Dal Collo della luna alle Galapagos

Bienvenido a Ecuador Esteban!

«Hola, mi vida, perdón...lo siento mucho pero algo pasò...yo vi un hombre, estava mal, tal vez borracho...creo que vomitò ariba de tu mochila...»

14 dicembre 2009, mi giro, tra la folla. Mi sta parlando una donna ben vestita, abbastanza appariscente, di indubbia bella presenza, strano davvero in questo barrio malfamato di Quito nel quale mi trovo. Non gli do peso, assorto come sono nei miei pensieri, tra volo aereo da acquistare per le Galapagos e l'ardua scelta di una vetta da scalare tra Cotopaxi ed il più alto ed impegnativo Chimborazo. Ma la donna, molto gentile e con un bel sorriso, insiste. A quel punto realizzo quanto mi dice...cazzo qualcuno mi ha vomitato dietro la schiena senza che me ne sia accorto! Spaventato mi tolgo il piccolo zainetto. Sì, è successo qualcosa...è sporco e puzzolente, un odore davvero nauseabondo. Spaventato, lo appoggio per terra. Devo pulirlo e la bella donna viene in mio soccorso, apre la sua borsetta, ha un paio di fazzoletti che mi presta. Due chiacchiere e qualche sorriso per sciogliere la tensione del momento e lo spavento...Ma chi è un angelo? Serve dell'acqua e mi indica un chioschetto di fronte, vicinissimo, dove andarla a prendere. Mi giro, torno dopo 5 metri e 5 secondi di numero e...bella donna e brutto zainetto non ci sono più...spariti tra la gente. Non è possibile! Mi sono solo girato un secondo...dove sono? Che fine hanno fatto? Che è successo? Ancora non capisco, finché un ragazzo mi si avvicina. «Amigo, te robaron! Estan ahì dentro de ese taxi! Si corres yo creo que los puedes alcanzar...» Vedo in lontananza il taxi indicatomi dal tipo e cerco di raggiungerlo. Una corsa assurda. I ladri di merda non lo sanno ma io posso correre all'infinito, anche ai 3000 m di altitudine di Quito. Sono superallenato, prima di arrivare qui ho fatto una settimana di allenamento in alta quota a 2000 m nel parco metropolitano di Leòn in Messico dove ero con la mia famiglia. Non corro. Volo! E sto volando verso il mio zainetto. Il taxi lo raggiungo, ma dentro ci sono solo due ignari signori anziani che non sanno nulla della vicenda ed un tassista che mi guarda con occhi stralunati come se venissi da Marte.

A questo punto, ansimante mi siedo. Tutto è accaduto in non più di un minuto, in una manciata di secondi davvero e non ho avuto tempo per capire e riflettere.

Sono stato derubato e tutti erano d'accordo. A versarmi il liquido puzzolente era stata la strafiga in minigonna con gli occhi da cerbiatto ed il ragazzo, che mi ha indicato il taxi per farmi allontanare dal luogo del furto, era ovviamente il suo compare. Bienvenido a Ecuador Esteban!

Mi siedo. Ancora non ci credo. Esterrefatto da cotanta stupidità...Sei un coglione Stè, ti sei fatto fregare come un idiota qualsiasi! Una ragazza affascinante ti fa gli occhi dolci, una minigonna e due tette in mostra e tu abbocchi come un pesce lesso? Doppiamente idiota! E poi che cazzo ci facevi in quel quartiere malfamato di Quito? Sì va bene, dovevo attraversarlo per raggiungere l'ufficio turistico per ottenere il visto per le Galapagos, ma la stessa polizia mi aveva detto di non farlo a piedi in quanto molto pericoloso...

Va beh, pazienza...serve per imparare. Fortunatamente nello zaino rubato non c'era un cazzo di niente, un paio di mutande, una maglietta, il computer subacqueo. Null'altro. Il minimalismo soprattutto in viaggio è il mio credo...pazienza....meno male, va beh dai, non è successo niente...Poveri ladri quando apriranno il mio zainetto!

Poi un bestemmione tuonante (se esisti Signore perdonami...) squarcia il cielo di Quito.

Il passaporto. Porcaccia troia il passaporto!!! Era lì!!! Il passaporto sempre addosso, lo so bene, ma non era stato un errore da principiante. Semplicemente avevo una sola piccola tasca nei pantaloni e lì avevo il portafoglio, il documento non c'entrava, rischiava di cadere. E l'altra tasca non era utilizzabile perché si era totalmente aperta. Stavo infatti girando per comprare pantaloni nuovi, non avendone altri al seguito.

Cominciano così, nel peggiore dei modi, le mie due folli settimane in Ecuador.

La denuncia di furto non voglio farla, non posso farla...invaliderebbe il mio passaporto. Non potrei tornare in Messico dove mi aspettano Gaby ed i bambini...sarebbe un bel casino. Comincia allora una ricerca disperata e quel quartiere malfamato della capitale ecuatoriana, vicino all'ospedale, sarà la mia casa per un giorno intero. Parlo con la polizia e delinquentelli locali. Offro denaro il cambio del mio documento e faccio spargere la voce. Arrivo anche ad appendere un testo nei luoghi maggiormente di passaggio. Quella bella donna devono conoscerla tutti, non passa inosservata una così. Ma non ne cavo un ragno dal buco...anzi. A tarda sera mi si avvicina un brutto ceffo, armato. Non ho paura perché qui tutti sono armati ed all'angolo della strada c'è un poliziotto; anche se a dir il vero, nei paesi centro-sudamericani c'è più da aver paura della polizia che della criminalità locale.

«Eres tù el chico del pasaporte? Véte de aquì, amigo. Escuchame amigo, vete de aquì...no insistas. Te vas a matar...». In sostanza, mi "consiglia" di lasciar perdere ed andarmene. Non mi minaccia direttamente, ma lo fa in modo sottile e velato: il tono è quasi amichevole e la pistola nella cintura ben in vista. Mi spiega che i passaporti, soprattutto se europei e nordamericani, nel mercato nero sono molto "ricercati" per la realizzazione di documenti di viaggio falsi e che ogni mio tentativo di ritrovarlo sarebbe stato solo una perdita di tempo. Una pericolosa perdita di tempo. «Esto no es un lugar para ti. Véte de aquì, amigo».

Ok, direi che lascio perdere. Ci tengo alla pellaccia. E' tra l'altro nata da poco la mia patatina Maya, sono tutti in Messico e devo riuscire a tornare. Devo fare la denuncia di furto ed andare all'ambasciata italiana. Sto nella merda fino al collo. E con il sogno Galapagos che si allontana.

Diverse persone in tutte le due settimane di viaggio in Ecuador, mi confermeranno che la sicurezza nel paese è diventato il problema principale, soprattutto nelle città di Quito e Guayaquil, dove ormai furti ed assalti, a turisti ed autoctoni, non si contano più. Gli ecuatoriani incolpano di ciò i peruviani e soprattutto i colombiani. La Colombia, oramai convertita al business del turismo, ha fatto terra bruciata intorno alle farc, cosicché i guerriglieri delle forze armate rivoluzionarie sono entrati in Ecuador. Non sapendo fare altro, rapinano banche, assaltano negozi, sequestrano. Spesso ci scappa il morto perché qui in Ecuador, quasi tutti girano armati.

Denunciato il furto, non mi resta che andare in ambasciata a vedere il da farsi. Problemi di soldi non ne ho perché portafoglio e carte di credito non sono state rubate, le avevo con me. Sono fortunato. All'ambasciata trovo persone davvero disponibili. Interagirò molto con la gentilissima funzionaria italiana Mara Gerevasi. Ho una scansione ben fatta nella posta elettronica del mio passaporto e ciò accelererà l'iter per il rilascio, che comunque richiederà non meno di una decina di giorni. I tempi sono strettissimi. Comincia un iter burocratico lungo, complicato dal fatto che il fuso crea orari totalmente differenti ed incompatibili tra uffici italiani ed ecuatoriani. Mi aiuta mio zio Massimo in Italia che lavora in questura ad Ascoli: senza di lui non avrei potuto assistere alla nascita di mio figlio Leonardo, anche quella volta per un problema col passaporto. Senza di lui probabilmente sarei rimasto in Ecuador tanto tempo senza poter rientrare in Messico da Gaby. Grazie caro zio, a buon rendere!

Io però non mi accontento mai. Non sarà un piccolo contrattempo ad impedirmi di andare alle Galapagos. Cazzo faccio 2 settimane a Quito? 2 settimane aspettando il nuovo passaporto? Certo che no. Alle isole dell'arcipelago di Colombo, io voglio andare a tutti i costi. Illustro il problema a Mara, implorandola di aiutarmi. Sì, è possibile. L'ambasciata può farmi prendere un volo interno con la mia carta d'identità italiana ed un'autorizzazione temporanea da loro rilasciata, che però non potrà esser pronta prima di 2 giorni per assenza del console. Grande! A me questa tempistica va veramente di lusso...Proprio il tempo necessario per una scalata a qualche vetta delle Ande!

Via immediatamente da Quito, città che al di là di quanto successo, fa veramente schifo. Anche la vecchia cittadina coloniale non ha davvero nulla di particolarmente interessante. Subito alla Mitad del Mundo per passarci un paio d'ore, ascensione pomeridiana di acclimatamento al Pichincha e poi Avenida de los vulcanes per la scalata del Cotopaxi!

Alla metà del mondo!

Un piede nell'emisfero boreale, l'altro in quello australe...dove si può provare quest'esperienza? Ad un'oretta in combi da Quito, la località abitata di La Mitad del Mundo è situata proprio lungo la linea dell'equatore, latitudine 0° 0' 0" un posto abbastanza carino ma finto; i quiteños, gli abitanti di Quito, vi si recano spesso e volentieri durante il weekend per andare a mangiare fuori o fare una passeggiata.

