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La Valle Sacra degli Inca

Lima, capitale del Perù, è una città veramente ma veramente orribile. Un posto dove stare al massimo 5 minuti e fuggire via a gambe levate. Atterro in questa fogna a tarda sera da Città del Messico, il tempo di dormire in un ostello vicino all'aeroporto e subito via la mattina presto a Cusco, la capitale storica dell'impero inca fino alla conquista spagnola nel XVI secolo.

Gennaio 2011. E' l'inizio di un viaggio davvero intensissimo che mi porterà in luoghi pazzeschi che mai avrei immaginato di visitare.

La cattedrale di Santo Domingo nella centralissima Plaza de Armas di Cuzco

Non è banale passare da Lima, a livello del mare, ai 3400 metri di Cusco. Il famoso "soroche" è lì in agguato che ti aspetta, con mal di testa, vomito e generale senso di malessere simile ad un post-sbornia. Nessun problema, passa tutto o quasi con un bel mate di coca, un infuso di foglie di coca dall'effetto blandamente stimolante, in tutti i paesi andini, soprattutto Perù e Bolivia, molto diffuso e perfettamente legale.

Circondata da numerose vette che superano i 6000 metri e porta d'accesso alla famosissima Valle Sacra degli Incas, Cusco è una pittoresca cittadina coloniale nel sud del Perù, con molte chiese, conventi e residenze dei conquistadores spagnoli, un ricco ensemble di cultura tradizionale andina, vivace vita notturna e tentativi malriusciti di modernità, con nuovi palazzi di cemento piuttosto brutti e sconcertanti Starbucks e McDonald's che poco a poco sostituiscono negozietti locali posizionandosi dentro anfratti con pietre inca per soddisfare il desiderio di cibo e bevande spazzatura del turista nordamericano. La città, anche se oramai immersa nella frenesia e nella globalizzazione del XXI secolo, rimane comunque molto affascinante; il fulcro è Plaza de Armas, con i suoi portici d'epoca, i giardini curati, i ristorantini, i balconi intagliati in legno e la maestosa cattedrale. Al di sopra della piazza, a poca distanza, si innalza imponente la fortezza di Sacsayhuamàn.

Cusco sarebbe stata fondata intorno al 1250 dc, nel luogo rivelatogli dal Dio Sole, dal leggendario Manco Capac, primo imperatore della dinastia inca, la cui biografia si perde tra la cronaca ed il mito; ben presto Cusco, che secondo gli Inca era l'ombelico del mondo, divenne la città più importante delle Ande, il principale centro culturale e religioso di un impero in rapida e pacifica espansione. Il nono imperatore Pachacùtec Inca Yupanqui salì al potere nel 1438 ed ideò il progetto della Cusco imperiale: la sua pianta aveva esattamente la forma di un puma, la cui testa era rappresentata dalla fortezza di Sacsayhuamàn con le sue 22 mura a zigzag a riprodurre i denti aguzzi dell'animale rivolti dalla parte opposta della città; questo almeno prima dell'arrivo dei conquistadores spagnoli, i quali abbatterono le torri di Sacsa e prelevarono dal sito numerose pietre per costruire case e chiese oltre a modificare la struttura e la planimetria della città stessa.

La caduta dell'impero inca

Che mistero incredibile quello degli Inca, popolo capace di opere che ancora oggi risultano assolutamente inspiegabili. Di materiale scritto non ce n'è. Niente. Zero di zero. L'ascesa di una società così complessa avvenne in totale assenza di scrittura: censimenti, registri e documenti importanti venivano compilati tramite l'uso dei quipu, sostanzialmente una successione di nodi e spazi in corde opportunamente colorate. E' dunque difficile risalire con certezza alle origini di questa civiltà, ma l’ipotesi più plausibile è che lo stanziamento iniziale avvenne nella valle di Cusco dalla regione del lago Titicaca nell'attuale Bolivia e risalga al 1250 circa, al tempo di Manco Capac. Con un rapido conteggio pertanto si arriva a calcolare l’intera durata della parabola incaica in circa trecento anni, di cui soltanto l’ultimo secolo aveva costituito l’apogeo imperiale.

Ben presto la città di Cusco espanse il proprio dominio su tutta la vastissima regione andina, da Quito fino a Santiago del Cile, l'equivalente attuale dei paesi Bolivia, Perù ed Ecuador ma senza l'uso della forza e della violenza, anche perché le vicende che seguiranno, mostreranno in modo inequivocabile che gli inca erano tutto fuorché abili guerrieri.

La società inca era fondamentalmente pacifica ed egualitaria, stratificata ma con un forte e diffuso senso di reciprocità. Pur con interessi e importanza diversi, gli individui dei villaggi cooperavano insieme, sia economicamente che in termini di forza-lavoro, per la costruzione di infrastrutture che migliorassero la qualità della vita e accrescessero il benessere dell'intera collettività. La proprietà privata era quasi sconosciuta, così come la moneta perché si faceva molto uso del baratto. Le terre da coltivare erano spesso redistribuite in base a criteri di produttività e di compenso per il proprio lavoro. La religione era il collante della società: il Dio più importante era il Sole, di cui gli Inca si ritenevano diretti discendenti, anche se la creazione del mondo era attribuita a Viracocha, un gigante raffigurato con due bastoni nelle mani che avrebbe creato dalla roccia e distrutto varie generazioni di umanità, una sorta di rielaborazione della prima divinità degli antichi Tiahuanaco, popolazione proveniente dal Lago Titicaca. Tanto lavoro negli impervi territori montuosi, il Dio Sole a proteggere e riscaldare il popolo ed un esercito (pippa) a protezione dell'impero.

Nella società inca pertanto regnavano uguaglianza, collaborazione e solidarietà. Uguaglianza per tutti però, tranne che per uno: l'imperatore, il Re, il signore assoluto detto Inca, da cui il nome alla civiltà su cui regnava; egli veniva venerato come un dio e viveva nel lusso più sfrenato. La divinità del sangue di re era così preziosa che per essere mantenuta, non era insolito che un sovrano sposasse la sua stessa sorella, così da preservare la purezza della stirpe. Il re comunque poteva avere molte mogli e concubine (beato lui!), con il risultato che i figli regali erano molto numerosi e rendevano sempre complicate, poco chiare e meritocratiche le fasi di successioni da un re all'altro. In ultima analisi fu proprio questa la causa principale della caduta dell'impero.

Il grandissimo, vasto, potente, numeroso ed organizzato impero inca, cadde per mano di meno di 200 uomini guidati dal conquistador spagnolo Francisco Pizarro. Come fu possibile?

In quegli anni, l'impero inca era dilaniato da una guerra interna tra due fazioni rivali dei due fratelli Atahualpa e Huascar. Poco prima dell'arrivo degli europei, infatti il re Huayna Capac divise il suo impero in due, affidando la parte settentrionale al figlio Atahualpa con base Cajamarca e la parte meridionale con fulcro Cusco al fratello Huascar. L'odio e la rivalità tra i due fratelli cresceva però sempre più sfociando ben presto in una vera e propria guerra civile che divideva ed indeboliva l'impero sempre più. Nel 1532 le truppe di Atahualpa vinsero una battaglia decisiva ed egli divenne imperatore unico; figli e mogli di Huascar furono uccisi. Huascar odiava a morte il fratello imperatore e continuava a non riconoscere la sua autorità giocando alla fine un ruolo chiave nella sua sconfitta per mano spagnola.

Francisco Pizarro, decise intelligentemente di approfittare del periodo di debolezza degli indios dovuto alla guerra fratricida e così nel 1532 sbarcò con i suoi uomini sulle coste dell'attuale Perù con l'obiettivo di raggiungere Cajamarca, fortezza sede dell'imperatore inca col suo esercito.

