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La valle di Kathmandu

Kathmandu... il solo nome evoca magia, stupore, mistero e spiritualità; mette i brividi a qualsiasi viaggiatore incallito perché è associato alle vette imbiancate dell'Himalaya, ai portatori sherpa, a monasteri e monaci tibetani, a stupa e monumenti buddhisti... L'arrivo nella capitale politica, economica e culturale nepalese invece è davvero un bruttissimo shock, soprattutto per me che vengo da 12 giorni di trekking spaccagambe nel Khumbu tra paesaggi montani di inimmaginabile bellezza: se si vuole visitare il paradiso dell'Himalaya, è infatti necessario ed inevitabile transitare per quest'inferno.

Situata in una zona collinare a 1350 metri d'altitudine alla confluenza dei fiumi Bagmati e Bishnumati, Kathmandu è la città con meno di un milione di abitanti più inquinata del mondo. Lo scenario è tutt'altro che bucolico: cumuli d'immondizia, mendicanti ed accattoni, fiumiciattoli quasi privi di acqua ma pieni di spazzatura, cani randagi e vacche che vagano, edifici fatiscenti con i cavi dell'energia elettrica aggrovigliati sopra ai pali di legno a formare matasse nere inestricabili... un generale senso di degrado, sporcizia ed abbandono presente ovunque, ma soprattutto un'aria irrespirabile a causa del puzzo di vecchissimi veicoli a motore.

Tornare qui dopo 12 giorni di emozioni estreme nell'incontaminato Parco Nazionale Sagarmatha, mi fa riflettere sul significato dell’ovvio: l'invenzione della ruota ed il fascino della solitudine e del silenzio. Da Lukla al Campo Base dell'Everest non esistono macchine e moto, autobus e camion, bici e risciò, carriole e carretti, trattori e ruspe, anche semplici trolley... tutto viene trasportato a mano dagli sherpa e gli unici suoni che si sentono sono il vento ed i campanacci degli yak. Nella rumorosissima Kathmandu al contrario tutto è ruota e tutto rotola, con i motorini strombazzanti che fanno la parte da leone del trasporto su gomma, come del resto in tutte le città asiatiche. Il traffico ed il frastuono sono insopportabili e guastano totalmente l'atmosfera ed il piacere della visita.

Il posto in sé, in realtà sarebbe davvero bello ed affascinante perché i monumenti sono magnifici e la città conserva ancora zone che sembrano appena uscite dal medioevo, anche se meno rispetto a Bhacktapur o Changu Narayan. Purtroppo però non è mai stata intrapresa una vera politica di limitazione del traffico e dell'inquinamento, tanto meno di salvaguardia del suo sconfinato patrimonio artistico, per la quale ad onor del vero, non basterebbe l'intero budget nazionale del Nepal.

Groviglio di cavi elettrici nel centro di Kathmandu

Come quasi sempre faccio quando arrivo in un posto nuovo e le distanze da coprire lo permettono, affitto una bicicletta. La trovo, piuttosto scassata, nel quartiere animato molto commerciale e turistico di Thamel, la zona più vivace della città per la presenza di hotel per tutte le tasche, ristorantini e locali notturni, negozietti d'artigianato ed attrezzatura da trekking, mercati e caratteristiche bancarelle. Thamel è un concentrato di palazzi decadenti, odori di street food, puzzo di smog di motorini, umanità più o meno disperata che vaga e merce esposta di ogni tipo... un po' per capirci la Khosan Road di Bangkok. Scappo via immediatamente, andando a cercare la Kathmandu più vera ed autentica.

Quartiere Thamel nel centro di Kathmandu

Girare a Kathmandu in bici è comunque, davvero un atto di puro masochismo, a causa dell'inquinamento e dei saliscendi presenti, delle voragini che si aprono nelle strade e della guida sconsiderata delle persone: in Nepal addirittura non esiste un codice della strada! E così, cercando di sopravvivere ai pirati dell'asfalto, comincio a pedalare per tutta la cittadina e la sua valle. Rendendomi subito conto di una cosa: la popolazione è poverissima.

Povertà, terremoti, religione e capitalismo

Il Nepal è tra i paesi più poveri e meno sviluppati del mondo, con circa la metà della popolazione disoccupata che vive sotto la soglia di povertà, un quarto addirittura sotto la povertà estrema ed un reddito medio pro-capite che supera di poco il migliaio di dollari all'anno. Oltre il 40% dei bambini in età prescolare soffre di ritardi nella crescita a causa della denutrizione, e più di un terzo delle persone ancora oggi non sa né leggere né scrivere, percentuale che supera però il 50% nelle donne. Insomma, dati quasi da Africa nera. Nelle aree rurali spesso non vi è accesso all’istruzione, all’acqua potabile e ad altri servizi di base come l'energia elettrica e ciò aumenta la pressione migratoria verso le aree urbane, già carenti sotto tutti i punti di vista.

Le cause di tutto ciò sono diverse: indubbiamente l'instabilità politica e l'alto livello di corruzione giocano oggi un ruolo importante, cosiccome l'arretratezza cronica, i ritardi tecnologici ed infrastrutturali dovuti anche ad una storia di conquista e perenne sottomissione all'imperialismo occidentale. Le colpe maggiori però le hanno come sempre un modello economico infernale che esponenzializza le differenze economiche, una globalizzazione che ha imposto stili di vita e valori totalmente alieni al popolo, ed anche la religione induista, il grande "oppiaceo marxiano" del popolo nepalese, funzionale all'eliminazione di qualsiasi slancio rivoluzionario negli oppressi, al mantenimento dei privilegi dei pochi e del loro status quo. Lungi da me giudicare una religione che non conosco, tanto meno la fede delle persone, nei confronti della quale ho sempre il massimo rispetto, ma il dato di fatto inequivocabile è che la società nepalese si basa su un sistema religioso di caste, formidabile strumento di controllo sociale che abbatte la meritocrazia, discrimina i disperati e ne impedisce in ogni modo l'ascensore sociale. Tutto ciò è in teoria severamente vietato dalla costituzione nepalese, fin dal 1962. In pratica però, le condizioni di parità ed uguaglianza sono rimaste solo sulla carta in quanto il sistema casteista è profondamente radicato nella cultura del paese e viene difeso strenuamente dall'induismo che ne impedisce l'abrogazione nella quotidianità.