Monumento "La mitad del mundo"

Nel XVIII secolo, la reale accademia delle scienze, incaricò alcuni studiosi francesi di misurare la terra e redimere la questione mai chiarita della sua forma. Inviò pertanto alcuni esploratori ed esperti verso il polo nord ed altri, guidati dal matematico e geografo Charles-Marie de La Condamine, a Quito nell'allora Grande Colombia. Scelsero le Ande perché essenzialmente è l'unico posto al mondo in cui la linea dell'equatore attraversa un luogo di alte montagne sgombre da nuvole. Non c'è caldo eccessivo né malaria e le osservazioni scientifiche si possono effettuare in un paesaggio che offre grande visibilità, senza una pericolosa ed impenetrabile giungla fitta come in Amazzonia o in Africa. Impiegarono ben 9 anni, dal 1735 al 1744, per misurare, tramite la tecnica della triangolazione, un arco di meridiano terrestre, circa 345 km, un'impresa titanica perché i rilievi estenuanti li obbligarono a scalare molte montagne delle Ande, tra cui il Cotopaxi ed il Chimborazo, i due vulcani del mio dilemma andino pre-Galapagos, trasportando oltretutto al seguito pesanti attrezzature e strumentazioni. Gli ostacoli al loro lavoro furono tantissimi, non solo ambientali e climatici, politici ed economico-finanziari ma anche personali con rivalità interne, ambizioni e difficoltà personali...molti dei partecipanti non tornarono più in patria. Un membro della spedizione si suicidò ed altri morirono assassinati; il cartografo sparì in Amazzonia durante il viaggio di ritorno e nessuno ne seppe più nulla; altri decisero di fermarsi in Perù e lì rimasero per sempre, evidentemente stregati dal Sud America. La Condamine riuscì a tornare in Francia dopo aver navigato tutto il Rio delle Amazzoni e rischiato la vita diverse volte. Fu acclamato come un eroe e scrisse il "Diario di viaggio all'equatore": senza volerlo e saperlo, diede il nome, Ecuador, al paese sudamericano quando questi si separò dalla Grande Colombia nel 1830. La spedizione geodetica francese, nonostante i diversi drammi ed i tanti lati oscuri, degni di un thriller alla Agatha Christie, compì una prodezza notevole per quei tempi. I risultati ottenuti furono impressionanti, non lontani dalla verità scientifica perché la vera linea dell'equatore passa sul monte Catequilla, in un’area considerata da sempre sacra per le comunità indigene, a soli 300 m a nord dal famoso monumento della Mitad del Mundo: un errore davvero minimo su 345 km.

La conclusione degli studi, in ogni caso, è che la Terra non è realmente rotonda, ma schiacciata sui poli e bombata all'equatore, come è logico che sia per via dell'accelerazione centripeta. Tecnicamente è un geoide di rotazione.

Cotopaxi: il mio primo 5000

Sono prontissimo per il mio primo 5000. Anzi, un quasi 6000 metri! Il Cotopaxi, un cono perfetto della bellezza di 5.872 m di altezza, la seconda montagna più alta dell'Ecuador dopo i 6310 m del Chimborazo ed il terzo vulcano più alto del mondo dopo il Sabancaya in Perù (5.985 m) e l'Ojos del Salado in Cile (6.893 m). Il nome in lingua quechua significa “collo della luna” e deriva probabilmente dal fatto che talvolta la luna, quando la vetta è scoperta, sembra poggiarsi sul suo cratere, dando l'impressione che il Cotopaxi sia il suo collo: la montagna infatti si slancia nel cielo disegnando uno splendido cono, al punto che lo si potrebbe paragonare al ben più famoso vulcano giapponese Fujiyama.

Il cono perfetto del Cotopaxi, "il collo della luna"

Il Cotopaxi è uno dei vulcani più pericolosi delle Ande. Le eruzioni, tuttora un grande rischio per la popolazione locale, sono sempre state molto violente con colate di lava e fango, scioglimento dei ghiacciai, emissioni piroclastiche di pietre, lapilli e ceneri per chilometri. La città di Lacatunga è stata distrutta almeno due volte nel corso della sua storia. Incredibile come ci sia il fuoco poco sotto al ghiaccio. Un'eruzione violentissima e spettacolare avvenne addirittura nel 1734 nel bel mezzo di una battaglia in corso tra indios e spagnoli. L'eruzione del 1877 fu una delle più violente della storia e causò la scomparsa di molti villaggi, seppelliti da una gigantesca colata lavica che raggiunse addirittura il litorale pacifico, situato 100 km più ad ovest, e la parte occidentale del bacino del Rio delle Amazzoni. E' stato creato un parco nazionale per proteggere l'ecosistema dell'area, costituito dal tipico brullo paesaggio andino con diversi animali in libertà, come cavalli selvatici e volpi. Entro nel parco, obbligatoriamente con guida locale ed espletiamo al gate d'ingresso le formalità burocratiche per l'ascesa. L'attrezzatura pesante al seguito, tranne i miei scarponi d'alpinismo è tutta affittata. Ramponi e piccozza, torcia frontale, sacco a pelo, guanti e giacca a vento, maglia, pantaloni e calzini termici...penso che tale materiale non si lavasse da qualche anno per quanto puzzava.

Ingresso al parco nazionale del cotopaxi, espletamento formalità burocratiche per l'ascensione

Io sono già molto ben acclimatato: vengo da una settimana di allenamento ai 2000 m di Leòn in Messico, sono stato 2 giorni ai 3000 metri di Quito andando sempre a correre, nel suo parco centrale, vicino all'ambasciata italiana che oramai conosco a memoria, ovviamente senza contare le inutili corse a perdifiato dietro fantomatici taxi di rapinatori di passaporti. Ieri ho fatto anche un'ascensione abbastanza facile ai 4787 metri del Pichincha, la montagna che sovrasta Quito...

In queste condizioni, posso riuscire a scalare il Cotopaxi in soli due giorni con un unico pernottamento in quota nello spartano rifugio di alta montagna Josè Ribas, a 4800 metri.

La via normale non presenta particolari difficoltà tecniche. Si sale in vetta, ovviamente non affrontando la salita per direttissima ma effettuando un percorso a spirale sul cono, che allunga la strada ma riduce di molto la pendenza, con ramponi ai piedi per la presenza di ghiaccio molto scivoloso.

La sera prima della vetta, sotto alla base del ghiacciaio

A nanna, si fa per dire perché a quelle quote si dorme malissimo, siamo già alle 8 di sera. Verso l'una di notte partiamo per la cima, come da prassi per la conquista delle vette andine ed himalayane. Dopo circa 5 ore di salita raggiungiamo il Cotopaxi (5897m), con nausea costante e mal di testa che sopra i 5500 non mi hanno mai abbandonato. La stessa sensazione, alle stesse quote la proverò sul Kilimangiaro. Tutto benone fino a 5500, da lì in poi l'inferno. Ho capito che la mia soglia di tolleranza se i tempi sono stretti e l'acclimatamento non è rigorosissimo, è a questa fatidica altitudine. All’alba del 17 dicembre sono sulla vetta del più alto vulcano del mondo ancora attivo e posso guardare sotto il suo cratere, largo circa 800 m, da dove ogni tanto scappa qualche fumata. Purtroppo della vetta non ho foto perché il freddo scaricherà molto velocemente la già vecchia batteria della macchina fotografica. Siamo sopra la linea delle nuvole ed in lontananza si intravede il Chimborazo. Il tarlo in testa dell'alpinismo di alta quota nascerà proprio da questa esperienza.

Al mio ritorno a Quito fortunatamente il visto per poter viaggiare in aereo dentro al paese sarà pronto. Un rapidissimo controllo ai voli ed la solita corsa a perdifiato all'aeroporto: c'è un volo diretto pomeridiano per Baltra. I miei viaggi sono così, una corsa continua contro il tempo. Posso coronare finalmente dopo mille avventure e peripezie, il più grande desiderio naturalistico della mia vita. Le Isole Galapagos. La sera del 17 incredibilmente già sono lì.

All'alba ero sulla vetta del Cotopaxi a quasi 6000 metri. La sera sono a Puerto Ayora.

Isole Galapagos, Charles Darwin e Dio

Galapagos. Pochi nomi di luoghi geografici possiedono un tale potere evocativo. Si comincia a sognare, già soltanto pronunciando il nome. Non sono un semplice gruppo di isole, ma un pianeta sconosciuto, primordiale e misterioso abitato da popolazioni mostruose, uniche ed immortali quali iguane e tartarughe giganti; vegetazione rigogliosa, desolazione vulcanica e spiagge incantate si alternano senza soluzione di continuità nelle sue 19 isole principali disposte sia a nord che a sud della linea dell'equatore: "las islas encantadas", come un tempo venivano chiamate.

L'arcipelago, noto anche come arcipelago di Colombo o di Colòn, situato un migliaio di km ad ovest delle coste dell'Ecuador, è considerato una delle zone "vulcaniche" più attive della Terra: le isole geologicamente più vecchie hanno circa 4 milioni di anni, mentre le più giovani sono ancora in via di formazione.

Mappa delle Isole Galapagos, dipinto presente su una barca per sub (A. Davey)

Il fatto assolutamente eccezionale ed unico al mondo è che nessun essere umano ha messo piede in queste isole prima del 16° secolo: tutto è rimasto intatto dalla notte dei tempi perché l'uomo non ha avuto modo di plasmare la natura a suo piacimento. Le isole Galapagos sono uno dei pochissimi posti al mondo che non ha mai avuto una popolazione indigena. Sono state scoperte solo nel 1535 e per i successivi secoli furono solo occasionale e temporaneo rifugio per naufraghi e pirati.

Una serie di fattori tra cui soprattutto l'isolamento geografico dovuto alla grande distanza dal continente, il particolarissimo microclima dovuto alla confluenza di molte correnti marine, l'assenza assoluta della specie devastatrice per eccellenza, ovvero l'uomo, hanno portato all'evoluzione di numerose specie endemiche di animali e vegetali. Charles Darwin vi soggiornò per 5 settimane nel 1835 visitando le isole di San Cristobal, Santiago, Floreana ed Isabela: dall'osservazione e dallo studio di queste isole, da lui definite un vero e proprio "laboratorio vivente", lo studioso trasse ispirazione per la formulazione della teoria dell'evoluzione, oggi uno dei pilastri della biologia moderna. Nel 1859, 24 anni dopo, pubblicò la sua opera più famosa: "L'origine della specie". Darwin osservò con curiosità l’elevatissima diversità specifica della fauna e della flora locali da isola ad isola: fu colpito ad esempio dal fatto che uccelli di una stessa specie avessero ali o becchi diversi da un'isola all'altra osservando anche che le due isole non avevano né terreno né vegetazione simile. Ebbe dunque la brillante idea di mettere in relazione le caratteristiche morfologiche delle diverse specie con le caratteristiche ambientali del loro ecosistema. Notò che le strategie di adattamento all’ambiente che queste specie avevano sviluppato, avevano dato avvio a una vera e propria speciazione, come conseguenza dell'inevitabile selezione naturale guidata dalle caratteristiche ambientali. Era nata la sua famosissima e controversa teoria evolutiva, tuttora la più accreditata in campo scientifico anche se oggi è stata ulteriormente integrata e completata con altre scienze come la genetica e la paleontologia (la cosiddetta teoria moderna dell'evoluzione o neodarwinismo).