Pizarro era al comando di un pugno di uomini, ben armati ed addestrati, ma sempre un pugno erano. Il conquistador sapeva che la centralizzazione estrema dell’impero inca giocava a suo favore: ben forgiato sugli insegnamenti di Hernán Cortés con gli Aztechi in Messico, egli sapeva che catturato l'imperatore e soppressa la figura del sovrano che era considerato una divinità, presto tutto l’impero sarebbe crollato. Inoltre sfruttava l'effetto sorpresa e choc: probabilmente gli Inca incuriositi dall'arrivo di "alieni" non avrebbero attaccato. E così fu.

Atahualpa fu avvertito dell'arrivo di strane genti provenienti dal mare su enormi case galleggianti, stranieri bianchi e barbuti con strani bastoni lucenti che provocavano il tuono (gli archibugi) e con enormi animali dai piedi d’argento (i cavalli). Le informazioni che seguirono tuttavia tranquillizzarono il regnante, oltretutto troppo impegnato nella guerra civile per occuparsi di un manipolo di stranieri. Le loro armi tuonanti non erano poi così micidiali perché il più delle volte i colpi non andavano a segno ed i "bastoni" dovevano essere ricaricati ogni volta in modo ben più lento ed inefficiente di una comune fionda o di un arco con le frecce; e poi gli animali dai piedi d’argento non uccidevano nessuno. I bianchi, vestiti di ferro erano davvero pochi, solo un paio di cento uomini barbuti che dunque dovevano per forza venire in pace contro un intero esercito con fionde, frecce e lance micidiali! No, non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Atahualpa, contro il parere del suo generali più fedeli e capaci, Chalcochima e Quizquiz, che sostenevano in modo feroce che si trattava di esercito invasore da sterminare all'arrivo, decise di attendere gli stranieri a Cajamarca, protetto da decine di migliaia di uomini. Gli inca avrebbero potuto sterminare i pochi spagnoli in un battito d'occhio perché giocavano in casa. La strada per la fortezza si snodava tra dirupi impressionanti, gole, ripidi sentieri nelle montagne: trappole ed agguati sarebbero stati facilissimi. Gli stessi spagnoli erano ben impauriti e procedevano con cautela, molto in ansia perché sapevano che potevano fare tutti la fine del topo. L’atteggiamento dell’imperatore inca, pur uomo dotato di grande intelligenza, risulta oggi davvero incomprensibile. Il suo errore è stato imperdonabile ed a nulla valsero le critiche disperate e gli avvertimenti dei suoi generali, secondo i quali occorreva assalire ed annientare la sparuta armata degli stranieri durante il cammino sulle Ande, intrappolandoli nelle strette gole di montagna su strade che essi non conoscevano.

Atahualpa invece, incredibilmente, divorato dalla curiosità e sottostimando il pericolo, attende che i nemici giungano davanti ai suoi occhi.

Nel tardo autunno del 1532 Pizarro è alle porte di Cajamarca ed invia, in guardinga perlustrazione, suo fratello Hernando, il quale riesce a farsi ricevere da Atahualpa e a convincerlo a incontrarsi con Francisco Pizarro nella grande piazza della città. Venne organizzato l'incontro di Cajamarca che cambiò per sempre il corso della storia d'America.

Atahualpa aveva optato per presentarsi disarmato per non infastidire ed innervosire gli stranieri, lasciando addirittura il suo esercito ad una certa distanza fuori la fortezza. Una serie di errori, imperdonabili, uno dietro l'altro.

Gli spagnoli si presentano di fronte l'imperatore inca con il frate domenicano Vicente de Valverde, un ecclesiastico ben abituato a trattare con i rozzi infedeli. Egli, secondo usanza dell'epoca, crocifisso ben stretto in una mano e Bibbia nell'altra, pronunciò il famoso "requerimento", praticamente un'intimazione incondizionata a sottomettersi alla maestà del re di Spagna ed abbracciare la fede cattolica, pena l'assoggettamento forzato. Totalmente ignaro del fatto che i "selvaggi" non conoscevano la scrittura ed i libri, porse il libro delle Sacre Scritture all'imperatore, sostenendo che tutta e sola la verità era lì. Ovviamente Atahualpa non comprese il significato di quelle esortazioni, tranne il fatto che egli dovesse rinunciare al suo potere temporale; prese la Bibbia, e la portò all'orecchio aspettandosi di udire voci. Ma dal libro non proveniva nessun suono e così dopo averlo scosso un po' lo gettò a terra... Sacrilegio assoluto! Valverde tornò fuori di sé da Pizarro, trasmettendogli la stessa profonda indignazione che lui aveva provato nell'aver visto la profanazione delle Sacre Scritture. Pizarro già da tempo aveva deciso l'attacco e sapeva che l'esercito inca era lontano e non pronto per la battaglia; aveva solo bisogno di un pretesto. Ora il movente per il massacro c'era ed aveva anche giustificazione divina. Valverde impartiva una preventiva e veloce assoluzione ai soldati per i crimini che avrebbero commesso. Padre figlio e spirito santo, potete ammazzare e squartare in nome di Dio. Andate in pace. Comincia il massacro di Cajamarca. Gli spagnoli, defilati ai lati della piazza centrale, luogo dell'incontro, uscirono con spade, archibugi e presero del tutto alla sprovvista gli indios, già profondamente spaventati dai “fulmini” che uscivano dagli archibugi. Loro le armi da fuoco non le avevano mai viste prima di allora.

Il conquistador spagnolo Francisco Pizarro e l'imperatore Inca Atahualpa

La battaglia di Cajamarca può esser considerata a ben diritto una delle 10 battaglie più importanti della storia dell'umanità. L’esercito spagnolo guidato da Francisco Pizarro in poche ore di lotta decretò la fine della dinastia inca, determinando la morte dell’imperatore Atahualpa e l’inizio del dominio ispanico sul continente sud-americano. In realtà non si trattò di un vero e proprio scontro, ma di un massacro, di un'immensa carneficina a cui gli indios non erano assolutamente preparati.

In pochissimo tempo migliaia di autoctoni furono trucidati, sempre ovviamente in nome di Dio e con la benedizione di Valverde, il quale, bel al sicuro, continuava ad agitare la Bibbia contro gli infedeli. Gli spagnoli accusarono alla fine un solo ferito, Francisco Pizarro il quale ebbe un incidente alla mano, nel tentativo di bloccare l'uccisione dell'imperatore inca da parte di un suo soldato. Lo voleva vivo, in quanto incredibile merce di scambio. Da vivo, avrebbe avuto il potere sull'intero impero inca perché aveva il controllo del suo dio. L'esercito inca che fuori di Cajamarca stazionava in attesa di istruzioni, fu preso alla sprovvista e, privo di ordini, preferì ripiegare senza combattere. Capito più tardi il disastro assoluto avvenuto, il comandante delle milizie indigene temendo di nuocere al suo re, ormai prigioniero, portò le sue truppe fuori dalla portata degli spagnoli, limitando perlomeno i danni e preparandosi per le battaglie successive.

Quando si sparse la notizia della cattura di Atahualpa l’impero cade nel caos e nel panico.

Il regnante fu trasportato velocemente in un luogo sicuro, nel Tempio del Sole della città; della sua cattura venne a conoscenza immediatamente il fratello rivale Huascar il quale, tutto contento, fece sapere agli spagnoli che in cambio dell’uccisione del fratello sarebbe stato disposto a riempire d’oro i conquistadores e a sottomettersi successivamente al re di Spagna. Mercenario. Ma non aveva fatto i conti con i fedelissimi sostenitori di Atahualpa, che compreso il pericolo, riuscirono ad assassinare Huascar nel suo palazzo di Cuzco. L'impero inca, da due aspiranti pretendenti al trono, ora non ne aveva nemmeno uno ed è pericolosamente vicino alla fine della sua gloriosa esistenza.

Il sovrano imprigionato nel frattempo si era accorto dell’ingordigia con cui il comandante spagnolo guardava i loro manufatti d’oro e d’argento e propose uno scambio a Pizarro: per la propria libertà avrebbe fatto riempire totalmente la stanza nella quale era imprigionato, circa un centinaio di metri cubi, di metalli preziosi, oro ed argento principalmente.