E così, in un paese già arretrato di suo, al libero mercato imposto dalla globalizzazione neoliberista ed al "classimo" del capitalismo, si aggiunge il "casteismo" della religione induista: ne esce fuori una miscela esplosiva che costringe i poveri alla schiavitù perenne. Le vie d'uscita sono poche. Tra queste, sempre più spesso, il suicidio.

Il termine casta, si traduce in sanscrito come “nascita”. Ed in effetti, per gli induisti, nascere significa automaticamente entrar a far parte di una casta ben precisa, che non si può scegliere in nessun modo ma è univocamente determinata dalla famiglia di appartenenza, dal colore della pelle, dal mestiere; la casta nella quale un individuo nasce è il risultato delle sue azioni in una vita o nelle vite passate e la conseguenza di queste azioni "precedenti", ovvero lo status sociale attribuito fin dalla nascita, ha un valore soltanto provvisorio, cioè fino alla morte dell'individuo e alla sua successiva reincarnazione. Dunque le disuguaglianze fra gli uomini sarebbero causate non da un sistema "strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi" (come disse l'immenso comandante Thomas Sankara), ma da un passato sul quale non si può minimamente intervenire, a meno che non si possieda la macchina del tempo DeLorean di Marty McFly e Doc di "Ritorno al Futuro".

Per non abbandonare i sudditi alla disperazione, la dottrina Indù, all'idea di ineluttabilità della vita terrena affianca strategicamente la speranza del futuro: se ci si comporta bene, abbassando la testa ed obbedendo ai padroni, ci si reincarnerà alla rinascita in un individuo di casta superiore e la vita sarà più agiata e serena. Fantastico. Oh, magari è pure vero, eh, ma permettetemi di dubitare e di pensare che tale "folle" e "stravagante" idea religiosa sia funzionale solo al soffocamento sul nascere di ogni possibile tentativo di ribellione. Del tipo "comportamose bbè in vita che poi ci pensa Dio nell'aldilà", un po' come nel cattolicesimo.

Mah... Io inseguo una fede che non ho e cerco di avvicinarmi a Dio, a quel Gesù socialista di cui parla il Vangelo, perché credo nelle sue idee. Ma sono fermamente convinto che il capitalismo si nutra dei deliri religiosi come il pane e che l'uomo abbia "istituzionalizzato" la religione per controllare l'uomo e sottometterlo. Per questo io personalmente, cerco di stabilire una relazione diretta col Divino senza intermediazione umana. E senza rinunciare alla lotta terrena, sperando in un aldilà che nessuno sa se esiste o no.

Secondo l'induismo, Brahma, la divinità predisposta alla creazione dell'universo materiale, generò la specie umana dalle varie parti del suo corpo generando così le caste, chiamate anche Varna, che significa “colore”, perché ognuna ha il suo proprio colore di appartenenza. Le caste principali sono 4, ma poi ognuna di essa si divide in moltissime altre sotto-caste:

• Brahmini: scienziati e sacerdoti, originati dalla testa – colore bianco;
• Kshatriya: guerrieri e governanti, originati dalle spalle – colore rosso;
• Vaishya: agricoltori, pastori e commercianti, originati dalla coscia – colore giallo;
• Shudra: mezzadri e servi, originati dai piedi – colore nero.

All'esterno di questa precisa gerarchia sociale, definita "savarna", vi è poi il gruppo degli "avarna", i fuori casta o "quinta casta" che include i "Dalit", nome originato dalla polvere che copriva i loro piedi, conosciuti anche come "gli intoccabili", in quanto chi li sfiora anche solo accidentalmente deve immediatamente andare a purificarsi. Ad essi sono comunemente riservati i lavori più umili quali la pulizia delle fogne e delle strade, portatori come asini da soma, lavori di fatica nelle discariche etc...

In Nepal ci sono fino a 5 milioni di persone con questo status, praticamente un quinto della popolazione totale, ridotta in stato di semi schiavitù e perenne sfruttamento ed umiliazione, discriminazione sociale e denigrazione, con pesanti restrizioni (anticostituzionali) da parte dello stato e della società. Sostanzialmente un Dalit in Nepal è oggi, gennaio 2022, quello che un No Vax è in Italia.

Con il tempo, i Dalit hanno maturato maggior consapevolezza dei propri diritti, alcuni di loro hanno capito che l'induismo certifica ed avalla le già strutturali e croniche disuguaglianze del sistema capitalista e si sono progressivamente emancipati da una religione che li opprime condannandoli alla schiavitù senza vie d'uscita; il piccolo miglioramento delle condizioni di vita di molti di loro, manco a dirlo, ha spesso scatenato nel paese scontri e sanguinosi incidenti, sollecitando le ire e le rivendicazioni di altre porzioni della società nepalese, che vedono tale emancipazione come oltraggio ai dettami di Brahma. Inoltre, le misure legislative adottate fin dal 1962 per sanare le disuguaglianze del sistema casteista, hanno avuto l'effetto perverso di rendere ancora più evidenti gli intoccabili, esponendoli paradossalmente in modo maggiore alla discriminazione ordinaria. Ad esempio, il governo incentiva giustamente con premi in denaro i matrimoni tra caste diverse, ma laddove è successo, nei villaggi ci sono stati numerosi barbari omicidi e crimini d'odio e vendetta contro i Dalit, che hanno riguardato anche ragazzini.

Per molte persone così, l'unica via di fuga possibile è quella dell'emigrazione: a tutt'oggi sono oltre 7 milioni i nepalesi che lavorano all'estero ed il bilancio statale dipende per circa il 40% dalle rimesse dei migranti. Molti vanno nella confinante India, altri a Singapore o in Malaysia, più spesso invece fanno rotta verso i Paesi arabi. Quasi ogni famiglia ha in Nepal un membro maschile che lavora, o meglio fa lo schiavo, a Doha, ad Abu Dhabi o a Dubai e vive una vita d'inferno inviando con un money-gram quasi tutto quel che guadagna in patria, dando un minimo di dignità alla famiglia rimasta in una casetta sgarrupata che magari crollerà seppellendo tutti alla prima scossa sismica. Il paese così si arricchisce ma allo stesso tempo muore perché si priva di forza lavoro giovane e rivoluzionaria. Purtroppo chi non riesce a trovare lavoro in patria ed all'estero, sceglie sempre di più la via dell'autodistruzione come l'alcolismo, o peggio, del suicidio, fenomeno in costante e drammatica crescita che colpisce molto i giovani, soprattutto le ragazze madri.