La tesi principale è che la vita sulla terra è avvenuta per mezzo di selezioni naturali, mediante l'eliminazione di tutti gli elementi meno adatti a sopravvivere in un determinato luogo. Le specie che non si sono adeguate all'ambiente naturale semplicemente sono scomparse. La selezione naturale opera sulle variazioni che per puro caso si verificano in certi individui di una stessa popolazione, facendo sì che quelli con le nuove caratteristiche, con le "mutazioni genetiche" vantaggiose rispetto all’ambiente in cui vivono, possano avere maggiori probabilità di sopravvivenza e di riproduzione passando tali caratteristiche alle generazioni future. Gli individui sprovvisti di tali mutazioni poco a poco scompaiono, perché soccombono nella lotta per la sopravvivenza. Tutte le specie, uomo ovviamente compreso, discendono quindi da una linea evolutiva lunga milioni di anni entro cui si sono succedute un numero enorme e casuale di variazioni, le quali hanno via via prodotto specie diverse, partendo da un primitivo comune ceppo originario.

In particolare, l'uomo non è più al vertice di una gerarchia immobile prestabilita ma viene riportato e confinato entro il regno animale in un universo in perenne cambiamento, partecipe del processo evolutivo come qualsiasi altra specie, né più né meno. Viene abolita ogni sua pretesa religiosamente antropocentrica di superiorità spirituale ed intellettuale. Nessun riferimento a Dio, un colpo durissimo alla religione. Brutalmente e sostanzialmente, l'uomo deriva dalla scimmia. Le prove di ciò, secondo Darwin e secondo la scienza attuale, erano e sono schiaccianti.

Charles Darwin ed il frontespizio della sua opera più famosa

La teoria di Darwin, nonostante le tantissime prove e le costanti conferme, fu ben presto osteggiata da gran parte dell'opinione pubblica e del mondo scientifico, fedele al concetto religioso ed antropocentrico di "immutabilità delle specie" e superiorità della specie umana rispetto alle altre.

La sua teoria era in totale ed aperta contraddizione con il creazionismo, il quale ritiene le specie il frutto della mano creatrice di Dio, dunque necessariamente perfette ed immutabili.

La polemica fra evoluzionisti e creazionisti è tuttora ben aperta. Ancora oggi, diversi movimenti religiosi radicali, per lo più americani, continuano a sostenere che sia avvenuta una creazione delle specie circa 6000 anni fa in accordo con la Genesi della Bibbia e sono riusciti a far cancellare lo studio di Darwin dai programmi di biologia delle scuole superiori in alcuni stati degli USA. La maggior parte dei gruppi religiosi invece oggi sostengono il cosiddetto "creazionismo scientifico", ovvero non negano la teoria dell'evoluzione ma pensano che non sia la casualità il motore del cambiamento ma il disegno divino, credendo in ogni caso che l'anima infusa nella specie umana sia comunque diversa e superiore rispetto a quella dei suoi predecessori ed a quella di altre specie. Sostanzialmente è un'ammissione solo parziale della teoria dell'evoluzione che salva capra e cavoli, per non scontentare né cattolici né scienziati. A mio avviso invece è un assoluto aborto di compromesso. Odio al solito i compromessi. Scienza, ovvero rigoroso metodo scientifico, e religione, ovvero puro ed incondizionato atto di fede nei confronti di Qualcosa di assolutamente indimostrabile, non si possono conciliare in nessun modo ed a mio avviso devono sempre rimanere su piani distinti. Ogni tentativo di conciliazione non può che esser un orribile pastrocchio, esattamente come questo. Lo stesso Darwin era ben consapevole dell'assoluta incompatibilità tra le sue teorie, considerate nell'ambiente ecclesiastico orrende eresie, ed il cattolicesimo; sapeva che poteva esser condannato per blasfemia. In tutta la sua vita ebbe pensieri piuttosto altalenanti e controversi sulla compatibilità tra evoluzionismo e religione, sul suo esser credente o ateo, arrivando infine alla conclusione che fosse agnostico. Nella sua autobiografia, così scriveva:

«Un altro argomento a favore dell'esistenza di Dio, connesso con la ragione più che col sentimento, e a mio avviso molto importante, è l'estrema difficoltà, l'impossibilità quasi, di concepire l'universo, immenso e meraviglioso, e l'uomo, con la sua capacità di guardare verso il passato e verso il futuro, come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità. Questo pensiero mi costringe a ricorrere a una Causa Prima dotata di un'intelligenza in certo modo analoga a quella dell'uomo; e mi merito così l'appellativo di teista. Questa conclusione, a quanto ricordo, era ben radicata nella mia mente al tempo in cui scrissi l'Origine delle specie; ma in seguito, dopo molti alti e bassi, si è gradualmente indebolita.»

E sulla sua condizione di ateo o credente egli affermò:

«Nelle mie fluttuazioni più estreme, non sono mai stato un ateo nel senso di negare l'esistenza di un dio. Ritengo generalmente (e sempre di più invecchiando), ma non sempre, che agnostico corrisponderebbe alla definizione più corretta della mia condizione intellettuale».

Ed io? Qual è il mio rapporto con Dio? Oggi, direi molto simile a quello di Darwin: mi identifico moltissimo nella sua seconda, "agnostica" affermazione. Ma non è stato sempre così. Pur essendo cresciuto in una famiglia profondamente cattolica, ben presto, fin da giovane mi sono allontanato dall'ambiente ecclesiastico. Sarà per la mia forma mentis plasmata dagli studi scientifici poco orientata al pensiero dogmatico e molto più alla curiosità ed allo spirito critico, sarà per le mie idee politico-economiche socialiste che mi hanno fatto sempre vedere la religione come un vero e proprio "oppio dei popoli" che scoraggia ed ostacola ogni impeto rivoluzionario nell'obbligo del perdono e della non violenza a prescindere, nella promessa dell'eternità e della giustizia più divina nell'aldilà che terrena nell'aldiquà...sarà stato lo studio della storia con le tante atrocità commesse in nome di Dio, di una Chiesa sempre al servizio dei potenti e mai delle masse, carità a parte che però non serve macroscopicamente ad un cazzo di niente, anzi, è funzionale al mantenimento dello status quo del grande capitalismo internazionale e serve a metter la coscienza a posto dei ricchi che così possono meglio giustificare le distorsioni e le assurdità di un sistema a loro soltanto funzionale. Rispetto e stima assoluta nei confronti dei parroci di quartiere che aiutano le comunità offrendo il loro encomiabile servizio ma il povero resta povero ed il ricco sempre più ricco, senza che mai una sola cazzo di parola si alzi in una sola cazzo di predica da un qualche cazzo di pulpito del mondo. Io credo che la Chiesa in tutto ciò abbia avuto una ruolo ed una colpa fondamentale, sempre impegnata a combattere il socialismo difendendo però a spada tratta il capitalismo, responsabile unico della povertà e delle disuguaglianze del mondo. Ho visto sempre una profonda incoerenza in questo: un'istituzione che predica il bene, la pace, l'armonia, il benessere comune, la spiritualità, il rispetto dell'ambiente e di tutte le persone del mondo, come cazzo fa a non avere come primo nemico il sistema economico capitalista, unico responsabile di tutto il contrario?

Forse mi sono allontanato dalla chiesa anche per quelle litanie spaccapalle che si sentono in Chiesa e si ripetono mnemonicamente a memoria delle quali non ho mai capito il senso. A messa mi annoiavo profondamente e non vedevo l'ora che finisse, a parte magari quando avevo qualche fanciulla carina a fianco. Non lo so. Fatto sta, che questa consapevolezza negli anni mi ha portato all'ateismo ed all'anticlericalismo più radicale.

Oggi sono cambiato. Oggi sono molto vicino alla posizione agnostica di Charles Darwin. L'ateismo si è decisamente ammorbidito e credo che un profondo rapporto uomo-Dio possa esistere a prescindere da una istituzione corrotta, bigotta e malata che impone regole e condizioni e fornisce un pessimo esempio. Oggi ho un rispetto totale ed incondizionato nei confronti della fede del singolo, non ho più le certezze incrollabili di un tempo e sono possibilista. Lo stesso Fidel Castro, checché se ne dica, un gigante della storia, poco prima di morire disse in un'intervista che il suo più grande errore a Cuba era stato sottovalutare la forza della fede e della religione nelle persone.

Io non ho avuto, perlomeno non ancora, il dono della fede, ma sono sempre più convinto dell'esistenza di un'Intelligenza superiore alla nostra, di qualcosa di più grande, di molto più grande di noi. Cosa sia, non lo so e non ho alcuno strumento per scoprirlo. Credo e percepisco nel mio intimo che l'intera questione sia troppo profonda, soggettiva e complessa, dunque, forse in modo codardo e semplicistico, non mi schiero più e preferisco astenermi dal giudizio. Nella mia vita spesso certezze assolute sono svanite in un batter d'ali di farfalla. Oggi l'unica verità che ho è l'osservazione della realtà esteriore ed interiore, il pensiero critico ed il dubbio cartesiano perenne.

Problemi delle Isole Galapagos

L'ecosistema isolato delle Isole Galapagos, sviluppatosi nel corso di milioni di anni, presenta per forza di cose un equilibrio delicatissimo, dove qualsiasi cambiamento, sia di origine naturale che antropica, provoca gravissimi disturbi e squilibri sulla sua stabilità.

Il rapporto delle isole con l’uomo non è mai stato felice. Arriva lui e comincia presto il casino. Intorno al 1800 esplose la caccia alle balene ed alle foche. I balenieri insieme ai commercianti di pelle di foca ed ai bucanieri, ben presto scoprirono che le testuggini, stivate sul loro dorso, immobili, potevano sopravvivere per più di un anno senza acqua e cibo: decimarono così migliaia di tartarughe giganti, sia per estrarne il grasso, sia per mangiarle durante i viaggi. Alcune sottospecie, come quella del famosissimo Lonesome George di Puerto Ayora, sono state portate all’estinzione. Darwin scrisse nei suoi diari: «Una sola nave ha ucciso duecento testuggini in un giorno, un’altra ne ha portate via 700 [...] il numero delle testuggini è molto diminuito nell'isola di Floreana».

