E così nel 1992, l'illuminato governo maldiviano, nell'intento di risolvere il problema dei rifiuti, ha avuto il colpo di genio: mica ridurre, riciclare, riutilizzare, politica plastic free, turismo non di lusso ma ecosostenibile ed a numero chiuso con alti costi d'ingresso come alle Galapagos, energia rinnovabile, recupero dell'acqua piovana, sistemi di desalinizzazione etc... No, no. State a sentire bene. Il governo ha deciso di prendere una laguna nell'atollo di Kaafu a poco più di 7 km dalla capitale, e riempirla di monnezza, reinventandola come pattumiera. Nasce così l'isola artificiale di Thilafushi, un "monnezzaio" perfettamente visibile atterrando a Malè dall'aereo, una cicatrice dolorosissima nell'incanto delle Maldive, una discarica a cielo aperto che dopo 30 anni, raccogliendo ogni giorno circa 330 tonnellate di scarti e rifiuti del capitalismo nazionale ed internazionale, ha raggiunto la dimensione di 3 km e mezzo di lunghezza per 200 metri di larghezza, allargandosi più o meno di un metro quadro al giorno, con la spazzatura che si accumula su montagnole che hanno raggiunto l'altezza di edifici di 8 piani.
Thilafushi è l'isola che la corrotta, incapace ed incompetente politica ha deciso di sacrificare per preservare la bellezza delle altre, lo sgabuzzino strapieno, sporco, maleodorante ed in disordine chiuso a chiave di un appartamento perfettamente pulito ed ordinato. La crescita del turismo insostenibile, ha imposto ad un paese che viveva di mare, pace e tranquillità, anche una profonda riorganizzazione economica e così ben presto Thilafushi è diventata anche la zona industriale delle Maldive, con la nascita di cementifici, cantieri navali, capannoni, abitazioni fatiscenti e piccole officine. Per terra, tutto è bianco. Non c’è l’asfalto ma neppure la sabbia. Solo una fanghiglia chiara che contiene un po’ di tutto, polverizzato dal tempo e dal caldo, dai raggi solari e dalla combustione incessante, un mix di rifiuti solidi urbani, terra, sabbia, cemento, stracci e plastica, ferro e cartone, pannolini ed abiti. Le Maldive non hanno un inceneritore, così parte dei rifiuti accumulati vengono bruciati senza essere minimamente processati o differenziati: tutto brucia insieme a tutto all'aria aperta, anche materiale molto pericoloso come amianto, residui sanitari, mercurio, frigoriferi, batterie, plastica e legname con vernici e formaldeide. Un disastro ambientale di proporzioni cosmiche, come d'altronde ogni discarica del mondo. Ma qui è ancora peggio, perché l'inferno è proprio dentro al paradiso, a soli pochissimi metri dal reef: le tossine ed i veleni si infiltrano nello strato di rifiuti, i quali anche se protetti dalla barriera corallina, con le mareggiate si possono anche riversare nell'oceano.