Pizarro accettò, facendo redigere un regolare contratto dal notaio della spedizione. Altro errore da parte dell'inca, fidarsi di un contratto scritto di un assassino con la Bibbia in mano.

In pochi giorni venne raccolto il riscatto, circa 6000 kg d'oro e 11.000 d'argento, una ricchezza inimmaginabile per gli spagnoli, mai vista, del valore oggi equivalente a centinaia di milioni di euro, che destabilizzò totalmente l'ambiente: ben presto tra i suoi uomini scoppiarono violenti dispute per il possesso dei preziosi ed così anche gli spagnoli si divisero in due fazioni rivali, la seconda guidata da Diego de Almagro, reduce da una missione in Cile e pieno di rancore e risentimento nei confronti di Pizarro.

Molti spagnoli, richiamandosi al senso dell'onore, avrebbero voluto tenere fede alla promessa di liberare il prigioniero o almeno di trasferirlo in Spagna per farlo giudicare in patria. Ma ovviamente Pizarro ed il perfido frate non avevano la minima intenzione di salvare l’imperatore inca e dopo aver allestito un processo farsa, lo fanno condannare a morte sul rogo, una mostruosità per la religione inca che aborriva la distruzione del cadavere credendo che non avrebbe permesso di conseguire l'immortalità; le salme venivano infatti mummificate, avvolte in preziosi tessuti e esposte durante le cerimonie religiose. Il rogo era una fine ingloriosa e terribile per chiunque, figurarsi per un imperatore, per un dio. Assolutamente inaccettabile. Così Valverde, il demoniaco frate di merda, propone, in cambio della conversione, di mutare la pena capitale nella "garrota". Atahualpa venne battezzato, manco a farlo apposta col nome di Francisco ed invece di esser bruciato, fu giustiziato, sempre Bibbia ben in vista, mediante strangolamento, davanti al suo popolo in totale stato di choc. Prima battezzato e poi ucciso. Viva Dio, viva il Signore, Alleluja Alleluja! Viva la conversione degli infedeli!

Quella stessa notte, migliaia di suoi sudditi si tagliarono le vene per seguirlo nell'aldilà.

Atahualpa venne seppellito in una chiesa improvvisata dagli spagnoli a Cajamarca, ma dopo la partenza delle truppe europee, il cadavere fu prelevato dagli indigeni e portato a Quito per esser inumato in un sepolcro, il cui luogo è tuttora totalmente ignoto.

Anche Chalcochima, il grande e coraggioso generale di Atahualpa fu preso e giustiziato. Fu giudicato per tradimento e condannato al rogo dopo la solita parvenza di processo. Anche a lui, come al suo imperatore, gli spagnoli diedero la possibilità di salvare la sua anima e raggiungere l'immortalità, barattando il tipo di pena capitale con la conversione. Il 13 novembre del 1533 vicino Cusco, l'anziano combattente, vincitore di tante battaglie, fedelissimo soldato dell'imperatore, dopo esser stato barbaramente torturato, sempre in nome di Dio e con la Bibbia in mano, non mi stancherò mai di ripeterlo, si avviò coraggiosamente al supplizio. Ma a differenza del suo imperatore egli morì da eroe: li mandò a cagare tutti, rifiutando sdegnosamente di farsi cristiano. Preferì affrontare le fiamme invocando, mentre bruciava vivo, ad alta voce, i suoi dei fino all'ultimo istante. Le sue ultime grida furono maledizioni per gli invasori ed un appello al suo amico Quizquiz ed al suo popolo per la vendetta, sua e del suo amato imperatore. Onore a te, grande condottiero. Onore a tutti quelli che muoiono in battaglia difendendo il proprio popolo contro l'imperialismo ed il fondamentalismo religioso. Chalcochima un eroe, i due fratelli Atahualpa e Huascar fondamentalmente due coglioni responsabili di una serie incredibile di errori che hanno portato alla fine di un glorioso, vasto e consolidato impero.

Rogo per l'infedele Inca (in nome di Dio, of course) in una raffigurazione coloniale d'epoca

Il popolo inca, totalmente sconvolto dal barbaro assassinio dell'imperatore, dalla perdita del loro generale guida dell'esercito, ancora diviso nelle due faziosi rivali, rimase pietrificato ed incapace di reagire mentre gli spagnoli continuavano i loro massacri verso la capitale. Lentamente grazie anche ai rinforzi che giungevano dalla Spagna, all’appoggio di popolazioni sottomesse ignare di quanto stava succedendo e per un certo periodo, anche di Huascar a cui era stato promesso il comando dell’impero, tutte le altre città inca vennero conquistate dagli spagnoli con spietata ed inaudita violenza: i capi villaggio supremi più recalcitranti furono torturati e bruciati vivi, agli uomini ribelli furono mozzate le mani... furono uccisi donne incinte e bambini, con Valverde sempre seduto ad osservare in prima fila, gambe accavallate, sorriso diabolico e Bibbia in mano.

Pizarro, con l'appoggio dei superstiti inca avversi alla dinastia di Cajamarca e fedeli a Huascar, prosegue la sua marcia fino alla capitale Cusco che ben presto diventa spagnola. Nel luogo dove sorgeva il tempio inca del Sole, viene costruita la cattedrale di Santo Domingo, segno tangibile della fine dell'impero inca. Nel 1535, continuando la sua marcia di conquista, Pizarro fonda sulla costa una nuova capitale, Ciudad de Los Reyes che in seguito prenderà il nome di Lima; nella nuova città costiera si insedierà Valverde, creando una vera e propria corte personale, fastosa, lussuriosa e numerosa e per il cui sostentamento dissipò le ingenti ricchezze che gli derivavano dal furto legalizzato delle ricchezze degli indigeni.

Gli spagnoli per evitare sollevazioni popolari conseguenti l'assassinio dell'imperatore e del suo generale, misero sul trono di Cusco un sovrano fantoccio, Manco Inca II, fratello di Huascar, anch'egli in lotta contro le milizie fedeli ad Atahualpa ma questi dopo due anni di umiliazioni e maltrattamenti da parte dei coloni, decise di ribellarsi ed opporsi agli invasori: approfittando dello scarso numero di spagnoli a guardia del sito riconquistò la fortezza di Sacsayhuamàn, radunò un esercito di 100.000 uomini e cinse d'assedio Cusco. Gli spagnoli con cavalli, armi da fuoco e spade d'acciaio erano tuttavia invincibili e nonostante il numero esiguo di soldati nuovamente riuscirono a vincere. Evidentemente gli indios, dopo le tante sonore sconfitte, ancora non avevano appreso il modo di combattere dei cavalieri spagnoli! La battaglia di Sacsayhuamàn fu un massacro peggiore addirittura di quello di Cajamarca: un pugno di conquistadores uccisero praticamente quasi tutto l'esercito inca. Da non credere. Questi Inca erano evidentemente dei geni nelle costruzioni ed in tante altre cose, ma come guerrieri dovevano esser proprio delle pippe assolute: sono riusciti a perdere battaglie in cui la loro superiorità numerica era davvero clamorosa e schiacciante. La guerra evidentemente non era nel loro DNA; le migliaia di cadaveri sparsi in questo luogo richiamarono stormi di condor andini. La tragedia sarà ricordata per sempre inserendo per l'appunto 8 condor nello stemma della città di Cusco.

Manco II sopravvisse al massacro e riuscì a raccogliere forze sufficienti per creare un nuovo piccolo ed indipendente regno inca ad ovest di Cusco, nell'inaccessibile valle del fiume Urubamba, El Valle Sagrado de los Incas; in un sicuro recesso sulle Ande fondò la città fortezza di Vilcabamba e da qui continuò a combattere contro gli odiati invasori nel tentativo di restaurare l'impero dopo la conquista spagnola e la perdita della capitale Cusco.