Delle quindici sottospecie di tartarughe giganti che popolavano le isole prima dell'arrivo dell'uomo, a seguito della spietata caccia dei balenieri del 19° secolo, ne sono sopravvissute solo nove.

Il simbolo indiscusso delle isole Galapagos, la tartaruga gigante

La popolazione di foche fu anch’essa molto vicina all’estinzione. Nell’ottobre del 1820 un marinaio irresponsabile accese un fuoco che rapidamente si estese a tutta l’isola di Charles, l'attuale Floreana, bruciando tutto quello che esisteva su di essa e sterminando gran parte degli organismi che vi abitavano. Con i balenieri ed i pirati cominciò l'inevitabile produzione di rifiuti ed arrivò anche l'introduzione di specie invasive come le capre, i cani, i gatti ed i ratti.

Il 12 febbraio 1832 le isole furono annesse all’Ecuador e nell’ottobre dello stesso anno, il primo governatore delle Galapagos inviò qui un gruppo di banditi e condannati, seguiti presto da alcuni artigiani e contadini del continente che costituirono il primo gruppo sociale stabile delle isole: da quel momento in poi le Galapagos saranno abitate.

Quando Darwin giunse nel 1835 nell'arcipelago, trovò un ambiente relativamente poco contaminato ma che già risentiva della presenza dell’uomo il quale aveva già introdotto specie invasive che stavano cominciando a minacciare la biodiversità delle isole entrando in competizione con le specie autoctone.

Durante la seconda guerra mondiale gli americani affittarono le isole e vi rimasero fino al 1948. Nel 1959 il governo dell’Ecuador per salvaguardare la natura unica dell'arcipelago, dichiarò Parco Nazionale tutta la regione delle Galapagos. Nello stesso anno nacque la fondazione Charles Darwin, la cui missione consiste nella protezione di tale eccezionale ecosistema e nel 1964, fu inaugurata l'omonima stazione scientifica. Nel 1978 le isole Galapagos sono state giustamente incluse nella lista dell’UNESCO come patrimonio mondiale dell'umanità.

Le isole Galapagos dovrebbero essere tra i luoghi più protetti del mondo per la loro altissima biodiversità e per le loro uniche caratteristiche geografico-ambientali e biologico-evolutive. Purtroppo, malgrado le leggi e i decreti creati ad hoc per la loro salvaguardia, esistono un’enormità di problemi ecologici molto difficili da controllare e limitare, tutti derivanti da un'unica causa: l'industria del turismo e la conseguente crescente antropizzazione delle isole.

Prima dell'avvento del turismo, intorno al 1970, l’esigua popolazione locale delle Galapagos viveva essenzialmente di pesca ed agricoltura di sussistenza, limitate al soddisfacimento della piccola domanda interna. Arriva il dio denaro, arrivano i dollaroni soprattutto americani dal grande nord e cambia radicalmente l'economia e la mentalità della popolazione locale: la finalità è ora entrare nel grande mercato globale per guadagnare soldi. Oggi il turismo non è solo l'attività principale alle Galapagos, è sostanzialmente l'unica. Il volume di visitatori è passato da poche centinaia all'anno nel 1970 a circa 250.000 oggi, determinando ovviamente l’aumento della popolazione stabile locale, triplicata nel corso di tre soli decenni. Nel 1980 la popolazione stanziale delle Galapagos ammontava a 5000 persone, 10 anni dopo era raddoppiata. Oggi siamo intorno alle 30.000 persone, una cifra decisamente insostenibile per il fragile ecosistema delle isole. L'aumento demografico è inarrestabile e non riflette ovviamente la crescita normale della popolazione locale ma è il prodotto quasi esclusivo dell’immigrazione spesso indiscriminata, non controllata e non regolamentata. Le attività turistiche aumentano in modo esponenziale sviluppandosi in funzione del flusso turistico crescente, cosiccome tutto l'indotto e le attività correlate come pesca, trasporti ed infrastrutture necessarie. Queste richiedono personale più o meno qualificato e nella speranza di trovare lavoro che in continente scarseggia, gli ecuatoriani invadono le isole, portando con loro ovviamente un’infinità di problemi dovuti alla crescente antropizzazione: produzione in situ di risorse alimentari mediante allevamenti di animali e coltivazione di zone originalmente coperte dalla vegetazione locale spontanea, costruzione di nuove abitazioni e necessità di migliori infrastrutture...serve acqua, elettricità, si devono costruire scuole ed ospedali, nuove abitazioni e sistemi fognari che inquinano le acque dell'arcipelago. Si producono rifiuti in quantità impossibili da gestire sulle isole e che dunque sono bruciati indiscriminatamente, con il conseguente inquinamento atmosferico. Una delle conseguenze più devastanti dell’aumento del turismo e della popolazione stabile è l'aumento delle specie invasive, soprattutto domestiche, assai nocive per la fauna e la flora autoctona.

Il governo, perennemente combattuto tra le sacrosante necessità di salvaguardia dell'ecosistema e le comprensibili esigenze di far cassa e di far girare la debolissima economia nazionale, cerca di limitare e di controllare il flusso turistico imponendo un tetto al numero dei visitatori, mantenendo alti i prezzi dei permessi d'ingresso, dei biglietti aerei dal continente e delle escursioni. Ma le misure sono assolutamente insufficienti ed il controllo dello stato sull'arcipelago, quantitativo e qualitativo, non viene applicato come dovrebbe e sarebbe necessario. Inevitabilmente, tra le due esigenze contrapposte di cassa e tutela ambientale, è il compromesso a vincere: il numero chiuso al flusso turistico c'è, ma è comunque troppo alto.

In ogni caso, una delle azioni più importanti realizzate per salvaguardare questo incredibile paradiso naturalistico, è stata la chiusura totale di molte isole dell'arcipelago all'uomo e la loro trasformazione in aree totalmente protette riservate ai soli studi scientifici. Solo il 3% dell'intero territorio è accessibile e delle 19 isole, quelle abitate ed aperte al turismo sono solo 4: San Cristobal, Isabela, Santa Cruz e Floreana, con una cinquantina di punti di accesso autorizzati e visitabili esclusivamente accompagnati da guide locali ed una manciata limitatissima di luoghi totalmente liberi e percorribili in totale autonomia. Non proprio il massimo per un backpacker come me, ma è assolutamente giusto così.

Esistono due modi sostanzialmente per viaggiare alle Galapagos. Quello scelto dalla stragrande maggioranza delle persone, decisamente più facile, più costoso ed assai più turistico, è una crociera che include ovviamente una guida naturalistica per poter fare le escursioni a terra. Una crociera permette di guadagnare molto tempo ottimizzando gli spostamenti, perché i lunghi trasferimenti tra le isole avvengono la notte. Eventualmente se la barca è attrezzata si possono fare anche immersioni, raggiungendo le isolette più lontane dell'arcipelago come Wolf e Darwin, regno degli squali martello e degli squali balena. Non ci si deve occupare di nulla, però il contatto con i locali è limitatissimo e si viaggia tra turisti, la maggior parte dei quali sono chiassosi americani, irrispettosi e tronfi.

L'altro modo alternativo e possibile, non preorganizzato è quello di fermarsi e pernottare a terra con gli abitanti locali, a Puerto Ayora (Santa Cruz), Puerto Baquerizo Moreno (San Cristòbal), Puerto Villamil (Isabela) o Puerto Velasco Ibarra (Floreana). Non si è obbligati a prendere alcun pacchetto nel continente, anche se tutti cercano di scoraggiare tale scelta perché se poi si vuole visitare qualche posto protetto, è necessario mettersi alla ricerca di guide locali.

Si può acquistare dalla compagnia aerea il volo ed arrivare sulle isole in totale autonomia.

Il mio alberghetto per 4 notti a Puerto Ayora, isola di Santa Cruz, Galapagos

Esistono sul posto molte guesthouse e pensioncine di locali di poche o nulle pretese dove poter dormire e diversi carinissimi ristorantini, tra iguane e leoni di mare che scorrazzano allegramente. Per i trasferimenti in barca tra le isole si possono sfruttare i traghetti pubblici che partono abbastanza raramente oppure imbarcazioni più piccole e frequenti chiamate "panga". Fatevi però il segno di croce perché sono sì economiche, ma assai instabili e lente, con orari di partenza strani e del tutto casuali. Il viaggio è scomodissimo, seduti su una panca di legno in balia delle onde alte dell'oceano, gente che vomita dappertutto ed ore di navigazione con un senso generale di insicurezza che da quando lasci il porto, non ti abbandona mai.

Abbastanza inutile dire che il mio modo di visitare le Isole Galapagos è stato il secondo di quelli descritti.

“Lonesome George” a Puerto Ayora, Isola di Santa Cruz

Dicembre 2009, esattamente 150 anni dopo la pubblicazione dell'opera magna di Darwin, atterro a Baltra, un isolotto dove si trova l'aeroporto. Un paio d'ore di viaggio tra traghetti e pullman scassati attraversando paesaggi surreali avvolti dalla nebbia e sono a Puerto Ayora, nell'isola di Santa Cruz, un grazioso villaggio dalla popolazione bonaria e dall'atmosfera rilassata e vacanziera molto piacevole. Strade di sabbia, ristorantini di legno e pellicani ovunque, un mix caraibico tra l'Holbox messicana del tempo che fu e Caye Caulker in Belize.

Iguane dappertutto nelle strade di Puerto Ayora!

Capisco immediatamente di esser tornato indietro nel tempo, nella preistoria. Sono dentro il set di Jurassic Park. Un iguana si gode il sole immobile al bordo della strada, tanto le macchine non ci sono...un albatros dalla gigantesca apertura alare, anche superiore ai due metri, si tuffa in mare, i granchi rossi si mettono in mostra sugli scogli neri e le barche ondeggiano sul vicino pontile. Nel piccolo mercato del pesce lungo la via principale che porta alla stazione scientifica, ogni mattina e tarda sera vengo a godermi l'incredibile spettacolo dei leoni marini e dei pellicani, qui sempre presenti, più numerosi delle persone. Tutto normale sull'Isola di Santa Cruz: le persone del posto sono abituate a tutto ciò. Io no e mi sbalordisco per tanta meraviglia. Occhi bene aperti e mente fotografica attiva per imprimere nella mia mente ogni singolo attimo in modo indelebile.