Nelle strade di Kathmandu: il capitalismo in una foto

Non bastasse la povertà estrema del paese, ci si mettono pure le calamità naturali. Il Nepal sta ancora facendo i conti con le conseguenze degli spaventosi terremoti del 2015. Soltanto in quei giorni, il numero dei poveri è aumentato di 700 mila unità, senza considerare migliaia di vittime e di feriti e circa tre milioni e mezzo di persone rimaste senza casa.

Nell'Aprile del 2015 un terremoto di magnitudo 7,8 della scala Richter, il più violento della storia recente del Nepal dopo quello del 1934, seguito da altre scosse violentissime e distruttive, ha ucciso circa 10.000 persone, ne ha ferite più del doppio ed ha distrutto completamente o parzialmente, quasi un milione di case ed edifici pubblici. La terra ha tremato con tale violenza che la città di Kathmandu si è sollevata di un metro ed il Monte Everest si è spostato di circa tre centimetri, causando valanghe che hanno ucciso al Campo Base 17 persone, tra guide e alpinisti. Alla tragedia del terremoto, si è unita quella successiva degli sciacalli, che hanno intensificato le attività criminali di saccheggio e traffico di donne e bambini. L’epicentro è stato localizzato a 80 chilometri da Kathmandu, dunque ha colpito in pieno la sua valle e danneggiato spesso irreparabilmente il suo sconfinato patrimonio artistico, come ad esempio nella cittadina medioevale di Bhaktapur. Piazza Durbar nella città vecchia di Kathmandu, patrimonio dell’umanità, è andata quasi totalmente distrutta. Qui è crollata, uccidendo quasi 200 persone, la torre Dharhara, il monumento nazionale, una delle principali attrazioni turistiche, il luogo d'incontro serale preferito dei nepalesi dove si potevano tra l'altro assaggiare i migliori momo del Nepal. Sostanzialmente è come se a Parigi crollasse la torre Eiffel, o in Italia la torre di Pisa. Sfortuna? No, gravi errori politici, e purtroppo tanta negligenza, perché 80 anni dopo il sisma del 1934 che aveva raso al suolo Kathmandu, si sapeva che la terra sarebbe tornata a tremare e l'avrebbe fatto in modo altamente distruttivo: la sua valle si trova infatti sul sito di un lago preistorico ed è fatta di sedimenti morbidi che le onde sismiche attraversano velocemente, amplificando scosse e danni. Nonostante ciò, l'area ha continuato a crescere nel tempo senza sosta, senza che nessuno tenesse conto di queste evidenze scientifiche, ed oltretutto senza rispettare le più basilari norme antisismiche.

Molti sismologi nepalesi, che da tempo monitoravano la faglia esistente tra la placca tettonica euroasiatica e quella indiana, avevano messo in guardia il governo, preannunciando solo un anno prima del terremoto, un evento distruttivo con un grado di magnitudo assai alto e sostenendo con forza che i costi del non fare sarebbero stati enormemente superiori rispetto ai costi della messa in sicurezza del territorio. Ovviamente non sono stati ascoltati.

Moira Reddick, sismologa e coordinatrice del Nepal Risk Reduction Consortium di Kathmandu, così parlava nel 2014: «Io personalmente sono terrorizzata. Mi sono occupata delle conseguenze di alcuni dei più forti terremoti nel mondo, ma questo sarà molto peggio. Ho un kit d’emergenza in fondo al mio giardino: una vanga per disseppellire le persone, acqua, cibo in scatola, una radio a batterie e altri oggetti di prima necessità. Gli altri pensano che sia pazza, ma io mi sto organizzando per ospitare fino a trenta persone in giardino».

Effetti del terremoto del 2015 a Piazza Durbar di Kathmandu

Durbar Square: lo scimmione Kala Bhairav e la "Dea bambina" Kumari

Trovo una bettola fatiscente nella centralissima Freak Street, un tempo quartiere Hippy dei figli dei fiori ed oggi ritrovo di tutti i routard nostalgici come me, dove si può mangiare qualcosa e dormire a qualche manciata di dollari. Proseguendo verso il centro incontro la grande Piazza Basantapur con edifici tutti puntellati causa terremoto, oggi trasformata in un enorme mercato di souvenir ma un tempo parcheggio degli elefanti reali. E poi poco a poco, lo shock visivo di Durbar Square, il centro monumentale centralissimo di Kathmandu, davvero unico e mistico con i suoi profumi di incenso, le vacche sacre che gironzolano indisturbate, i numerosissimi piccioni che non danno tregua, il ritocco delle campane ed i fedeli che fanno offerte: la piazza ha una caratteristica concentrazione di statue, templi, palazzi, pagode con incredibili intagli di legno scolpiti dagli ebanisti newar, l'etnia della valle di Kathmandu. Non a caso il nome della città deriva da "Kasta Mandap" che in sanscrito significa "tempio di legno".

Piazza Durbar di Kathmandu

Lo stile newar domina artisticamente non solo Piazza Durbar ma tutta la valle di Kathmandu ed è praticamente inesistente al di fuori del Nepal: è caratterizzato da un notevole lavoro in mattoni, sempre ben visibili ed una ricercatezza assolutamente unica, direi quasi ossessiva, nell'intaglio del legno, che riguarda stipiti, finestre, architravi, colonne... Ho visto lavoratori in officine perdere un'enormità di tempo su dettagli che da lontano non sono neppure visibili!

Intagli di legno tipici dell'architettura newar nel palazzo delle 55 finestre di Bhaktapur

Intagli di legno tipici dell'architettura newar in un tempio di Bhaktapur

Al centro della piazza è un andirivieni costante di persone che si prostrano, piangono, accendono ceri o lumini, scuotono le campanelle presenti, fanno offerte di fiori o rami di riso, spargono polvere colorata, pregano, cantano e si emozionano... lo fanno di fronte ad una statua piuttosto terrificante, un demone, un mostro dai colori vivaci con un serpente nel collo ed un ricco turbante in testa contornato da una ghirlanda di teschi. Protetto da due cagnacci ai suoi lati, nelle 6 mani ha una spada, un tridente, una ciotola, delle teste decapitate ed una mano mozzata ed è in piedi, a gambe divaricate sopra un uomo nudo di colore rosso, probabilmente agonizzante o già morto.