Il trentennio che segue, tra il 1536 ed il 1566, è sostanzialmente un tutti contro tutti, un massacro totale tra spagnoli e spagnoli, Pizarro contro i seguaci di Diego de Almagro, e tra spagnoli tutti ed i rivoltosi incas asserragliati nelle ultime fortezze della Valle Sacra, gli ultimi baluardi dell'impero, Vilcabamba, Ollantaytambo, Machu Picchu. I morti presto non si contano più. Anche Manco Capac II viene assassinato, il paese è sotto assedio, il popolo decimato da soprusi, guerre e malattie. Lo sfruttamento ed il massacro della popolazione è totale: tramite le "encomiendas" vengono confiscate le terre ai nativi ed assegnate ai coloni e gli indigeni vengono deportati in Europa o condannati ai lavori nei campi o nelle miniere di argento. Il vaiolo, la sifilide, l'influenza e tutte le malattie a cui il sistema immunitario degli indigeni non era preparato, nel frattempo mietevano più vittime di spade ed archibugi. Si stima che durante i 45 anni di agitazioni (1527-1572), morì quasi il 90% degli abitanti: con diversi milioni di morti questo può sicuramente essere considerato uno dei più grandi genocidi del genere umano. Fatto in nome di Dio, of course.

L'esasperazione degli indios porta alla rivolta dell’ultimo Inca, il leggendario Tupac Amaru, l'ultimo re ad arrendersi ai conquistadores dopo due anni di lotta disperata. Túpac Amaru, era imprendibile per gli spagnoli. Si era gettato nelle profondità della giungla amazzonica e lì sperava di nascondervisi indefinitamente, come già aveva fatto suo padre Manco II, per poi riprendere le ostilità. Tupac Amaru cadde soltanto per amore di sua moglie. Era stato avvistato dagli spagnoli infatti, ma aveva una canoa ed avrebbe potuto attraversare il fiume facendo perdere le sue tracce agli inseguitori, che invece erano privi di imbarcazioni ed impossibilitati ad attraversare l'imponente corso d'acqua. In più, un forte contingente di fedeli stava sopraggiungendo in suo soccorso. La consorte di Túpac Amaru era incinta, in procinto di partorire e terrorizzata dall'acqua. Si rifiutò di imbarcarsi e l'Inca, piuttosto che abbandonarla, si arrese. Il capo degli insorti viene catturato e giustiziato mediante decapitazione nel 1572 in Plaza de Armas di Cusco e l'ultimissimo rifugio dell'impero inca, Vilcabamba, fu dato alle fiamme e dimenticato per sempre.

Raffigurazione coloniale in cui l'ultimo imperatore inca, Tupac Amaru viene catturato ed esecutato

La morte di Atahualpa segnò indubbiamente l'inizio della fine e l’esecuzione di Tupac Amaru mise definitivamente la pietra tombale sull'impero degli Inca: le dinastie non esistono più, gli idoli sono distrutti, i sepolcri vengono profanati dai cercatori d’oro, i figli dei nobili vengono ormai educati nei collegi cattolici dei Gesuiti e dei Francescani ed i territori andini sono frammentati in tanti feudi controllati da europei e meticci. Il Perù era ormai totalmente in mano alla Spagna e la conquista dell'impero poteva dirsi terminata. Dio aveva trionfato. Poco importano i milioni di morti, le torture e la violenza in suo nome. L'importante è che il popolo si sia convertito. Chiesa ed imperialismo, sempre a braccetto nella storia. Quanta ipocrisia e cattiveria. Quanta pretesa di esser sempre gli unici detentori della verità. Clap clap clap. Complimenti. Bravo Pizarro, bravo Valverde. La vostra avidità, il vostro accanimento e fanatismo religioso hanno sterminato un popolo che aveva raggiunto un elevato grado di progresso sociale, culturale e artistico; hanno distrutto non solo il paganesimo imperante ma l'incredibile cultura di una civiltà la cui conoscenza per il mondo intero poteva essere una fantastica scoperta.

Chi la fa però, l'aspetti: il demoniaco Vicente de Valverde, responsabile di tante torture e barbari assassini in nome di Dio, non fece una bella fine. Il frate domenicano in fuga da Almagro, fu catturato da indigeni in un'isola dell'odierno Ecuador. Stavolta non ebbe tempo di erudire i selvaggi indigeni sulle sacre scritture o di ammazzarli perché fu cannibalizzato senza pietà, abbrustolito vivo molto lentamente su una graticola, gli furono cavati gli occhi e nelle orbite vuote venne colato dell'oro fuso.

La fortezza di Sacsayhuamàn

La fortezza di Sacsayhuamàn, di grande importanza religiosa e militare, domina dall'alto i tetti rossi di Cusco ed è raggiungibile in poco più di mezzoretta di camminata dal centro. Ciò che si vede oggi corrisponde a nemmeno un 20% della struttura originaria perché dopo la conquista, gli spagnoli abbatterono molti muri ed utilizzarono i blocchi di pietra per costruire case e chiese della città.

Il progetto di questa incredibile costruzione a secco è geniale: le mura a zig zag sono infatti state pensate, oltre che per riprodurre le zanne del puma, anche per costringere qualsiasi esercito invasore ad esporre il fianco. Di recente, a causa del gran numero di oggetti sacri ritrovati, sono state proposte nuove teorie, in base alle quali Sacsa potrebbe esser stata oltre ad una fortezza, anche un centro cerimoniale; l'insolita forma a zigzag della cinta muraria, lunga circa 400 metri ed alta 6, poteva rappresentare la divinità del fulmine.

Dettagli in ogni caso, poco importanti e poco interessanti. Ciò che sbalordisce, ciò che rende Sacsayhuamàn uno dei luoghi più misteriosi dell'intero pianeta, sono le mura ciclopiche formate da enormi, pesantissimi e durissimi massi di pietra intagliati e incastrati alla perfezione come in un puzzle, trasportati da cave lontane decine di chilometri prima di essere sollevati e collocati con una precisione millimetrica inimmaginabile. Una pietra di Sacsa arriva a pesare oltre 350 tonnellate. Quando i conquistadores giunsero al Cusco nel 1533, rimasero attoniti di fronte a tale immenso monumento megalitico. Gli indigeni Incas infatti, non conoscevano carrucole ed il ferro, non utilizzavano la ruota: come avevano potuto trasportare massi pesanti svariate tonnellate, lavorarli e smussarli con precisione 3D chirurgica in modo che s'incassassero perfettamente l'uno sull'altro e sollevarli per metterli in posizione? E per quale motivo avrebbero costruito tale fortezza spendendo enormi risorse di tempo ed energia? Queste domande sono ancora oggi attuali e senza risposta. Nessuno ancora sa come e perché sia stata costruita Sacsayhuamán.

Le mura ciclopiche di Sacsayhuamán

Secondo la storia ufficiale, la sua costruzione durò per circa 70 anni, ebbe inizio intorno al 1480 d.C. durante il regno di Pachacútec. Tuttavia la versione ufficiale si basa molto su un errore di fondo, il tanto sbandierato metodo di datazione del carbonio 14 che si può applicare solo a materiale organico e non è pertanto in grado di datare il periodo nel quale si è costruito un monumento di inorganica pietra. Nel caso di Sacsayhuamàn, l'analisi del Carbonio 14 è stata applicata ai residui di materiale organico presente nelle ceramiche rinvenute presso le mura ed essendo queste ceramiche tutte di epoca incaica, si è ritenuto che questo popolo fosse l’autore della costruzione. Questa argomentazione ovviamente è debolissima e fa acqua da tutte le parti: non è ragionevole datare un monumento di pietra datando i resti di ceramica o di carbone nelle sue vicinanze. L'origine di Sacsayhuamán così, è di fatto tuttora avvolta nel mistero. Camminando per le vie di Cusco, si trovano nelle bancarelle vari libri di sedicenti mistici, ognuno dei quali sostiene di conoscere la verità sul più misterioso sito archeologico d'America.