Non scordo ovviamente i miei problemi con il passaporto, lungi dall'esser risolti. Devo trovare un internet point per vedere se mi ha scritto Mara Gerevasi e se tutto procede bene. Ovviamente la legge di Murphy è implacabile: ci sono dei problemi nel rilascio del mio documento. Ancora dei documenti da stampare, firmare e presentare in ambasciata. Mara però sa bene che io sono alle Galapagos, dunque quei documenti li devo per forza spedire. Nessun problema se non fosse che nel 2009 a Puerto Ayora, operazioni banali come scaricare un allegato da internet, stampare un documento, trovare un ufficio aperto se non un paio d'ore la mattina, fare un versamento ed imbucare una lettera, sono invece imprese titaniche ai limiti dell'impossibile. I fax non arrivano, le banche non aprono per fare i versamenti necessari e quando aprono manca la linea telefonica per pagare con la carta, i bancomat non funzionano cosiccome gli scassati pc dell'unico internet point dell'isola...black-out continui con la rete elettrica che salta in continuazione. E se c'è corrente, mancano i fogli per stampare ed il supermercato non li ha...e se il bancomat funziona, il contante è esaurito. Un vero e proprio calvario. Gli orari degli uffici tutt'altro che stakanovisti di Puerto Ayora sono poi totalmente incompatibili con quelli dell'ambasciata di Quito e questi ultimi a loro volta lo sono con la questura di Ascoli a causa delle differenze di fuso orario. Il tempo scarseggia.

Lettera pronta per la spedizione da Puerto Ayora all'ambasciata di Quito

Riuscirò a tornare in Messico? Ho promesso a Gaby che avrei trascorso parte delle festività natalizie con la sua famiglia a Leòn...ancora tra l'altro non ho volo di ritorno per il continente. Se il passaporto non dovesse esser pronto me ne sto chiaramente qui, non nella fogna di Quito! Aspetterò il più possibile per l'acquisto del volo di ritorno. Si avvicina però il natale ed i posti liberi sugli aerei potrebbero scarseggiare. Madonna quante incognite...Il mio angelo custode nel frattempo sbuffa sommerso di lavoro e mi sta insultando in tutti i modi possibili. Gaby dice sempre che quando morirò, tirerà un grande sospiro di sollievo. E' probabile.

Finalmente riesco nella titanica impresa. Versamenti, documenti firmati e quant'altro; tutto è pronto e ben riposto dentro la busta, pronta per la spedizione all'ambasciata italiana di Quito, alla cortese attenzione di Mara Gerevasi. Ora tutto è nelle mani di un ufficio postale di questo tipo.

Angelo custode, please! Non mi abbandonare proprio ora!

Post-Office alle Galapagos...arriverà mai la lettera all'ambasciata?

Una mattinata intera a Puerto Ayora decido di dedicarla alle immersioni subacquee, mia grande passione. Le Galapagos, sono un vero e proprio crocevia oceanico dove convergono molte correnti diverse, la più nota delle quali è quella fredda di Humboldt che arriva dal Polo Sud: gli ecosistemi di acque temperate, tropicali e subtropicali si mescolano, permettendo ai pinguini di nuotare accanto agli squali martello ed ai pesci pappagallo. Sì, avete letto bene, non sto scherzando! All'equatore, ci sono i pinguini! La specie caratteristica delle Galapagos, presente soprattutto tra le grotte laviche dell'isola di Isabela, è la più piccola del mondo non superando i 35 cm; resistono bene sia al calore esterno che alla temperatura fredda dell'acqua. Sono uccelli che non volano, ma incredibilmente nuotano, tanto goffi in superficie quanto velocissimi in acqua, delle vere e proprie schegge impazzite.

Il pinguino delle Galapagos a Concha La Perla ad Isabela

Nelle acque dell'arcipelago, abbondano animali di grandi dimensioni, ovviamente squali di diverse specie, tartarughe verdi, leoni marini, mante oceaniche ed aquile di mare, barracuda e giganteschi pesci luna, che purtroppo mai ho avuto la fortuna di avvistare nella mia vita subacquea. Le condizioni ambientali non sono tuttavia delle migliori e immergersi qui richiede esperienza. Pur essendo all'equatore, infatti l'acqua è fredda, le correnti sono forti e la visibilità, tranne rare eccezioni, è quasi sempre limitata, spesso intorno ai 10 metri, a causa dell'abbondanza di plancton.

I siti più famosi sono lontani dal cuore dell’arcipelago, spostati verso nord e per questo raggiungibili solo in crociera: Darwin e Wolf, due isolotti vulcanici dove si può provare l'ebrezza di immergersi contemporaneamente con gli squali martello e gli squali balena, che qui sembrano esser soprattutto femmine gravide; nessuno però mai è riuscito ad assistere alla nascita di un piccolo “squaletto balenetto”: tale specie, nonostante i tanti sforzi dei ricercatori, è ancora avvolta nel mistero più assoluto, mistero che sicuramente contribuisce ad aumentare ulteriormente il suo enorme fascino.

Le mie due immersioni mattutine avvengono in due siti subacquei vicini Santa Cruz, in corrispondenza degli isolotti di Mosquera e Seymour, regno delle fregate; la visibilità non è eccelsa anche se in alcuni punti migliora abbastanza. Infarto ed adrenalina pura assicurati: c'è di tutto e di più soprattutto i tanto desiderati squali martello. I leoni di mare sono ovunque e ti passano vicino con una velocità ed un'agilità pazzesca. Tanto goffi sulla terra, camminando con le loro 4 pinne natatoie, quanto agili in acqua! Parenti dei trichechi, più piccoli e senza zanne, assomigliano molto anche alle foche, distinguendosi da esse soprattutto per la presenza di padiglioni auricolari esterni del tutto assenti nella foca, e per la taglia: sono molto più massicci, alcuni possono raggiungere i 2 metri e mezzo di lunghezza ed i 400 kg di peso.

Purtroppo in entrambe le immersioni dovrò fare da balia a due turisti che consumeranno tantissimo e faranno pallonate pazzesche nell'assoluta indifferenza della guida. Un gringo dopo 15 minuti a 25 metri era rimasto praticamente senza aria: acqua fredda, forte corrente, acqua torbida, gli squali martello intorno e soprattutto un brevetto di merda, non avevano aiutavano la sua tranquillità in profondità. Gli occhi spiritati. Gli darò il mio erogatore di riserva e concluderemo l'immersione in due, sempre attaccati. Non bastava, anche un altro spagnolo, mi stava vicino come una sanguisuga, spaventato dalla bassa visibilità, dalle forti correnti e dalla lontananza della guida. Mi ritrovo ben presto con due sub totalmente inesperti ed impreparati, uno a destra, l'altro a sinistra e la guida beatamente felice e lontana. E l'ago del manometro che scende a vista d'occhio.

Raggiunta la superficie, ebbi con la guida PADI una discussione fortissima sulla gestione dell'emergenza in profondità. La sua indifferenza totale, il suo menefreghismo mi avevano scioccato. Se non ci fossi stato io, forse le acque dell'arcipelago sarebbero state la tomba dei quei due sprovveduti ed incapaci turisti.

Quella mattinata diving sarà l'unica e l'ultima nell'arcipelago di Colòn, per tanti motivi. A mio avviso le immersioni alle Galapagos sono imperdibili ma le isole sono più belle in superficie che sott'acqua a causa di una visibilità non eccelsa; col limitato tempo a disposizione inevitabilmente occorre fare una dolorosa scelta e tra superficie e sotto la superficie, scelgo la prima; i centri diving sono poi davvero molto costosi sfruttando alla grande il turismo danaroso nordamericano; le condizioni di immersione non sono facili e la maggior parte dei subacquei hanno scarsa preparazione e capacità, con brevetti di bassa qualità comprati in un paio di giorni di corso accelerato, dunque spesso l'immersione si trascorre a risolvere problemi più che a divertirsi.

Dopo aver mandato affanculo la guida subacquea il cui brevetto dovrebbe esser strappato e bruciato, me ne vado a sbollire il nervosismo in un localino con una bella birra gelata. Nel pomeriggio andrò a trovare la tartaruga più famosa del mondo.

Con una coppia di tartarughe giganti alla stazione scientifica Charles Darwin di Puerto Ayora

Ad una decina di minuti a piedi dal centro di Puerto Ayora si trova la stazione scientifica Charles Darwin, un melting pot di scienziati, turisti e tartarughe giganti tra cactus e paesaggi lunari vulcanici. Le testuggini giganti, icone incontrastate delle Isole Galapagos, si possono dividere a grandi linee in 11 sottospecie di cui 5 di colore diverso. Possono raggiungere i 250 kg di peso e vivere molto più a lungo di noi: le più vecchie non si riconoscono dalle dimensioni ma dai licheni e dai funghi che crescono nel carapace.

Alcune passerelle di legno, sopraelevate rispetto al suolo, mi portano alla tartaruga più famosa del mondo, Lonesome George. Trovata nell'isola di Pinta nel 1971, rappresenta l'ultimo esemplare della sua specie, la "Chelonoidis abingdonii" spesso considerata una sottospecie di Chelonoidis nigra e caratterizzata dal carapace "a sella" e dal lungo collo che consentiva agli esemplari di raggiungere le foglie degli alberi fino ad una certa altezza. La sua specie è stata totalmente sterminata dai cacciatori di balene nel 1800 e per questo George è un po' diventato il simbolo della lotta per la conservazione dell'ecosistema delle Galapagos. Anche il suo habitat è scomparso per colpa delle capre, una specie invasiva introdotta dall'uomo che divorando e devastando la flora, sottrae cibo alle tartarughe. Le capre furono eliminate dall'isola nel 1990 ma ciò non è bastato a far ripopolare l'isola.

Pannello di fronte alla tartaruga più famosa del mondo, "Lonesome" George

George fu portato nel 1972 nel centro di Santa Cruz insieme a due belle e sexy femmine provenienti da Isabela, una razza analoga alla sua, ma purtroppo non sembra interessato a riprodursi. I ricercatori faranno tutto il possibile...organizzeranno cenette al lume di candela, compreranno baby doll, perizoma e gadget sexy...niente da fare...Tutti i tentativi di farlo accoppiare con le due femmine di specie prossime per generare esemplari ibridi che comunque conservassero anche solo in parte la linea genetica di Chelonoisis abingdonii, sono falliti. George sarà trovato morto 3 anni dopo il mio arrivo alle Galapagos, nel 2012 all'età di circa 100 anni. La sua specie si era estinta per sempre, dopo milioni di anni di evoluzione, a causa della bestia umana.