Chiedo informazioni a qualcuno del posto che parla un minimo di inglese. La specie di scimmione si chiama Kala Bharaiva e sarebbe la feroce manifestazione distruttrice di Shiva. E' la divinità indù più temuta e dunque molto adorata: tutti gli abitanti della valle che transitano nel centro vengono qui per ingraziarsela pregando e facendo offerte per placare la sua ira e la furia degli spiriti maligni. Fino a poco tempo fa, qui si tenevano addirittura i processi pubblici, perché si credeva che chiunque dichiarasse il falso davanti alla statua sarebbe morto.

Kala Bhairav a Durbar Square di Kathmandu

Strani questi nepalesi: adorano come divinità una statua mostruosa inanimata facendogli offerte, ed allo stesso tempo anche una bambina in carne ed ossa, ma distruggendogli volutamente la vita... non lontano dal demone a 6 mani, in una vecchia casa della piazza con un antico portone di legno incredibilmente intagliato e due leoni in pietra all'ingresso, abita la Dea vivente chiamata Kumari (ovvero "vergine" in lingua newar), incarnazione della Dea Taleju protettrice della città, la quale si narra, scappò intorno al XVII secolo quando un re, colpito dalla sua bellezza, cominciò a fare pensieri impuri su di lei e tentò di rimorchiarla. Per ottenere poi il suo perdono il vecchio marpione promise ogni anno di venerare la sua incarnazione.

La Kumari è una bambina scelta all'età di 4 anni tra le famiglie di Kathmandu all'interno di una casta ben precisa, la "Sakya" ovvero la stessa a cui apparteneva Buddha, con la data di nascita il cui oroscopo soddisfa ben precisi criteri. La "sventurata" (a breve capirete perché...) deve esser bellissima, dotata di un corpo senza difetti, anzi con tutte le famose "32 perfezioni", e soprattutto deve rispondere a ben precisi requisiti caratteriali: deve esser calma e serena, impassibile, non deve muoversi durante i riti e le celebrazioni oppure le udienze con i politici, non può piangere né mostrare alcun segno di debolezza ed irrequietezza perché ogni gesto che non si addice ad una Dea viene visto come brutto presagio o segno di gravi sciagure e calamità per tutto il Nepal. Sarei a tal senso curioso di sapere che cacchio ha combinato la Kumari nel 1934 e nel 2015!

Per esser eletta come reincarnazione della Dea, ella dovrà anche esser in grado di riconoscere gli effetti personali della precedente Kumari e superare un'ultima terribile prova: viene posta sola in una stanza buia tra teste di capre e bufali sacrificati nel corso di una festa, con uomini mascherati da demoni che cercano di spaventarla. Immaginate il trauma provocato a questa povera bambina! E ci credo poi che rimane calma, impassibile ed immobile! Probabilmente non parla più per le turbe mentali che si porterà dietro a vita...

Ingresso del Kumari Bahal a Durbar Square di Kathmandu

In ogni caso, una volta scelta e purificata mediante riti segreti, viene vestita, truccata e trasportata nel Kumari Bahal, l'edificio reale in mattoni rossi di Durbar Square nel centro storico di Kathmandu, dove sarà condannata a rimanere per tutto il periodo in cui sarà “posseduta” dalla Dea Taleju: potrà lasciare il palazzo solamente in pochissime occasioni pubbliche ed esclusivamente in palanchino perché non può toccare l'impuro suolo terreno con suoi piedi divini. Vengono esauditi tutti i suoi desideri, ma non può uscire, non può esser curata da nessun dottore. Fino a poco tempo fa, nemmeno poteva studiare, in quanto considerata onniscente: mai in ogni caso può essere forzata o contraddetta. Non può ammalarsi né ferirsi perché la comparsa del sangue significherebbe la fine della sua sacralità divina, dunque non può giocare né frequentare coetanee. Può esser vista dal popolo in delirio solo in occasione di alcune cerimonie religiose, oppure affacciandosi dalla finestra del terzo piano ma mai per più di 3 miseri secondi; mai in ogni caso può esser fotografata.

Poveretta la bambina scelta! Eppure per la famiglia ed i genitori dai quali viene separata, è motivo di grande orgoglio e vanto...

Esistono Kumari anche a Patan e Bhaktapur, ma quella di Kathmandu è in assoluto la più importante, l'unica Kumari Reale, direttamente connessa con il re, l'unica che può apporgli sulla fronte la tika, il sacro segno rosso tra gli occhi, l'unica addirittura che può legittimare il suo potere temporale: in Nepal, come in India, la politica, le credenze religiose, animiste e mitologiche sono strettissimamente correlate. Nel tempo la Kumari, venerata da tutta la popolazione nepalese, è diventata il simbolo stesso dell'unità nazionale: una delle feste più importanti è la processione della Dea, la “Kumari Jiatra”, ben tre giorni con la folla in delirio in cerca di un suo sorriso portafortuna, durante i quali la Dea reincarnata viene portata su un carro che attraversa le vie di Kathmandu alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Al termine della processione, la bambina segna la fronte del re con la polvere rossa mettendogli al collo una ghirlanda di fiori e tale gesto consente al re di governare sul Nepal fino alla prossima cerimonia. E non sono solo formalità perché il popolo ed i reali credono ciecamente a tale legittimazione divina: leggenda vuole che una volta una Kumari scambiò il re con il figlio facendo la tika a quest'ultimo e poco dopo il re senior morì lasciando il potere al figlio per l'anno successivo.

Quando la bimba si ammala gravemente, si ferisce o ha la prima mestruazione, significa che la Dea Taleju ha abbandonato il suo corpo mortale e così ricomincia nuovamente la frenetica caccia dei più importanti sacerdoti nepalesi alla nuova reincarnazione vivente. La deposizione è dunque brusca e non pianificata, probabilmente dunque ancor più traumatica per la ragazzina della sua "elezione".