In molti ritengono che Sacsayhuamán sia di gran lunga più antica rispetto a ciò che ci dice l'archeologia ufficiale; i conquistadores spagnoli quando arrivarono in Perù, appresero dagli stessi Inca che quelle incredibili strutture megalitiche erano state edificate molto tempo prima di loro da una cultura più antica. In effetti, il livello tecnologico della civiltà inca, che conosceva solo utensili di pietra, non era tale da giustificare la realizzazione di una tale struttura, anche impiegando una grande quantità di mano d’opera, per cui qualcuno ritiene che l’opera sia più antica e che gli Inca si siano stanziati nell’area di Cusco quando le mura ciclopiche già esistevano. Secondo qualche studioso, l'imponente struttura potrebbe esser stata costruita dagli indigeni della cultura Killke nel 1100, ma anche questa popolazione, stanziale nell'area prima dell’arrivo degli Inca, non sembra che possedesse la tecnologia per poter realizzare una simile opera, che dunque dovrebbe essere ancora più antica. I misteri crescono sempre di più. Andando a ritroso nel tempo si arriva praticamente ad Adamo ed Eva. No, nemmeno loro comunque avevano la tecnologia per costruire Sacsayhuamàn. La tradizione locale ovviamente liquida la faccenda in maniera semplice: le mura, per la loro imponenza e dimensione furono costruite dagli "auki", gli antenati giganti semidivini che facevano muovere le rocce frustandole, come si riunisce il bestiame. Esattamente come secondo la tradizione pasquana, i moai di Rapa Nui andavano in posizione da soli camminando guidati dal "mana" degli antenati... ancora non potevo sapere quello che avrei visto tra pochi giorni ad Ahu Vinapu all'Isola di Pasqua.

Il grande mistero delle mura inca

Sacsayhuamán non è assolutamente l’unico esempio di questa edilizia complessa: strutture murarie simili si trovano in tutto l’Impero inca, soprattutto nella Valle Sacra, a Pisac, ad Ollantaytambo ed a Machu Picchu. Di queste costruzioni, gli elementi che sconcertano e destabilizzano sono davvero tanti. Innanzitutto la dimensione dei massi, fino a 5-6 metri d'altezza e diversi metri cubi di volume con un peso superiore alle centinaia di tonnellate, un peso che avremmo difficoltà a spostare anche oggi con le moderne attrezzature a nostra disposizione. Come venivano spostati, sollevati e messi in posizione ad incastro? A Cusco le guide spiegano ai turisti che gli spagnoli usarono persino la dinamite nel tentativo di abbattere muri i quali non facevano una piega nemmeno di fronte ad i terremoti più violenti. Ma la cosa più sorprendente non sono tanto le dimensioni dei blocchi lapidei quanto la loro perfetta unione. Ancora oggi a distanza di 10 anni dal questo viaggio in Perù, il ricordo è indelebile, tanto è stato lo stupore e la meraviglia di fronte all'assoluta, anormale, sbalorditiva, fantascientifica precisione degli incastri, una precisione che non ha paragoni in America, talmente spinta che non è stato necessario l’impiego di malta o altri leganti per tenere i massi insieme e negli interstizi non si riesce nemmeno ad infilare la lama di un coltello o un foglio di carta. Il metodo utilizzato ancora oggi è del tutto sconosciuto, anche perché nel sito non è mai stato ritrovato nessun attrezzo da lavoro.

Gli incredibili incastri murari di Ollantaytambo

Roccia friabile, facile da lavorare? Due colpi e via, si modellava. Macché! Parliamo di granito, porfido, andesite, ovvero pietra durissima, pesantissima e difficilissima da lavorare. Tutte le enigmatiche costruzioni nella Valle Sacra contengono oltretutto pure una buona percentuale di quarzite, uno dei materiali notoriamente più resistenti al mondo, ancor più duro e resistente del granito puro. Mah... Rimango a pensare ore davanti all'incredibile varietà delle forme ad incastro di queste pietre con orientamento assolutamente casuale delle superfici quasi mai perpendicolari fra loro a formare dei poliedri irregolari complessi, a volte con spigoli vivi, a volte con angoli arrotondati. Sono totalmente sconcertato. L'aderenza lungo superfici diversamente orientate, è assolutamente perfetta. C'è un qualcosa di incredibilmente masochistico in tutto ciò, in contrasto netto con il principio fondamentale che regola qualsiasi attività umana, ossia ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Perché soffrire così tanto? Perché non creare blocchi parallelepipedi ed unirli con malta? A Cuzco, ad esempio, c’è un muro nella famosissima ed assai turistica Calle Hatùn Rumiyoc in cui una pietra con 12 angoli è stata perfettamente incastrata tra le altre. Da rompersi la testa.

La pietra con 12 spigoli della Calle Hatun Rumiyoc di Cuzco

E difatti la scienza, nel tentativo di risolvere l’enigma, contro i muri Inca si è letteralmente rotta la testa. Ha risolto tanti misteri ma qui alza le mani e si dichiara sconfitta. Alcune spiegazioni sulle modalità costruttive sono state date, alcune ipotesi sono più convincenti di altre ma ognuna con tanti punti “oscuri”. E tutte richiedono in ogni caso un complicato e faticosissimo lavoro di squadra, tantissima manodopera, tempi lunghissimi ed inimmaginabili per ciascun accoppiamento di pietre, incompatibile con la breve parabola di vita dell'impero incaico di soli 3 secoli.

La spiegazione “ufficiale” è che gli inca sono riusciti in qualche modo ad indovinare la forma da dare ai blocchi utilizzando semplici strumenti di pietra. Da sbellicarsi dalle risate. Si raggruppavano macigni di pietra durissima nel luogo dove sarebbe poi stata costruita la struttura, e si effettuava una prima selezione dei massi, sfruttando formazioni lapidee già naturalmente fratturate ed il loro naturale riposizionamento lungo le superfici di fratturazione, opportunamente levigate con sabbia. Si procedeva a smussare i restanti massi per poterli incassare gli uni con gli altri, utilizzando delle dime, ovvero stampi di argilla e paglia, molto rigidi ma anche leggeri e facili da trasportare. Le dime venivano utilizzate come stampo per poter lavorare la pietra da accostare senza continuamente sollevarla ed abbassarla. La pietra sarebbe stata spostata solo all'ultimo a lavorazione conclusa.

Tutto questo sarebbe stato eseguito con massi che raggiungevano le centinaia di tonnellate ed utilizzando utensili in pietra, mai tra l'altro ritrovati.

Ma è possibile immaginare una procedura tanto complessa e faticosa? A me personalmente, l’intero processo, appare francamente straordinariamente improbabile.

Bisogna però ricordare che nel mondo le costruzioni megalitiche sono tante e che gli antichi seguivano logiche per noi complicate, se non del tutto incomprensibili. Dobbiamo anche pensare che il tempo era considerato dagli antichi in modo diverso da come lo percepiamo ora. Lavorare un macigno per mesi o anni era una cosa normale, il tempo era visto non come un limite, ma come un'opportunità. E va bene. Ma troppe cose non tornano comunque, in primis il fatto che la civiltà inca è vissuta solamente 3 secoli, dunque i tempi tecnici realizzativi non ci sono proprio, nemmeno ipotizzando che tutta la popolazione fosse stata dedicata senza pause a questo soltanto; e poi le tecnologie necessarie per una tale precisione, nemmeno.

L’archeologia tradizionale, come la scienza tutta in generale, non sopporta considerazioni che vadano oltre i suoi rigidi dogmi e schemi mentali. Forse a volte quando si è in una situazione di stallo, nella scienza come nella vita, bisognerebbe sconvolgere i paradigmi adottati. Lo ha fatto un prete peruviano, padre Jorge Lira, uno dei massimi esperti del folklore andino, autore di numerosi libri e articoli fra cui soprattutto, il primo dizionario quechua-castigliano. Il prete affermò di avere scoperto il segreto meglio custodito degli Incas: una sostanza di origine vegetale ottenuta dal mescolamento dell'arbusto dello Jotchala con altre piante e sostanze, che era in grado di ammorbidire le pietre riducendole ad una massa morbida e facilmente modellabile, come fosse del pongo. Il prete condusse diversi esperimenti, anche se mai supportati da controprove scientifiche e sempre coperti da un certo alone di mistero: riuscì tramite il suo impasto segreto, ad ammorbidire la roccia solida fin quasi a liquefarla anche se la trasformazione inversa non avvenne, ovvero egli non riuscì ad indurire nuovamente il masso. Reversibilità a parte, Padre Lira aveva comunque dimostrato, anche se non scientificamente, che la tecnica di ammorbidimento della roccia durissima era possibile. Purtroppo il religioso morì nel 1988 portando con sé nella tomba il segreto della sostanza originale e del suo impiego. Fino ad ora nessuno è stato in grado di replicare l'esperimento ed identificare lo strano miscuglio con precisione: chi dice a base di Pito, chi con l'Ephedra andina...