Playa Brava a Santa Cruz: la spiaggia più bella del mondo

In tutte le isole Galapagos, in quel 3% del territorio dove l'uomo può mettere piede, esistono davvero posti posti liberamente accessibili. Poco importa, perché tutto è stupore e meraviglia, dal mercato alla stazione scientifica, al porticciolo...gli animali sono ovunque.

Esiste nell'isola di Santa Cruz, un posto magico dove tornerò ogni giorno, ad accesso totalmente free. Signori e signore, si va a Playa Brava, nella spiaggia più bella del mondo. Sì, voglio sbilanciarmi e lo ripeto: Playa Brava è la spiaggia più bella del mondo. Lì ho lasciato davvero cuore ed anima. Una bellezza davvero indescrivibile. Di spiagge incantevoli ne ho viste a centinaia, ma questa le supera tutte. Ad una ventina di minuti di bicicletta dal centro di Puerto Ayora, si raggiunge l'ingresso di uno stretto sentiero lastricato. Una buona mezzoretta di cammino nella fitta vegetazione, tra cactus giganti alti fino a 10 metri, arbusti ed insetti ovunque che ti colpiscono il corpo a tutta velocità, ed arrivi in paradiso. Il panorama è assolutamente indescrivibile.

L'indescrivibile bellezza di Playa Brava

Una gigantesca spiaggia a forma di mezzaluna, chilometrica, una distesa enorme di finissima sabbia bianca che sembra farina. L'immensità ed il fragore dell'oceano. Non ci sono sassi e l'acqua è bassa e cristallina ma le onde sono davvero potenti e la balneazione oltre la riva è comunque sconsigliata perché le correnti sono davvero forti. Non un chiosco, nulla. Zero servizi. Silenzio, tanto silenzio, solo il rumore delle onde del mare e degli uccelli.

Gli animali sono ovunque. Pellicani, sule, leoni di mare, iguane sulla spiaggia a prendere il sole, alcune molto grandi. Le rocce vulcaniche coperte da granchi con le chele rosse. Sono solo. L'impressione è quella di essere dentro il libro della Genesi nel momento esatto della creazione. Il tempo cambia ogni minuto. Il clima alle Galapagos è davvero incredibile, si sta all'equatore ma a volte fa freddo. E' quasi sempre nuvoloso, in molte zone addirittura nebbioso, ma io sono rosso come un peperone. Vento freddo che fischia e le nuvole che si muovono con velocità pazzesca; quando scoprono il sole, ti cuoci letteralmente come carne alla graticola.

Le lacrime agli occhi, non pensavo potesse esistere nel mondo un posto così bello, talmente bello che non può non commuovere. Silenzio assordante e solitudine totale. Sarò sempre solo ogni volta che verrò qui e la cosa mi è davvero incomprensibile: un posto così, a libero accesso, uno dei pochissimi nell'arcipelago, ma assolutamente non frequentato. Da non credere, incredibile ma vero. Ma la spiegazione ovviamente c'è: i turisti che vengono alle Galapagos hanno quasi tutti pacchetti pronti, con comode escursioni già prenotate...qui c'è da camminare tanto e mancano totalmente servizi. Meglio per me, ho trovato il mio angolo di paradiso terrestre alle Galapagos, l'angolo dove tornerò ogni giorno di permanenza a Santa Cruz.

La bellissima sula piediazzurri a Tortuga Bay

All'estremità della spiaggia, si arriva ad una zona più riparata dal moto ondoso e ricca di mangrovie, dove spesso si fermano dei pellicani marroni. A poca lontananza, vicino a delle rocce, si riposa una colonia di leoni marini. Un percorso attraverso la brulla vegetazione porta ad una baia più riparata, ma devo camminare con molta attenzione: le iguane, delle due specie marine e terrestri, sono ovunque, immobili e perfettamente mimetizzate col terreno. Rischio seriamente di calpestarle ad ogni mio passo!

Darwin, riferendosi alle iguane marine, scriveva: «Le rocce sono piene di questi lucertoloni neri, lunghi dai 90 ai 120 cm. Sono creature orribili, stupide e goffe». Nel loro ambiente naturale tuttavia, l'acqua, esse perdono la loro goffaggine e divengono estremamente agili e veloci: possono permanere in immersione anche un'ora rallentando opportunamente il battito cardiaco.

Le iguane terrestri sono invece più grandi, belle e colorate delle marine.

Cammino, lentamente. Godendomi ogni secondo di tale esperienza. Passo di meraviglia in meraviglia, dalla selvaggia Playa Brava all'incantevole Tortuga Beach, una spiaggia a mezzaluna di sabbia di borotalco, più piccola della precedente, circondata da arbusti, cactus e mangrovie. In acqua, leoni marini e tartarughe. Le simpaticissime sule piediazzurri, sono ovunque e si lasciano avvicinare per nulla impaurite. Probabilmente la sula piediazzurri è l'uccello più fotogenico delle Galapagos: il colore dei suoi piedi è irreale! Sembra che abbia messo i piedi per sbaglio dentro una latta di pittura di colore celeste! Pochi lo sanno ma esistono alle Galapagos anche le sule piedirossi, con il becco azzurro e le zampe rosso fuoco: sono numerose ma assai più difficili da avvistare perché presenti solo a Genovesa, raggiungibile solo in crociera, ed a Punta Pitt nell'isola di San Cristobal, dove è necessario acquistare un tour di una giornata intera da Puerto Baquerizo Moreno.

Che uccelli incredibili che ci sono nell'arcipelago! La fregata magnificens è un altro di questi, nero e con un lungo becco uncinato all'estremità; il maschio si distingue facilmente perché per attrarre le femmine trasforma la sua sacca glabra che ha nella gola in una specie di bellissimo pallone di colore rosso vivo. Il loro corpo non tocca mai il mare, non hanno piume adatte per il contatto con l'acqua, così per nutrirsi pescano in superficie o più spesso rubano la preda ad altri uccelli in pieno volo. Il nome dell'uccello deriva proprio da questo: la fregata anticamente era infatti una piccola nave molto veloce che permetteva ai pirati di depredare altre imbarcazioni.

Quando sono a casa, stanco della modernità e della quotidianità, a volte chiudo gli occhi e sogno. Ripenso ai viaggi passati. Spesso ripenso alle Galapagos. Ed i ricordi vanno sempre lì, all'incanto di Playa Brava e Tortuga Beach. Le spiagge più belle del mondo.

Isabela

Andare da Santa Cruz ad Isabela in panga è un puro atto di masochismo. Tre ore di barchetta abbastanza inadeguata per affrontare l'oceano, botte al fondoschiena da orbi, seduti ed ammassati come le bestie su panche di legno, tra scrosci di acqua improvvisi ed onde alte...sembriamo migranti per Lampedusa. Non può esserci alcuna contaminazione tra le isole dunque, prima di salire sulla barca, dobbiamo sciacquarci per bene piedi e scarpe con tubo ed acqua corrente per togliere ogni residuo di sabbia o terra.

Isabela è l'isola più grande dell'arcipelago ed anche la più intatta e la meno toccata dal turismo. Bellissima ed autentica, lunga 130 km e larga 82 nel punto di maggior ampiezza, possiede 6 vulcani, alcuni dei quali parzialmente attivi; due di questi, il Cerro Azul ed il Wolf sono alti quasi 1700 metri. Puerto Villamil è il piccolo ed unico villaggio dell'isola, situato a ridosso di una lunga e bella spiaggia di sabbia bianca, con i cavalloni alti che sono la gioia dei pochi surfisti locali. Un insieme di baracche, nessuna macchina e qualche bicicletta. Pochissimi visitatori e circa un migliaio di abitanti, che si dedicano principalmente all'agricoltura ed alla pesca artigianale. Un luogo sperduto e primordiale, un salto nella preistoria. Isabela è un vero e proprio viaggio nel tempo, molto più di Santa Cruz e Puerto Ayora, decisamente più moderne e turistiche. Qui non c'è nulla, nemmeno una banca e se non hai un po' di contante dietro, sei fregato. Solo una manciata di piccole e spartane guesthouse. Arrivo al piccolo porticciolo dell'isola e mi accoglie un simpatico leone marino.

Leone marino al porticciolo di Puerto Villamil

A Puerto Villamil piove spesso, sembra di essere a Londra, non all'equatore...una cappa di nebbia ed umidità avvolge sempre tutto e le stradine di sabbia e terra battuta del paesino sono perennemente bagnate e piene di pozzanghere. Fa niente, qui tutti girano scalzi lo stesso. Come Manolo, signore sulla cinquantina nativo di Isabela che mi ospiterà due notti a casa sua e che non ho mai visto con scarpe o ciabatte ai piedi. Mi parla dell'isola accarezzando i suoi due gatti: secondo lui, i gatti ad Isabela sono molto importanti, intoccabili e quasi sacri, perché uccidono i topi, introdotti dall'uomo; i cani randagi al contrario, rappresentano il pericolo ed il problema maggiore, sia perché uccidono i gatti che a loro volta uccidono i topi, sia perché decimano le colonie di iguane mangiandone anche le uova. Ai cani randagi dunque spesso si spara: la polizia locale non dice nulla, anzi, incoraggia tale pratica. Spesso sparano anche loro.

Che personaggio Manolo...E' sommozzatore ma senza brevetto, mi racconta orgoglioso (!!!) di tutte le volte che si è embolizzato...non voglio fare il capiscione e lo lascio parlare, ascolto le sue strambe e quanto meno discutibili teorie sulla decompressione. E ci credo che si è embolizzato più volte! E' un miracolo in realtà che sia ancora vivo! Provo a spiegargli un po' di cose, ma lui ha le sue teorie, totalmente sballate, su velocità di risalita, tempi di fondo e tappe deco. Lo ascolto, tra il divertito ed il preoccupato: se non prenderà un bel libro di subacquea e comincerà a studiare seriamente magari prendendo qualche regolare brevetto, mi sa tanto che qualche giorno ci rimarrà secco...

In ogni caso la conversazione è molto piacevole, la sera mangeremo insieme una grande aragosta a prezzo ridicolo al “La Choza” un ristorantino nel centro del paese a due passi dall'oceano. Qui a Puerto Villamil il mare è ovunque, non si sente altro che il mare. Ed io ci vado di notte "a cercar le parole", in compagnia di pellicani e leoni marini. Si va a dormire prestissimo, quando cala il sole e ci si sveglia all'alba...la corrente con i generatori è minima e razionata al massimo. A comandare ad Isabela è la luce del sole, come nell'antichità.