La vita della ex-Kumari destituita, nonostante riceva un vitalizio mensile dallo stato nepalese, presenta diverse problematiche facilmente immaginabili: come è possibile riprendere un'esistenza normale, quando si è stati ripetutamente traumatizzati fin da piccolissimi? Portati via dai genitori in tenera età? Quando magari a 4 anni si è stati messi dentro una stanza buia con teste mozzate di animali sanguinanti e demoni intorno a spaventarti volontariamente? O quando si è creduto per anni di esser stati posseduti da una Dea? Quando si è vissuti totalmente isolati e privati di tutto ciò che è pura e semplice normalità per un bambino? Quando si è ricevuta scarsa istruzione, non si è mai usciti da un palazzo se non una volta l'anno e non toccando mai terra? Quando non ci si è mai rapportati con persone comuni o sconosciuti? Quando si è dovuto reprimere ogni sentimento di rabbia e frustrazione? Quando ogni minimo gesto nel corso di un'udienza o di una cerimonia può spostare gli equilibri politici dello Stato? Quando non si è mai potuto giocare con coetanei o frequentare la scuola? Ovvio dunque che il rientro nel mondo ordinario presenti grandi e gravi difficoltà anche perché la superstizione popolare assegna loro ancora poteri mistici associati alla precedente esistenza. Peggio ancora, tradizione vuole che tutti i mariti delle ex-Kumari abbiano vita breve. E difatti, sebbene a loro non sia impedito il matrimonio, molte Kumari rimangono sole: tutte quelle più recenti dal 1978 ad oggi, non si sono sposate e non hanno avuto figli.

Gli stupa di Swayambhunath e Bodhnath

La valle di Kathmandu ha forma circolare, non molto estesa con un raggio di circa 15 km ed è ad alta densità abitativa, formando ormai con la capitale un unico grande agglomerato urbano. E' qui praticamente che si trovano quasi tutte le bellezze artistiche e culturali dell'intero Nepal, un'incredibile ed ardita commistione di elementi religiosi ed architettonici buddhisti, induisti ed newar, spesso addirittura nello stesso posto. Sono ben sette i siti della valle iscritti nella prestigiosa lista UNESCO del Patrimonio dell'Umanità: le piazze centrali (Durbar Square) di Kathmandu e delle vicine Patan e Bhaktapur, l'enorme Stupa di Bodhnath che domina lo skyline di Kathmandu e quello di Swayambhunath, i templi di Pashupatinath e quelli di Changu Narayan, a nord di Bhaktapur.

Il grande fascino di questa area deriva dal fatto che qui, la globalizzazione dei costumi fortunatamente è ancora lontana e le persone ancora basano la propria esistenza su arcaiche credenze religiose e sul rispetto della cultura popolare, rinforzati e mantenuti in vita da miti e leggende, da superstizioni e tradizioni contadine tramandati di generazione in generazione, e dal costante susseguirsi di coloratissimi e misteriosi festival durante il corso dell’anno, i quali sono espressioni (pagane, mitiche e religiose allo stesso tempo) della vita, intesa come totale simbiosi di corpo ed anima col divino, e ne riflettono gioie e dolori, paure e sogni. Ovunque nella valle è possibile imbattersi in un rito speciale o in una qualche celebrazione per un evento o una tappa importante dell’esistenza di una persona, dalla nascita alla morte.

Proseguo dei festeggiamenti di Namche Bazaar: birra Everest sopra Swayambhu con vista dall'alto di Kathmandu

Mi hanno detto che una vista mozzafiato dell'intera valle si può avere dall'alto del tempio buddhista di Swayambhunath, appollaiato su un colle un paio di km ad ovest di Kathmandu. Ideale per metter qualcosa sotto i denti e rinfrescarmi con una bionda gelata visto che fa un caldo torrido... e poi dopo il pieno fatto all'Irish pub di Namche Bazaar per festeggiare l'incredibile conquista in soli 12 giorni del Kala Patthar, del Campo Base e dei laghi di Gokyo, mi manca la birra Everest! Devo assolutamente proseguire i festeggiamenti per la grande impresa... anche se qui all'uscita non potrò più parlare con asini o yak, ma solo con vacche sacre o scimmie.

La stupa gigante di Swayambhunath

Dunque, buff sulla bocca a tentare di ripararmi dallo smog, inforco la bicicletta e pedalo lungo le rive del fiume Vishnumati esplorando i quartieri più popolari della capitale nepalese. Giungo davanti ad un portico infestato di scimmie, da cui parte una monumentale scalinata verso il cielo. Vedo gente anche giovane salire con grande fiatone. Ma a me dopo le massacranti giornate di trekking a 5000 metri questi gradini mi fanno proprio ridere! Salgo in alto verso l'enorme e bellissimo stupa di Swayambhu, circondato di negozietti d'artigianato, localini e piccoli monasteri.

Swayambhunath è considerato il santuario buddhista più antico del Nepal ed uno dei più antichi del mondo: la datazione non è certa, ma si pensa che possa risalire addirittura a 25 secoli fa. E' chiamato anche tempio delle scimmie per via dell'alto numero di questi animali che scorrazzano dappertutto rivelandosi anche piuttosto aggressivi: mai guardarle negli occhi!

Lo stupa è un monumento spirituale buddhista le cui funzioni principali sono quelle di conservare reliquie e rappresentare il corpo e la mente illuminata di Buddha mostrando così il sentiero per il raggiungimento dell'illuminazione. Come ogni stupa, quello di Swayambhu contiene i 5 elementi di base quadrata, cupola emisferica, torre conica, luna e disco circolare che simboleggiano rispettivamente i 5 elementi cosmici di terra, acqua, fuoco, aria e spazio. Su ognuno dei 4 lati sono presenti due grandi occhi simboleggianti conoscenza e compassione e poco sopra di loro, al centro è presente il terzo occhio che corrisponde al sesto chakra, ovvero la capacità di comprendere ed intuire la realtà extrasensoriale. Lo strano simbolo somigliante ad un punto interrogativo sotto agli occhi, al posto del naso, sembra che rappresenti in alfabeto sanscrito il numero 1, a mettere l'accento sull'unità del Dio buddhista contrapposta al politeismo indù. La bocca non c'è mai, perché Buddha tutto sente, tutto vede (e ci credo, con 8 occhi...) e tutto conosce ma non parla mai, dunque non fatelo incazzare e girate sempre in senso orario lasciandovi lo stupa alla vostra destra. In alto, una struttura conica costituita da 13 anelli dorati sovrapposti di diametro progressivamente inferiore simboleggiano i 13 gradi della conoscenza, degli stadi d'elevazione e d'illuminazione per raggiungere il Nirvana. Alla base dello stupa, immancabili le tipiche ruote della preghiera contenenti i mantra buddhisti e le bandierine lung-ta svolazzanti che tanto mi ricordano il trekking sul Khumbu di pochi giorni fa.