Ipotesi ancora più fantascientifiche prevedono che i costruttori inca o chi per loro fossero in grado di fondere la roccia fino a darle la forma voluta, ma per ottenere un tale effetto sarebbero state necessarie temperature elevatissime. Una cosa è certa: martelli di pietra, dime e ripetuti sollevamenti non possono garantire la precisione e la forza necessaria per realizzare strutture come Sacsayhuamán, Machu Picchu, Ollantaytambo. Ed anche ammettendo che gli antichi costruttori riuscirono ad lavorare i macigni in modo da incassarli l'un l'altro con chirurgica e tridimensionale precisione, rimane sempre l'enigma di come riuscirono a trasportarli per svariati chilometri, su e giù per le montagne e sollevarli in quota, senza la disponibilità di forza animale, in particolare di cavalli, che loro conobbero solo con l'arrivo dei conquistadores. No, la verità è che a tale enigma non c'è soluzione. O forse una ce n'è, l'unica realmente possibile che tutto magicamente sistema. La fornirò alla fine del post.

El Valle Sagrado

Cusco è la porta di accesso al vero cuore e centro dell'impero: a solo una ventina di km da Plaza de Armas si trova a circa 2800 metri di altezza, la valle sacra degli Inca che si credeva fosse il riflesso terrestre della via lattea. Le pareti scoscese di questa valle fluviale racchiudono una piana alluvionale stretta ma molto fertile e con un ottimo microclima che gli Inca seppero sfruttare abilmente soprattutto per la coltivazione del grano. Fu scelta come seconda dimora da molti nobili per via della sua altitudine più bassa e le temperature generalmente più calde rispetto a Cusco. Il fiume che la percorre nasce nelle Ande e prende il nome di Rio Vilcanota fino alla Valle Sacra, per poi cambiare nome in Urubamba e scorrere impetuoso fino alla giungla della foresta amazzonica unendosi con altri fiumi affluenti del gigantesco Rio delle Amazzoni.

Caratterizzata da bellissime rovine inca come Pisac ed Ollantaytambo, piacevoli villaggi e coloratissimi mercati, dopo centinaia di anni la Valle Sacra mantiene totalmente inalterato il suo fascino.

Valle sacra degli Inca col fiume Urubamba e le vette andine sullo sfondo

Pisac è il punto di partenza per l'esplorazione della Valle Sacra, si raggiunge con un'oretta di combi da Cusco. Pisaq deriva dalla parola quechua “Pisaq”, che significa pernice. Le città degli inca spesso infatti erano costruite secondo disegni figurativi di animali. Il paesetto moderno è molto grazioso, poco noto e frequentato, qualche hippie in cerca di purificazioni spirituali a base di Ayahuasca o San Pedro e poco altro; tutti i turisti sono diretti a Machu Picchu, così le belle rovine inca di Pisac ed Ollantaytambo sono per lo più snobbate e la sera ti ritrovi solo con gli indigeni locali. Il livello di congestione di Pisac si impenna però quando va di scena il mercato indigeno, uno dei più famosi ed autentici del Perù: ogni domenica il paesino diviene una vera e propria esplosione di cultura andina, di colori e di odori, di umanità a caccia di ceramiche, tessuti ed oggetti vari che condividono lo spazio con bancarelle di frutta, verdura e cereali sotto al gigantesco albero in mezzo alla piazzetta centrale.

Il paesino moderno di Pisac

Un intenso trekking si snoda attraverso le pendici delle montagne permettendo di visitare le rovine inca, tra le più importanti del Perù, che si trovano in diverse aree ad altezze differenti: principalmente case originali con cortili, scale, gallerie ed acquedotti ma anche templi e granai con le solite pietre stavolta a forma parallelepipeda, che sembrano tagliate col laser, tanto sono precise. A dominare sul tutto dall'alto, abbarbicata su uno sperone di roccia e circondata da maestosi, magnifici terrazzamenti ad anfiteatro utilizzati dagli Inca per la coltivazione dei ripidi pendii montani, la cittadella antica che secondo gli storici difendeva l’ingresso meridionale alla Valle Sacra, mentre la fortezza di Ollantaytambo era a guardia dell'accesso nord.

La valle sacra degli Inca vista dal Tempio del sole di Pisac ad Intihuatana

Proprio la fortezza di Ollantaytambo, a circa 60 chilometri a nord-ovest di Cusco, rappresenta il luogo della vittoria più clamorosa dell'esercito inca sulle truppe spagnole; è probabilmente uno dei pochi luoghi nel Perù, se non l'unico, dove i conquistadores sono stati sconfitti. Il ribelle Manco II, dopo la clamorosa, atroce, abnorme, esagerata sconfitta di Sacsayhuamàn, si ritirò proprio in questa fortezza. Nel 1536, il fratellastro di Francisco Pizarro, giunse qui con una settantina di uomini soltanto: sapeva bene che gli inca erano talmente delle pippe in battaglia che sarebbero bastati una manciata di uomini soltanto per espugnare la fortezza. Ed invece stavolta le cose vanno diversamente. I conquistadores, bersagliati da frecce, sassi e lance dalla cima dei terrazzamenti, non riuscirono ad arrampicarsi fino alla fortezza in alto, mentre Manco II, con una brillante manovra, attraverso canali appositamente costruiti fece allagare la pianura sottostante. La vittoria inca però durò poco perché gli spagnoli tornarono ben più agguerriti e con molti più uomini e Manco fu costretto a ripiegare nella giungla a Vilcabamba. Il Real Madrid può perdere una volta con una squadra di serie D. Due volte non succede. La seconda partita tipicamente è una disfatta.

Il paesino di Ollantaytambo visto dall'alto delle terrazze inca

Per gli storici tradizionali quest’incredibile fortezza fu edificata nel 1440 d.C. per volere dell’imperatore Inca Pachacùtec, ma non mancano ricercatori che sostengono che il sito fu edificato su rovine molto più antiche, le cui origini restano ignote. In ogni caso, la costruzione non fu mai portata a termine, presumibilmente per l’arrivo dei conquistadores: diversi massi già tagliati, preparati e levigati infatti si trovano abbandonati qua e là.

Ollantaytambo non era comunque solo una fortezza di grande efficacia difensiva ma fungeva anche da centro cerimoniale. In cima alle terrazze infatti si trova il Tempio del Sole, dove si possono ammirare 6 giganteschi monoliti di granito rosa perfettamente intagliati, alti ciascuno di essi più di 3 metri e mezzo. Da impazzire a cercare di capire come hanno fatto a portare questi massi fin lì sopra: le pietre utilizzate per costruire Ollataytambo provengono da una cava distante 10 chilometri, situata sulla riva opposta dell’Urubamba ed è sempre bene ricordare che gli inca non conoscevano la ruota e non avevano cavalli. Probabilmente sfruttarono la forza dell'acqua per il trasporto dei macigni, deviando il corso del fiume. Ma poi come li hanno trasferiti in quota? Mah...

Nella montagna di fronte alle rovine, si possono vedere delle costruzioni particolari, raggiungibili mediante un bella e lunga camminata su un sentiero ben segnalato. Si tratta di grossi depositi per il cibo, quasi sicuramente dei granai, posti nel punto più fresco e ventilato dove le scorte potevano mantenersi più a lungo. Ingegnosi questi inca! Tanto ingegnosi e misteriosi quanto pippe come guerrieri.

