggior parte dei bambini siede per terra, libri e quaderni manco a parlarne. Viva il liberismo economico. Gli scolaretti tutti emozionatissimi nel vedermi, ma nessuno parla inglese, la scuola pubblica è in swahili. La maestra, una graziosa e gentilissima ragazza locale, mi guida nella visita e mi spiega il funzionamento della loro scuola primaria. Tutte cose che già conoscevo avendo studiato il sistema educativo tanzaniano nell'isola di Mafia. Ma la conferma è sempre cosa buona e giusta. Mi mostra orgogliosa i risultati che hanno nonostante la cronica assenza di fondi. Che entusiasmo! Mi inchino di fronte a lei. Fare scuola in quelle condizioni e comunque continuare ad esser ottimisti è da eroi. Sono davvero illuminanti questi discorsi per me. E' anche così, in viaggio, che si forma il mio pensiero ideologico e politico. Libri e viaggi, verifica di quanto letto, conoscenza della storia ed osservazione profonda della realtà. E si giunge inevitabilmente alla conclusione che un'unione mondiale di stati socialisti indipendenti è l'unica soluzione possibile ai gravi problemi che affliggono il pianeta terra.
Bus per Dar Es Salaam da Mloka
Il pullman accende i motori. Partirà verso le 8, fermandosi ogni minuto per caricare di tutto e di più. Il mondo e quell'altro. Non c'è un solo centimetro cubo libero, un'incredibile ed inverosimile fusione di uomini, donne in burqa nero, donne tanzaniane in vestiti coloratissimi, galline spelacchiate, pacchi e pacchetti, valigie, cassette di cibo, taniche d'acqua... Tutti compressi come sardine ed il pullman che balla percorrendo strade sterrate in mezzo alla giungla. Ad ogni buca sembra che il mezzo di apra in due, le molle fuoriescono dal sedile e ti perforano la pelle. Cedo il posto ad una donna con un bambino tra le braccia e mi sparo tutto il viaggio in piedi. Un'autentica sofferenza. Un'odissea. Tutti i finestrini sono aperti, non si respira. Dopo solo una mezzora di viaggio avremmo fatto sì e no una manciata di km, sempre fermi a raccogliere qualcosa o qualcuno. Salgono straccioni, masai con i loro scialli ed inquietanti lance dalla punta affilata e coltelloni giganti in cintura stile machete. Strano, fino ad ora non avevo mai visto masai armati, sono allevatori non guerrieri. Sto parlottando con Daniel del più e del meno quando il mezzo si ferma. Siamo vicini al villaggio di Ngorongo, una decina di capanne di numero ed un centinaio di persone, quando accade l'impensabile. C'è una mandria di vacche al pascolo ed i masai con archi e lance le controllano ben attente. Sembra di stare dentro un documentario della National Geographic. Improvvisamente dentro al pullman delle persone cominciano ad urlare. Simba, Simba! Daniel scatta in piedi, le vacche si agitano. Dei leoni hanno adocchiato la mandria e stanno provando ad attaccare. Pazzesco. I masai cercano di proteggere le vacche guidandole verso il recinto agitando il machete con la mano destra e la lancia con la mano sinistra, urlando a squarciagola per spaventare i felini che alla fine si allontanano. Ora ho capito perché sono armati! Daniel mi dice che nel villaggio di Ngorongo gli attacchi sono frequenti, negli ultimi 5 anni i leoni hanno ucciso e sbranato ben 40 persone, soprattutto i soggetti più deboli ed indifesi, ovvero vecchi e bambini, alcuni dei quali andavano a scuola a Mloka. Daniel mi racconta un particolare macabro. I leoni mangiano ogni parte del corpo umano, ma non la testa. Non toccano nulla della testa, nemmeno le parti carnose come le guance. A lui è capitato ben 3 volte di vedere corpi totalmente sbranati con il solo scheletro rimanente ma la testa delle persone totalmente immacolata. Brividi.
Arrivo a Dar Es Salaam stremato, saluto Daniel con affetto e via, subito all'aeroporto. Passerò in poche ore dal villaggio di Ngorongo dove i leoni sbranano vecchi e bambini, all'inferno di Dubai dove sceicchi arabi immensamente ricchi sbranano e sfruttano all'inverosimile la manodopera senegalese e bengalese, nel folle mito tutto ultracapitalista della crescita infinita. Appoggio le pitture di Jaguar su un tavolino di un chioschetto e mi scolo l'ultima birra della Tanzania. Una Serengeti alla calata, ripensando sbalordito a queste ultime, incredibili tre settimane di viaggio.
Torno a Roma via Dubai con le tele di Jaguar... ultima birra Serengeti nel chioschetto dell'aeroporto