La stupa gigante di Bodhnath

Se Swayambhu è lo stupa buddhista più antico, il più grande del Nepal, con 5 terrazze sovrapposte sulle quali ci si può arrampicare, è Bodhnath, ben 100 metri di circonferenza complessiva attorniato da un cerchio concentrico di case, monasteri, negozi di artigianato, bancarelle, locali e ristorantini. Il luogo è davvero animatissimo, soprattutto nel tardo pomeriggio quando monaci, nepalesi e turisti girano intorno allo stupa, rigorosamente in senso orario, alcuni addirittura in ginocchio.

La magia del luogo ogni tanto è interrotta dal frastuono pazzesco di stranissimi veicoli, in assoluto il mezzo di trasporto a motore più strano che io abbia mai visto in tutta la mia vita, una specie di mix infernale tra autocarro, motocicletta e trattore, spesso stracarichi di monnezza o merce di qualsiasi tipo. Sono rumorosissimi, molto inquinanti, scomodi da guidare perché eccessivamente ed ingiustificatamente lunghi.

Il tempio indù principale di Changu Narayan

Lavorazione del legno nelle travi del tetto del tempio principale di Changu Narayan

Il tempio indù più antico della valle invece si trova a Changu Narayan: risale addirittura al IV secolo avanti Cristo e fu costruito da un re del tempo che decise di edificare 4 templi dedicati a Narayan, uno dei nomi di Vishnù, e di collocarli ai punti cardinali rispetto alla valle. Il tempio di Changu è il più antico e proprio qui sembra che cominci la storia scritta del Nepal con la più vecchia iscrizione finora scoperta. Nonostante numerose vicissitudini fra cui incendi, saccheggi e terremoti, il tempio è ancora in piedi: si trova nella parte più alta di un assonnato villaggio in mattoni tutto in salita, ed è simile ad una pagoda a due piani, circondato da campane e coppie di animali mitologici che ne presidiano tutti e quattro i lati.

Le travi ancora in ottimo stato che sorreggono il tetto sono lavorate incredibilmente ed impreziosite dalle rappresentazioni di particolari divinità tantriche. Resteresti ore a guardarle tanta è la precisione della scultura lignea e la cura del dettaglio!

Changu Narayan è un vero tuffo nel tempo: qui non vengono turisti e regna un'atmosfera davvero mistica. Tanta pace e serenità. Un luogo deserto, spirituale e romantico, estremamente silenzioso perché data la conformazione del paesino, tutto in grande pendenza, non esistono veicoli a motore, un'anomalia assoluta in tutta l'area di Kathmandu.

Una camminata tutta in discesa di una manciata di km, attraversando un bellissimo paesaggio collinare e tenendo a bada i tanti cani randagi con un bastone, mi porterà al luogo più affascinante di tutta la valle: la cittadina di Bhaktapur.

Bhaktapur: la cittadina più affascinante del Nepal

Già... Bhaktapur... che spettacolo incredibile... non saprei come definirla... il posto è assolutamente irreale, con la sua fantastica atmosfera decadente e medioevale, purtroppo oggi ulteriormente amplificata dagli effetti del sisma del 2015 che ha danneggiato pesantemente le zone più monumentali, come le Piazze Durbar, Thaumadi e Dattareya.

Una via di Bhaktapur che porta in Piazza Thaumadi Tole

Si rimane frastornati in quanto le situazioni che si vivono e le scene a cui si assiste, in un'ambientazione così mistica, sembrano quasi inverosimili, decisamente aliene alla nostra cultura: processioni infinite di persone per cerimonie di qualsiasi tipo con bande musicali che suonano (male) e capretti portati al guinzaglio che poi all'arrivo vengono sacrificati mediante decapitazione, sangue dappertutto che attira animali e cani randagi, vacche sacre che vagano, monaci in preghiera, musicisti ed artisti di strada, donne che intrecciano tessuti ed artigiani che scalpellano il legno sul marciapiede, profumi d'incenso ed odori più o meno gradevoli, venditori ambulanti e storpi ad elemosinare, gente in meditazione in mezzo al frastuono infernale dei motorini e dei "carri-trattore"... Ci si sente un po' come all'interno di un palcoscenico, di un set cinematografico totalmente impazzito e disorganizzato. Ed infatti il paese fu scelto proprio da Bertolucci per girarci Il Piccolo Buddha.

A lungo chiamata "città dei fedeli", Bhaktapur è un museo vivente che ha saputo conservare negli anni il suo carattere religioso, soprattutto indù, decisamente più che altrove. E' stata sempre un mondo a parte, fin dall'antichità, ed anche oggi lo è, economicamente autosufficiente ed animata da fiero spirito d'indipendenza. La maggior parte degli abitanti di una certa età addirittura non parla nepalese ma il newar nella forma più pura che si può trovare nel paese. L'architettura della città è la tipica newar con i quartieri (tole) costituiti da strette viuzze acciottolate, cortili e palazzi decadenti in mattoni rossi, alcuni totalmente franati, altri pericolanti, che si articolano e si aggrovigliano attorno ad una piazza centrale disseminata di templi, statue ed altari religiosi ed con una o più fonti pubbliche di acqua, come pozzi o cisterne più o meno grandi. Siamo ben lontani dal silenzio di Changu Narayan e la magia del posto è un po' rovinata dal rumore dei motorini e di quegli assurdi "carri-trattore", qui davvero numerosi: ciononostante, Bhaktapur rimane senza alcun dubbio la cittadina più bella ed affascinante della valle di Kathmandu e probabilmente dell'intero Nepal, un luogo dove vagare senza meta e perdersi in cerca di incontri e situazioni.

Un bambino newar a Bhaktapur

Lo shock visivo comincia entrando nella cittadina perché si è subito in Durbar Square con il Palazzo Reale alla sinistra, tutto puntellato a causa del terremoto e costituito da due lunghi edifici distinti collegati dalla Porta d'Oro, un capolavoro dell'oreficeria nepalese rappresentante una dea a 4 teste, ed il Palazzo dalle 55 Finestre a destra, con merlettature di legno pazzesche nelle finestre ed architravi e colonne, finemente scolpite, incastonate nei mattoni...