Costruzioni inca della vecchia Ollantaytambo con i vecchi granai nella montagna sullo sfondo

Proprio ai piedi della fortezza e delle terrazze si trova il piccolo e suggestivo villaggio di Ollantaytambo, davvero pittoresco con le strette vie acciottolate ed canali d'irrigazione dove si affacciano gli edifici di pietra con i gradoni inca molto alti e ripidi, a svettare sui tetti rossi.

Ollantaytambo è la stazione di partenza del treno che porta a Aguas Calientes, ultimo avamposto prima di salire a Machu Picchu, la città perduta degli inca.

Machu Picchu: la "città perduta degli inca”

L'inca trail è il trekking più famoso del Sud America: 4 giorni per percorrere una quarantina di km di un sentiero, costruito dagli inca, che collega la Valle Sacra alla cittadella di Machu Picchu, un continuo saliscendi tra le montagne tra una rovina precolombiana e l'altra attraversando anche 3 passi andini d'alta quota sopra i 4000, ammirando splendidi paesaggi di fiumi e praterie, di monti innevati e della foresta pluviale. Purtroppo, nota dolentissima, il trekking fai da te è vietato ed il tracciato è soggetto al vincolo del numero chiuso: poche centinaia di persone al giorno sono autorizzate ad accedervi e tutte devono far parte di gruppo organizzato, accreditato con guida ufficiale. Molto turistico dunque, trafficato e costa pure una tombola. No, sarà sicuramente favoloso ma non fa decisamente per me. Non mi va proprio di unirmi ad un chiassoso tour di americani di una qualche agenzia turistica di Cusco. Decido di rinunciare optando per il treno: il tempo guadagnato lo potrò dedicare alla navigazione del Rio delle Amazzoni da Iquitos.

Soddisferò la mia voglia di montagna con bellissimi trekking andini d'alta quota totalmente liberi nei dintorni di Cusco e delle cittadine di Pisac e soprattutto di Ollantaytambo.

Il treno Perurail da Ollantaytambo ad Aguas Calientes

Il treno Perurail, collega la stazione di Ollantaytambo col capolinea di Aguas Calientes, un paesotto piuttosto anonimo e squallido, destinato più che altro all'accoglienza turistica delle persone dirette a Machu Picchu, costruito proprio a lato della ferrovia con i tavoli dei ristorantini a pochi centimetri dai binari. Aguas Calientes è l'ultimissimo avamposto prima della salita in trekking o in autobus verso la cittadella.

La salita è lunga e faticosa, ma assai gratificante. E' davvero vicino l'obiettivo principale del mio viaggio nel Valle Sagrado peruviano. Dopo un paio d'ore di marcia raggiungo finalmente una delle sette meraviglie UNESCO del mondo moderno: appollaiata su un pianoro erboso a 2430 m di altitudine, 450 metri sopra il fiume Urubamba e circondata da verdi montagne aguzze nelle Ande peruviane, perennemente avvolta da nebbia e foschia che le conferiscono ancora più fascino e mistero, è davanti ai miei occhi sbalorditi ed estasiati la città perduta degli Inca, Machu Picchu, un capolavoro di antica ingegneria sopravvissuto a 6 secoli di terremoti, invasioni ed avversità atmosferiche. Madonna che vista. Una bellezza che supera ogni immaginazione. Ho la pelle d'oca.

Splendida vista di Machu Picchu quasi sempre avvolto dalle nuvole

Sì... Machu Picchu, che in lingua quechua significa vecchia cima o vecchia montagna, è davvero un sito archeologico straordinario. Le rovine si trovano a metà strada fra le cime del Machu Picchu e del Huayna Picchu, due monti appartenenti alla Cordigliera Centrale delle Ande peruviane.

Si suppone che la città fosse stata costruita dall'imperatore inca Pachacútec intorno all'anno 1440; per renderla abitabile fu necessario spianare il sito, deviare l'acqua dei torrenti di montagna in canali di pietra, costruire un sistema di terrazzamenti coltivati a mais, patate e coca esposti in modo tale da godere della massima esposizione solare possibile ed un sistema di drenaggio per l'irrigazione e per il deflusso delle acque dovute alle abbondanti piogge. I costruttori inca dovettero sicuramente superare se stessi: il sito scelto, arroccato tra due montagne, era un vero e proprio "insulto" al buon senso e poneva molte difficoltà dal punto di vista tecnico dal momento che le cave di durissima pietra granitica di color bianco-azzurro erano distanti svariati chilometri. La logica masochistica adottata dagli inca francamente è di difficile comprensione.

La città è probabilmente rimasta abitata fino alla conquista spagnola del 1532, ma non fu mai scoperta dai conquistadores. Gli studiosi non sono mai riusciti a capire quando e perché fu abbandonata. Né tantomeno la sua funzione. Scoperte archeologiche recenti infatti, combinate con documenti coloniali, mostrano che in realtà non si trattava di una normale fortezza o perlomeno non soltanto. La posizione ben nascosta nelle Ande, irraggiungibile e remota, scomodissima, con profondi dirupi che la circondano a costituire la sua migliore difesa naturale, giustificavano la scelta del luogo per costruire una base militare inespugnabile; il problema è che, nonostante quello che si crede, la cittadella non presenta assolutamente mura fortificate. Secondo alcuni archeologi, Machu Picchu aveva la funzione di osservatorio astronomico: a giustificare tale ipotesi, ci sarebbe l'enigmatica “pietra di Intihuatana“ situata nel cuore delle rovine, utilizzata per indicare con precisione i due equinozi ed altri eventi celesti; leggende sciamaniche locali sostengono che questa pietra astronomica sarebbe un portale per accedere al mondo degli spiriti: toccando la pietra si avrebbe una sorta di visione e la possibilità di interagire con l'aldilà.

La pietra di Intihuatana a Machu Picchu

Secondo un'ipotesi più recente Machu Picchu sarebbe, oltre ad un osservatorio astronomico ed un centro religioso e politico (nessuno sa fino a che punto anche militare), anche una specie di residenza reale estiva per l'imperatore Pachacùtec e la nobiltà inca. Si è calcolato che non più di 750 persone alla volta potessero risiedere a Machu Picchu nel momento di massimo splendore. Cioè, fatemi capire: gli Inca avrebbero costruito una cittadella nel posto più assurdo e scomodo possibile, semplicemente per una residenza estiva. Un villaggio vacanza. Qui, in mezzo al nulla, al freddo, con la pioggia incessante e la nebbia sempre presente... chi li capisce questi inca è un genio davvero!

Passeggio tra le rovine in compagnia dei lama al pascolo: i camelidi sono utilizzati nel Perù non tanto a livello alimentare a causa della loro carne sgradevole e di difficile digestione, ma per la pregiata lana e come animali da soma, anche se la loro forza è piuttosto limitata e minimamente paragonabile a quella di un cavallo. I lama sono ovunque e sono totalmente abituati alla presenza umana che si lasciano avvicinare senza scappare. Sono loro che mantengono rasa l'erba del complesso, talmente rasa che sembra di essere a Wimbledon.