Che bello dormire alle Galapagos, cullati dal dolce rumore del mare, svegliarsi, buttarsi a Concha la Perla ed andare a fare surf coi ragazzi dell'isola sulla spiaggia. Felicità.

Ad Isabela è possibile muoversi piuttosto liberamente senza guida: camminando sulla spiaggia ed attraverso sentieri nella fitta vegetazione, si possono raggiungere diverse calette, una più bella dell'altra, lagune popolate da fenicotteri rosa come “Pozo los Flamingos” ed anche centri di conservazione delle tartarughe. E poi c'è Concha la Perla.

Come Playa Brava e Tortuga Bay nell'isola di Santa Cruz, anche ad Isabela troverò il mio angolo di paradiso ad accesso totalmente libero, una laguna incantata vicino all'imbarcadero. Comincio la giornata ad Isabela sempre lì, tuffandomi all'alba tra le acque cristalline della laguna, una specie di recinto circolare di roccia lavica alimentato dal mare e circondato da mangrovie. Saluto il leone marino che ogni mattina mi aspetta sulla piccola passerella di legno immersa nella vegetazione e mi tuffo. Cazzo, ma che ci sta in acqua! Un flash! Una Batu Bolong alle Galapagos! Una scarica d'adrenalina pazzesca! Iguane, pinguini e leoni marini dappertutto che ti passano vicino sfrecciando come fulmini quasi a prenderti in giro della tua lentezza. Tartarughe verdi e cavallucci marini, enormi aragoste, razze ed innocui squaletti pinna bianca...c'è tutto ma veramente tutto. Da restare in acqua per ore. Un luogo per lo snorkeling magico ed imperdibile, direi surreale. Se non l'avessi visto con i miei occhi probabilmente non ci crederei. A Concha la Perla vedrò anche l'unico cormorano nero al mondo tra le 40 specie conosciute che non sa volare, caratteristica della quale si era interessato anche Charles Darwin, il quale sosteneva che tali uccelli non avrebbero sviluppato la capacità di volo o l'avrebbero persa nel tempo perché non avevano la necessità di migrare e per l’assenza di predatori sull'isola. Tale cormorano vive soltanto qui, ad Isabela.

Sì, lo ammetto! L'isola di Isabela mi piace tantissimo: selvaggia, tribale, non turistica, quasi sconosciuta al grande pubblico...molti luoghi sono visitabili in paradisiaca solitudine ed autonomia. Non tutti però, come ad esempio il vulcano Sierra Negra: lì voglio assolutamente andare, è un trekking lungo ed impegnativo che dura tutta la giornata ed è obbligatorio avere una guida al seguito: me la troverà Manolo e sarà Dario, un ragazzo isolano di 30 anni con la certificazione di guida. Subito tra noi nasce un bel feeling; Dario si apre, raccontandomi un po' la sua vita. Vedo malinconia nei suoi occhi. E' stato insieme ad una ragazza scozzese per 3 anni, imparando quel poco di inglese che gli è stato sufficiente per diventare guida, in uno dei luoghi naturalistici più incredibili del mondo. Ama profondamente Isabela ed il suo ambiente, ma non gli basta: la natura non è tutto ed un ragazzo di 30 anni ha anche bisogno di lavoro stabile, di una famiglia e prospettive di crescita. Ad Isabela di lavoro ce n'è poco, ogni tanto viene qualche turista; ma sono davvero pochi e si concentrano solo in un paio di periodi dell'anno. Tutto il resto del tempo, mi dice, spesso si sta con le mani in mano senza fare niente, solo ascoltando il rumore del mare. Bello indubbiamente, ma vorrebbe anche altro. Né può andare a lavorare a Puerto Ayora dove ci sarebbero maggiori possibilità: la concorrenza è alta, la conoscenza richiesta dell'inglese molto superiore perché i turisti sono soprattutto nordamericani, è richiesta spesso anche la conoscenza di una seconda lingua. Ma soprattutto, c'è molta diffidenza e protezionismo delle guide locali che accettano molto mal volentieri l'immigrazione di lavoratori di altre isole. Le dinamiche si ripetono sempre uguali: anche Jaguar a Dar Es Salaam mi aveva detto la stessa cosa riguardo le relazioni lavorative tra i tanzaniani del continente e gli isolani di Zanzibar.

Dario ha un sogno: oltre ad esser guida è anche sub. Non ho voluto fare domande, ma spero vivamente che il suo maestro non sia stato Manolo! Visto che non ci sono diving ad Isabela, lui vorrebbe aprire il primo centro subacqueo di Puerto Villamil...bell'idea, sperando per lui che il flusso turistico sull'isola aumenti. O forse no, perché se il flusso turistico dovesse aumentare, Isabela perderebbe inevitabilmente il suo fascino senza tempo...che dilemma atroce! Sviluppo turistico-sociale e sostenibilità ambientale sono coniugabili alle Galapagos? Ragioniamo ed argomentiamo mentre continuiamo ad avanzare nella giungla più impenetrabile e nella nebbia più fitta. Dopo ore di faticosa marcia giungiamo di fronte ad un panorama fantasmagorico.

Con Dario di fronte alla caldera gigante del vulcano Sierra Negra

Siamo arrivati in cima al famoso vulcano Sierra Negra, indubbiamente il più maestoso di tutte le Isole Galapagos ed uno dei più attivi, con l'ultima eruzione che risale a Giugno 2018. Rocce calde sotto ai piedi, odore di zolfo dappertutto e sguardo perso all'orizzonte ad ammirare estasiati un cratere di dieci chilometri di diametro, il secondo più grande del mondo. La caldera fumante è molto superficiale, la lava è a solo un centinaio di metri più in basso da dove siamo e la fitta vegetazione delle pendici arriva fin sotto al magma, quasi a toccarlo.

Uno spettacolo di una bellezza sconvolgente che ti lascia incredulo, a bocca aperta. Una sensazione simile l'ho provata di fronte alla caldera del vulcano Rano Kau all'Isola di Pasqua e del cratere Ngorongoro in Tanzania.

Proseguiremo il trekking fino al Volcan Chico, di dimensioni minori ma che mi regalerà delle viste mozzafiato sui vulcani settentrionali di Isabela e della vicina isola Fernandina.

E' arrivato il momento dei saluti, sempre per me dolorosi. Ciao Dario, sei un bravo ragazzo, ti auguro davvero di poter riuscire a coronare il tuo sogno ad Isabela.
Ciao Manolo, cerca di non ammazzarti con la bombola sub e le tue teorie sballate sulla decompressione. Soprattutto, se Dario mette su 'sto centro diving....stagli lontano!!!!

I misteri di Floreana

Floreana, è la più meridionale delle Galapagos e deve il nome al primo presidente dell'Ecuador, Juan José Flores, durante la cui amministrazione lo stato sudamericano prese possesso dell'arcipelago. E' conosciuta anche come Charles o Santa Maria. Niente di cui stupirsi: i nomi alle Galapagos hanno avuto una storia lunga e piuttosto complessa e così oggi, quasi tutte le isole dell'arcipelago, dispongono di almeno tre nomi diversi.

Per la sua superficie relativamente piatta, la presenza di acqua dolce e l’abbondanza di tartarughe, Floreana rappresentò per molto tempo l’ideale punto di sosta per i marinai ed i balenieri, almeno finché uno sprovveduto marinaio non fece divampare un incendio che devastò completamente l'intera isola.

Sul panga da Puerto Villamil, conosco Victor, il comandante della barca, originario di Santa Cruz, nato, cresciuto e vissuto sempre alle Galapagos. Victor adora leggere e si vede, è una persona molto colta; secondo lui non c'è posto migliore al mondo per leggere di Floreana. Stanco della confusione di Puerto Ayora, vuole morire qui con un libro in mano.

Me lo faccio ripetere perché non penso di aver capito bene. No, no invece ho capito benissimo! E' stanco della confusione di Puerto Ayora. Incredibile! Per lui, un paesotto con atmosfera sonnolenta, 4 case di lamiera, una manciata di ristorantini, un porticciolo ed un mercato, silenzio, pellicani e foche dappertutto, è caos cittadino...sicuramente morirebbe all'istante d'infarto se andasse a vivere a Città del Messico o Bangkok! Approfitto della sua cultura e della sua voglia di parlare con me per far domande su Floreana; così, mentre passiamo di fronte a Punta Cormorant ed alla spettacolare "corona del diablo", un vulcano marino collassato ed allagato con le pareti rimanenti di forma semicircolare ed una laguna interna ricchissima di fauna marina, Victor mi racconta la storia dell'isola e le lugubri leggende che la avvolgono, veramente degne dei più bei gialli di Agatha Christie...

Floreana ospitò nel 1807 il primo residente stabile dell'intero arcipelago. L’irlandese Patrick Watkins, fu abbandonato sull'isola dall’equipaggio della sua nave, forse a causa del suo aspetto davvero mostruoso e della sua personalità piuttosto complessa ed inquietante. Qui rimase circa 2 anni, coltivando vegetali e barattandoli con casse di rum con le navi di passaggio. Sembra che fosse quasi sempre ubriaco. Sbornie a parte, Watkins aveva comunque un piano ben preciso: attirare una nave baleniera nell'isola e rubarla dopo aver fatto ubriacare tutti i marinai. Riuscì col tempo anche a trovare 4 uomini che lavoravano per lui e così il suo piano ben presto riuscì. Fuggì con la caravella ed i suoi complici verso Guayaquil, ma arrivò solo, dopo aver probabilmente trucidato tutti i membri dell'equipaggio per non condividere la poca acqua potabile presente sulla nave. Venne tuttavia in seguito arrestato mentre progettava di tornare alle Galapagos con una donna della quale si era invaghito, e di lui si persero definitivamente le tracce.

Poi negli anni 30' arrivarono tre gruppi di coloni tedeschi.

I primi furono il dentista berlinese Friederich Ritter e l'insegnante Dore Strauch. Friedrich era un medico alternativo, vegetariano che credeva nella capacità della mente di governare il corpo e nell’efficacia curativa degli alimenti e della meditazione; aveva una personalità forte e magnetica della quale Dore, sua paziente per la sclerosi multipla di cui soffriva, era totalmente succube. Entrambi, infelicemente sposati, decisero di abbandonare la Germania, i problemi del tempo e i rispettivi coniugi per trasferirsi nel 1929 sull’isola, credendo profondamente in un’ideale di comunione con la natura, praticando il nudismo e cibandosi unicamente di verdure e frutta coltivate. La coppia tramite imbarcazioni di passaggio, inviava lettere in patria promuovendo la loro scelta naturista ed accrescendo poco a poco la loro fama. Anche la stampa tedesca si interessò al caso e ben presto essi divennero i moderni "Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden".