La "Porta d'oro" in Piazza Durbar a Bhaktapur

La concentrazione di statue e soprattutto di templi, ad ognuno dei quali sono associati svariati miti e leggende, lascia senza fiato. La maggior parte dei monumenti religiosi è comunque in corso di restauro, non senza polemiche perché i criteri antisismici ora utilizzati prevedono l'utilizzo del ferro per consolidarli, materiale però che la tradizione ritiene assolutamente proibito nei templi. Le impalcature utilizzate mettono i brividi, con lunghe canne di bambù annodate "alla carlona" con corde nelle intersezioni ed un concetto di sicurezza sul lavoro che diciamo, qui ancora non è arrivato. Le imbragature di sicurezza in Nepal si utilizzano evidentemente solo nelle scalate himalayane.

Sicurezza sul lavoro nel restauro dei templi di Bhaktapur

Di piazzette egualmente caratteristiche disseminate di costruzioni religiose ce ne sono comunque tantissime altre... basta fare due passi e si è ad esempio in piazza Thaumadi Tole dove si può ammirare il famoso tempio di Nyatapola a 5 tetti sovrapposti, edificato nel 1708 ed ora il più alto del Nepal, che troneggia in cima ad una scalinata ripidissima fiancheggiata da grandi statue di animali; a fianco, il tempio di Bhairav, al solito molto venerato perché dedicato alla feroce manifestazione distruttrice di Shiva, il temutissimo Kala Bhairav, lo scimmione a 6 braccia che era presente in Piazza Durbar di Kathmandu, la cui furia assassina va placata con preghiere ed offerte.

Ci sono altri templi in piazza Thaumadi e l'effetto d'insieme è sbalorditivo, anche perché il luogo è un crocevia della cittadina: passanti, turisti, monaci, mercanti di frutta e verdura con le loro bancarelle per terra, artigiani in mezzo allo strombazzare di motorini, giovani al rimorchio si fondono tutti insieme in un mix unico e magico. Mi siedo così per terra ad osservare l'umanità di Bhaktapur, godendomi le ultime ore di queste incredibili due settimane ai piedi dell'Himalaya, pensando a quanto sia bello il mondo ed a quanto io sia fortunato a poter viaggiare ogni tanto, staccando la spina dalla frenesia della vita di tutti i giorni.

La via che comincia tra il tempio di Nyatapola e quello di Bhairav è l'arteria commerciale di Bhaktapur, fiancheggiata da splendide dimore, baracche mezze franate dopo il terremoto, costruzioni più o meno fatiscenti e botteghe pittoresche. Percorrendola tutta si arriva a Dattatreya Square, ricchissima di templi, monasteri, costruzioni religiose medioevali e ristorantini: un tempo era il centro di Bhaktapur prima che fosse spostato a Durbar Square.

Tempio indù in Piazza Dattatreya a Bhaktapur

Pottery Square, meglio nota come Piazza dei Vasai nel quartiere Kumalè (da Kumal che significa vasaio), nascosta tra il dedalo di vicoli che si diramano da Thaumadi Tole, è il cuore dell’industria ceramica di Bhaktapur.

Un vasaio all'opera in Pottery Square

Un capretto sacrificato per la cerimonia di svezzamento dei 5 mesi di un bimbo di Bhaktapur

In una vasta area pubblica quasi interamente occupata da file di vasi di argilla messi ad asciugare al sole, si affacciano le botteghe dei ceramisti, tutti rigorosamente appartenenti alla casta dei vasai dalla quale vengono scelti anche i sacerdoti dei templi circostanti. Le tecniche non cambiano da secoli: gli artigiani ai lati della piazza costruiscono i vasi di terracotta dando loro la forma con le mani azionando torni in pietra a pedale o addirittura ruote di camion; staccano poi la loro opera più o meno ben riuscita con un taglio netto mediante un sottile filo metallico e la mettono ad essiccare in piazza, utilizzando poi sgarrupati forni a legna per la cottura e la finitura a fuoco definitiva.

Mentre sono in chiacchiere, piuttosto difficoltose per la verità a causa delle differenze linguistiche, con un vasaio, entra in piazza una processione assai rumorosa di persone, con trombe, tamburi rullanti ed il solito capretto al guinzaglio che cammina beatamente, totalmente ignaro del destino che lo attende: è la cerimonia dei 5 mesi di un bambino in cui si festeggia l'inizio del suo svezzamento. Purtroppo come c'era da immaginarsi, la povera bestiola farà una brutta fine: sarà sgozzata e decapitata, con molta poca finezza e compassione a pochi metri di distanza, nel tempio a due tetti di Jeth Ganesh, per la grande gioia dei cani randagi di Bhaktapur che accorrono in massa a leccare il sangue che sporca la strada.

Cremazioni a Pashupatinath

L'ultima tappa del mio incredibile viaggio in Nepal è il luogo indù più sacro ed importante del paese, venerato sin dai tempi antichissimi anche dai buddhisti, non lontano dall'aeroporto internazionale e dallo stupa di Bodhnath: Pashupatinath, da Pashupati uno dei tanti nomi della divinità Shiva.

Cremazioni nel tempio Pashupatinath sul fiume Bagmati affluente del Gange

E' un complesso che occupa una vasta area in prossimità del fiume Bagmati (ora in secca), costellata di svariate decine di templi antichi, stupa e monasteri, statue, santuari e monumenti religiosi, grotte usate in epoca medioevale come rifugio degli Yogi, edifici, lunghe scalinate e ponti, punti panoramici ed aree verdi. A dispetto dell’immondizia e dell’inquinamento che lo deturpa, il maleodorante fiumiciattolo è sacro in quanto è un affluente del Gange. Pashupatinath ed il Bagmati sono dunque per il Nepal ciò che Varanasi ed il Gange sono per l'India: il luogo è famosissimo e molto venerato per le cerimonie di cremazione che avvengono costantemente e giornalmente sui "ghat" che si affacciano sulle acque scure e putride del fiume, dei basamenti di pietra squadrati sui quali vengono posizionate le pire funerarie. A Pashupatinath nemmeno la morte è democratica e socialista: d'altronde una religione classista e casteista come quella indù, non poteva dividere anche nella morte. E così esistono i ghat dei ricchi o delle celebrità ed i ghat dei poveri, separati proprio dal ponte che si attraversa per andare verso i templi. I basamenti tondi nell'altro lato del fiume invece, non vengono utilizzati per le cerimonie funebri, ma come piattaforme dai venditori ambulanti per posizionare la merce in vendita oppure dai santoni per le loro prediche. O anche, nella stagione delle piogge da giugno a settembre, quando il livello del fiume è alto, come trampolino di lancio per i tuffi degli scalmanati ragazzini di Kathmandu.

Raggiungo l'area dove avvengono le cremazioni dei defunti attraversando il ponte dopo un lunga e piacevole camminata all'interno della vasta area sacra. Ci sono in giro pochissimi turisti, soprattutto persone del posto che assediano le onnipresenti bancarelle piene di oggetti religiosi di tutti i tipi, come incenso, perline, statuette e polvere di tika multicolore. Intorno agli edifici ed al riparo in anfratti e nicchie di piccoli santuari di pietra utilizzati per la preghiera, si trovano i sadhu, asceti induisti che dedicano tutta la loro vita alla meditazione rinunciando alla società e ad ogni forma di benessere materiale e corporeo che, nella speranza di rimediare qualche rupia, si prestano sorridenti a farsi fotografare. Quelli realmente autentici sono in meditazione; alcuni lo sono da ben 25 anni come mi dice il tipo tutto arancione che mi permette una fotografia senza chiedere nulla in cambio. Quelli finti invece, ben più scaltri e fotogenici, con grossi turbanti rasta in testa e chilum in bocca, hanno un senso degli affari che decisamente, poco si addice alla loro filosofia iniziale.

Un Sadhu in meditazione nel tempio Pashupatinath

Pashupatinath è un luogo di grande carica emotiva dove la vita e la morte convivono con una naturalezza che ha dell'inverosimile: da un lato i corpi bruciano, dall'altro invece cani randagi e vacche magrissime vagano, le scimmie si azzuffano, gli ambulanti vendono, i santoni barbuti predicano in attesa magari di polli da spennare, i sadhu autentici meditano e quelli finti si mettono in posa per le fotografie, i fedeli fanno abluzioni nel fiume ed i bambini locali, anch'essi totalmente incuranti dell'alto livello di inquinamento, fanno il bagno nelle acque luride in mezzo alla spazzatura, giocando e cercando con calamite di recuperare le monete lanciate in acqua. I pochi turisti passeggiano e qualche borseggiatore cerca di fare, senza esser scoperto, il furto del secolo.

Nonostante il trambusto generale e la sporcizia che a prima vista non conferiscono a Pashupatinath quell’aspetto sacro che uno potrebbe immaginarsi, la quiete è assoluta ed il rispetto è totale. Dall'altro lato del fiume, il silenzio è massimo ed è rotto solo dalle urla delle scimmie che si azzuffano e dei bambini locali che si divertono.

I roghi delle pire si susseguono incessantemente tutto il giorno e l'aria diventa presto irrespirabile perché l'odore di carne bruciata si mescola allo smog ed alla polvere sollevata dal vento.

Gli induisti credono che solo un corretto rituale di cremazione fatto a Pashupatinath, possibilmente lo stesso giorno del decesso, possa consentire la reincarnazione futura dell'anima.

Il cadavere, prima di esser cremato, viene lavato e vestito con abiti tradizionali nuovi. Tutti gli eventuali gioielli presenti vengono rimossi e si pone dello sterco di vacca sacra sul suo petto. Viene poi adagiato su una specie di barella di legno, avvolto in un sudario arancione (il colore comunque varia a seconda del sesso, dello stato civile e dell'età) e coperto con ghirlande di fiori. La barella viene trasportata dai parenti maschi nel ghat della cremazione, possibilmente attraversando lungo il percorso i luoghi che furono significativi nella vita passata del defunto, il quale poi viene disteso lungo la riva del fiume e bagnato leggermente con la sua acqua. Successivamente la salma, con il volto rivolto verso sud ed i piedi in direzione Himalaya, viene adagiata su una pira funeraria alla quale si aggiungono paglia e legna di sandalo per favorire la combustione e ridurre i forti odori; si recitano preghiere per incoraggiare le varie parti del corpo a riunirsi con gli elementi naturali, ad esempio il respiro, la voce e gli occhi rispettivamente con il vento, con il cielo e con il sole. La tradizione impone che debba essere il figlio primogenito ad appiccare il fuoco per il padre dopo aver fatto 3 volte il giro della pira in senso antiorario, mentre l'ultimogenito per la madre.

Dopo un paio di ore, quando le fiamme hanno consumato tutta la legna, le ceneri vengono disperse nel fiume Bagmati che diventa così sempre più nero. Altro giro altra corsa, e si ricomincia con il prossimo.

Il mio viaggio in Nepal era cominciato con la morte di mio nonno, e non può che finire così, tra le pire funerarie di Pashupatinath. Certo che grande mistero la morte... nessuno sfugge a questa legge naturale che rappresenta l'unica vera certezza che abbiamo nel corso della vita. Non sappiamo quando e come, ma un giorno più o meno vicino o lontano, neppure noi ci saremo più. Chissà davvero se esiste un aldilà ed un qualche collegamento con l'aldiquà... ancora mi chiedo se ciò che mi ha portato fin qui, ovvero quanto successo con mio nonno dopo la sua morte, ben raccontato nel primo post sul Nepal, sia stato tutto pura incredibile casualità e grande suggestione. A me piace pensare di no, a me piace pensare che lui mi ha parlato dall'altro mondo.

Al di là di una fede che purtroppo non ho o comunque è molto scarsa (anche se ci sto lavorando...), io credo che esista davvero qualcos'altro dopo la morte. Non può finire tutto così. Non deve.

In quell'istante in cui si spegne l'interruttore della vita terrena e forse ne comincia un'altra, credo che la cosa più bella sia essere in pace, non aver rimpianti e rimorsi per quello che si poteva fare e non è stato fatto, per quello che si poteva dire e non è stato detto. L'unica via possibile penso sia vivere una vita coerente con i propri principi cercando di far del bene, a noi stessi ed agli altri. Vivendo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Ma anche come se fosse il primo.