Dore Strauch e Friedrich Ritter a Floreana (Photo: Allan Hancock / USC Libraries Special Collections)

Nel 1932 arriva a Floreana un’altra coppia tedesca a bordo del piccolo veliero Tip Top, forse attratta dalle descrizioni dei Ritter. Sono i coniugi Heinz e Margaret Wittmer, con il figlio adolescente Harry che morirà nel '51 in un incidente di navigazione ed un altro in arrivo, Rolf che sarà il primo essere umano nato a Floreana e vivrà davvero a lungo, morendo solo nel 2012. Erano persone semplici che volevano sfuggire ai problemi della Germania di quei tempi ed alla crisi del '29. Costruiscono una casa, allevano animali e coltivano la terra. Le due coppie, gli alternativi Ritter- Strauch figli dei fiori ed i pionieri e più tradizionalisti Wittmer, erano troppo diverse per essere amiche, ma non furono nemmeno nemiche: per un po' i 6 furono gli unici abitanti di Floreana e vissero semplicemente esistenze separate in pace ed armonia, coltivando la terra, allevando animali ed aiutandosi quando e se necessario.

La famiglia Wittmer davanti alla loro casa a Floreana nel 1932 (Photo: Allan Hancock / USC Libraries Special Collections)

A sconvolgere la tranquillità dell'isola fu il terzo arrivo, un vero e proprio ciclone: la sedicente "baronessa" austriaca Eloise Wagner de Bousquet, accompagnata dal suo harem di amanti, il biondino Alfred Lorenz, il muscoloso Robert Philippson ed un ecuatoriano che fuggirà presto da Floreana mettendo tutti gli abitanti in guardia sulla follia patologica, la cattiveria e la falsità della Wagner. Effettivamente la donna era un personaggio piuttosto oscuro, si autodefiniva baronessa, ma in realtà era soltanto una spogliarellista decisamente eccentrica, pazza, megalomane, fortemente manipolativa, ossessionata dal sesso e da vari disturbi psicologici. Una vera e propria bomba ad orologeria per la tranquillità dell'isola.

Se i Wittmer riuscirono a fatica ad ignorarla, il dottor Ritter invece la odiava proprio: l'eccentrica "baronessa" non sopportava lo status di celebrità del dottore in patria derivante principalmente dalle lettere inviate alla stampa tedesca e prese pertanto di nascosto a sequestrarle o modificarle. Il dentista presto scoprì tutto ed arrivò a minacciarla arrivando persino a scomodare il governatore delle Galapagos; ma non ottenne nulla, anzi, peggiorò solamente le cose perché quando il politico mise piede nell'isola per indagare sulla situazione, fu immediatamente sedotto dalla baronessa-spogliarellista.

La psicopatica si proclamò "regina di Floreana" e cominciò ben presto a tiranneggiare e ricattare i pacifici vicini dei Ritter e dei Wittmer oltre a tormentare e schiavizzare letteralmente Alfred, il biondino più giovane e debole dei suoi amanti, totalmente succube della personalità della donna. L'idea della "baronessa" era di costruire sull’isola un hotel di lusso, l’Hacienda Paradiso, al fine di attirare milionari, in cerca dell’autenticità perduta del paradiso terrestre, da sedurre e poi spolpare. A tal fine la Wagner prese a curare la propria immagine ed il proprio mito all'inverosimile, andando in giro provocante con pistole e fruste e raccontando mirabolanti e false storie ai capitani degli yacht in visita: ben presto la sua fama eclissa quella degli Adamo ed Eva originari e lei diviene l'attrazione principale non solo di Floreana ma delle intere Isole Galapagos: gli yacht faranno di tutto per visitare Floreana per poter vantare di un incontro con la scandalosa baronessa.

Lo stile di vita isolazionista che i Ritter-Strauch figli dei fiori e i Wittmer tradizionalisti cercavano di costruire su Floreana era sparito per sempre. Ben presto i delicati equilibri dell'isola saltarono; le ostilità tra gli abitanti aumentarono, anche accentuati da una grave siccità che colpì l'arcipelago nel 1934. Anche la relazione tra Friedrich e Dore, la prima coppia naturista dell'isola, degenerò e prese una brutta piega, con l’uomo sempre più crudele e violento, la donna sempre più debole, vittima dei suoi eccessi e la psicopatica provocatrice "regina di Floreana" sempre lì presente a peggiorare la situazione. Ben presto la relazione tra Friederic e Dore divenne malata e violenta, del tipo padrone-schiava, molto simile, a parti invertite, a quella della baronessa con il biondino Alfred, il quale, schiavizzato dalla psyco e picchiato selvaggiamente da Philippson, si rifugiava spesso dai Wittmer in evidente stato di confusione mentale, lamentandosi della pazzia della baronessa e della violenza del suo forzuto amante, per poi puntualmente tornare dai due aguzzini ai primi occhi dolci della donna e reiterare le stesse perverse dinamiche.

Cominciano ben presto i morti e le sparizioni a Floreana.

La "baronessa" Eloise Wagner de Bousquet con i suoi amanti Robert Philippson, seduto a sinistra ed Alfred Lorenz, il biondino dietro (Photo: Waldo Schmidt / USC Libraries Special Collections)

La psyco-baronessa-spogliarellista ed il suo amante picchiatore Phillipson scompaiono nel nulla: il biondino sostiene di aver visto i due imbarcarsi su uno yacht alla volta di Tahiti ed anche i Wittmer sosterranno la stessa tesi, sempre e per tutta la loro vita: la baronessa li aveva avvertiti che sarebbero andati in Polinesia francese con dei milionari americani. Tutto ciò però suonò sempre alquanto strano, perché nessuna imbarcazione si avvicinò mai all'isola in quei giorni né la coppia in partenza preparò alcun bagaglio, nemmeno lo stretto indispensabile; furono lasciati anche gli oggetti a cui la baronessa era molto affezionata e che mai avrebbe abbandonato. Nessuno yacht americano arriverà mai a Tahiti nelle settimane successive.

Sembra che Strauch e Ritter credessero che i due fossero stati assassinati da Lorenz e che i Wittmer lo aiutassero a coprirlo. Strauch credeva che i corpi fossero stati bruciati, poiché il legno di acacia, ben disponibile sull'isola, brucia abbastanza da distruggere anche le ossa.

Chissà invece se il vero responsabile della sparizione non fosse stato il Dott. Ritter che covava un odio profondo per la donna...o che tutti sull'isola fossero d'accordo col duplice omicidio. Sempre se di omicidio si trattava ovviamente. I corpi non saranno mai ritrovati.

Alfred nel frattempo, dopo la sparizione dei due amanti, sembra avere una gran fretta di lasciare l’isola. Si imbarca su una vecchia lancia a motore di proprietà di un norvegese, direzione San Cristobal, dove avrebbe dovuto prendere la nave per Guayaquil. I due però non ci arriveranno mai ed i loro corpi mummificati, saranno ritrovati nella piccola isola deserta di Marchena, molto a nord e stranamente fuori rotta rispetto a San Cristobal.

Poco tempo prima della partenza del biondino, Frederich Ritter era morto avvelenato di botulino, avendo mangiato pollo scaduto di una lattina lasciata da una spedizione scientifica. Il fatto era assolutamente inspiegabile perché il medico era un vegetariano convinto ed intransigente e sapeva dei rischi che poteva correre mangiando carne scaduta. Mentre esalava l’ultimo respiro assistito dalla signora Wittmer, egli coprì Dore di maledizioni accusandola del suo assassinio.

Insomma, un vero e proprio intrigo alla Agatha Cristhie in cui il colpevole, o i colpevoli, possono essere chiunque, tutti e nessuno.

Dore Strauch ritornò in Germania dove scrisse il libro "Satana came to Eden". Morì sotto le bombe americane durante la seconda guerra mondiale.

Alla fine gli unici rimasti in vita furono proprio loro, i Wittmer, i quali continuarono la loro attività di pionieri diventando ricchi, anni dopo quando il turismo esplose. Ora i loro figli e nipoti gestiscono attività commerciali nell'isola come alberghetti, ristorantini e barche per crociere, ovviamente di nome Tip Top.

Ancora oggi, nessuno sa ancora cosa sia veramente successo: Margaret Wittmer, una dei coloni originari, è morta nel 2000 all'età di 95 anni, portando con sé nella tomba tutti i segreti dell’isola, cosiccome suo marito Heinz, il quale, secondo molti di quelli che hanno indagato sul caso, ha sempre saputo molto di più di quanto riferì in quegli anni. Un film documentario che racconta questi eventi, "The Galapagos Affair: Satana came to Eden", è stato rilasciato nel 2013.

Ascolto Victor e resto sbalordito. Con lui arrivo all'alberghetto fatiscente dei Wittmer a Puerto Velasco Ibarra per rifocillarmi dopo l'estenuante viaggio in panga. Chissà, tra queste mura forse c'è la soluzione dell'enigma.

Floreana con i suoi inquietanti e lugubri misteri, è stata l'ultima tappa del viaggio alle Galapagos.
Salgo sull'aereo della Tame da Baltra per Quito via Guayaquil. Nell'ultima occhiata all'isola, poggio lo sguardo su un cartello con la famosa frase di Darwin: «It is not the strongest of the species that survives nor the most intelligent that survives. It is the one that is the most adaptable to change».

Domani ho l'aereo per Città del Messico. Riuscirò a prenderlo? Certo che ce la farò: una guardia sta aspettando solo me per consegnarmi il documento e chiudere l'ambasciata. Il mio angelo custode, che in questa settimana ha il nome ben preciso di Mara Gerevasi, ha lavorato davvero alla grande. Grazie Mara, ovunque tu sia.

Torno a Leòn per trascorrere le feste in famiglia. Sono un uomo migliore: da un viaggio alle Isole Galapagos si torna inevitabilmente migliori, con maggiore sensibilità e consapevolezza ambientale. Un giorno porterò qui i miei figli, sempre zaino in spalla e sogni al seguito. Ma il passaporto ben al sicuro.

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