Il complesso è chiaramente diviso in due grandi zone separate da un muro, da un fosso e da una lunga scalinata: la zona agricola, formata dall'insieme dei verdi e ripidissimi terrazzamenti a strapiombo per la coltivazione, e la zona urbana, dove vivevano gli occupanti e dove si svilupparono le principali attività civili e religiose. La superficie edificata, costituita da templi, case, strade, altari, fontane e piazze, misura approssimativamente 500 metri di lunghezza e 200 di larghezza. E' presente un sofisticato sistema di irrigazione e drenaggio che costituisce un labirinto per la maggior parte sotterraneo: la maggior parte della città, circa il 60% è costruita sottoterra e sfortunatamente nessuna indagine vi è possibile perché alcune parti della cittadella potrebbero danneggiarsi e crollare. Il governo peruviano sembra esser irremovibile nella negazione dei permessi per ulteriori scavi. Nel 2012 Thierry Jamin, archeologo ed esploratore francese, trovò una porta segreta a Machu Picchu e gli occhi del mondo intero si posarono sulla città Inca. Avvalendosi di moderne apparecchiature tecnologiche capaci di scandagliare con precisione il terreno, egli confermò ufficialmente l’esistenza di più camere segrete presenti nel sottosuolo della città, forse tombe di re, forse la stessa tomba dell'imperatore Pachacùtec; appurò con certezza anche l’esistenza di ingenti quantità di oro e di altri metalli preziosi. Nonostante le evidenze fornite, il governo ha sempre negato l'autorizzazione agli scavi, temendo di metter a rischio la stabilità delle strutture. L’accesso alla porta segreta di Machu Picchu di Thierry Jamin nel cuore della città, vicino al tempio delle 3 finestre, resta ancora oggi assolutamente vietato.

Un lama a Machu Picchu

E' gennaio 2011 e sono a Machu Picchu, incredibilmente e senza volerlo, esattamente ad un secolo dalla sua scoperta. Rimasta sconosciuta all’umanità per oltre 4 secoli, la leggendaria cittadella perennemente avvolta tra le nuvole, fu avvistata solo nel 1911 da Hiram Bingham, storico di Yale, esploratore ed appassionato di archeologia, il quale stava esplorando la zona alla ricerca dell'ultima capitale Inca, Vilcabamba. In realtà era stato un ragazzo a portare Bingham a vedere la cittadella ed un proprietario terriero di Cusco, 10 anni prima, aveva lasciato il suo nome scritto su una delle sue mura. All'arrivo di Bingham, tre famiglie peruviane vivevano ancora e coltivavano nelle vicinanze del luogo, quindi gli indigeni locali erano sicuramente già a conoscenza delle rovine. Inoltre, secondo alcuni documenti ufficiali, il vero scopritore di Machu Picchu sarebbe stato un tal Augusto Berns, avventuriero e trafficante tedesco, che visitò per primo la città perduta nel 1867 e iniziò a depredarne le ricchezze col benestare del governo peruviano.

Dunque, contrariamente a quello che si pensa ed alla narrazione comunemente accettata, non fu Hiram Bingham a scoprire Machu Picchu; lui semmai ebbe il grandissimo merito di farla conoscere al mondo intero, attraverso un famosissimo articolo sul National Geographic. L'esploratore americano, ispirazione per il personaggio televisivo di Indiana Jones, solo più tardi si rese conto dell'importanza della sua “scoperta”. Scrisse il suo famoso libro "La città perduta degli Inca", convincendosi, erroneamente, che quella che aveva visto corrispondeva a Vilcabamba, l'ultimo baluardo di Manco II e Tupac Amaru; Bingham continuò a sostenere questa tesi per tutta la sua vita e così, nel tempo, Machu Picchu è diventata famosa come la leggendaria città perduta degli Inca. La sua teoria è stata confutata solo dopo la sua morte, nel 1956: oggi si pensa che la vera Vilcabamba si trovi ad un centinaio di chilometri circa ad ovest di Machu Picchu, persa ed abbandonata in una remota foresta chiamata Espíritu Pampa. Paradossalmente, queste rovine furono visitate proprio dallo stesso Hiram Bingham, sempre nel 1911, ma egli tuttavia non capì la sua scoperta e non ne riconobbe l'importanza.

Hiram Bingham, nel 1916 (a sinistra) e nel 1911 (a destra) nella giungla di Espiritu Pampa in Perù con una guida locale

Quanti segreti nasconde Machu Picchu? Chi la costruì? Quando, come e perché? Come hanno fatto gli antichi costruttori a spostare, tagliare e posizionare blocchi di tale portata ad una simile altitudine? Perché ad un certo punto della storia la città è stata totalmente abbandonata? Nonostante le innumerevoli ricerche degli archeologi, queste semplicissime ed essenziali domande purtroppo continuano a rimanere ancora oggi del tutto insolute.

La foresta pluviale nasconde poi sicuramente altre rovine ancora mai viste perché sentieri inca di pietra si inoltrano nella giungla e nessuno sa dove portino; alcuni di questi camminano incredibilmente su pareti verticali, vertiginosamente a strapiombo che è da pazzi solo pensare di poter passare lì. Gli inca, 6 secoli fa, lo facevano.

E' ora di andare. Mi aspetta l'Amazzonia di Iquitos. Un ultimo sguardo alla cittadella, la quale mi omaggia con un graditissimo regalo. Come per magia, le nubi si dissolvono ed un raggio di sole, l'unico della giornata sempre piovosa, illumina la scena. Con gli occhi faccio il pieno di immensità e bellezza e fotografo il mio ultimo splendido scorcio di Machu Picchu: sarà il ricordo che porterò sempre con me, della città perduta degli Inca.

Ultimo sguardo a Machu Picchu prima di andar via... esce il sole!

Ahu Vinapu: gli inca a Rapa Nui??? (!!!)

Le cervellotiche, incomprensibili pietre incaiche continueranno a tormentarmi e sconvolgermi anche una volta lasciato il Perù. Dovevo andare ad Iquitos nella foresta amazzonica e da lì in Brasile giusto? Ed invece, no. Non chiedetemi come, ma mi ritrovo dopo poche ore dalla visita della cittadella di Machu Picchu, per puro caso e senza averlo minimamente programmato, nientepopodimenoche... all'Isola di Pasqua! Sì, proprio quella con gli enigmatici testoni giganti, il luogo al mondo più lontano da qualsiasi insediamento umano. Dal mistero degli inca al mistero dei moai: un viaggio decisamente... misterioso!

A Rapa Nui, gironzolando in cerca di avventure, incontro un luogo che mi gela il sangue. Nella costa est dell'Isola di Pasqua, vicino all'aeroporto e non lontano dai grossi serbatoi di benzina, ad un'oretta di camminata da Hanga Roa, incontro il sito archeologico minore e secondario, quasi semiabbandonato, di Ahu Vinapu. Non ci sono moai ma blocchi ciclopici di un paio di metri, perfettamente incastrati su due file sovrapposte con una piccola pietra al centro poliedrica incastonata in modo perfetto con la altre.

E no eh! All'Isola di Pasqua no, eh! Come cazzo ci siete arrivate fin qui, in questo luogo dimenticato da Dio a migliaia di km di distanza dalle coste peruviane e senza esser un popolo di navigatori? No, qui non è possibile. Sto sognando! Rimango davvero senza fiato: ho ancora ben impressi nella mia mente i massi di Cusco, di Sacsayhuamàn e del Valle Sagrado... ed ora sono a Rapa Nui di fronte alle stesse costruzioni.

L'incredibile ed enigmatico sito di Ahu Vinapu all'Isola di Pasqua

Fu proprio il sito di Ahu Vinapu a stimolare la fantasia di un esploratore norvegese, Thor Heyerdahl e suggerirgli l'ipotesi che i pasquani non provenissero dalle Isole Marchesi ma dalle coste peruviane dell'America latina, distanti ben 4000 km. Oggi è opinione generale ultraconfermata dalle indagini genetiche sui resti umani ritrovati, che i pasquani siano stati polinesiani, ma non si esclude comunque del tutto la possibilità che siano avvenuti misteriosi contatti tra le due popolazioni intorno al XIII secolo. Dunque gli scenari sono due: o i pasquani sono arrivati fino in Perù navigando 4000 km controcorrente e poi sono tornati indietro “meticciati” e con conoscenze ampliate sulle tecniche costruttive delle mura ciclopiche ad incastro, oppure gli Inca hanno raggiunto Rapa Nui navigando a favore di corrente. Secondo Thor Heyerdahl, la seconda ipotesi era la più logica e l'unica possibile; gli Inca e la logica però, oramai penso sia ben chiaro, sono due rette parallele e difatti questa logica è smentita dagli studi genetici. L'esploratore norvegese comunque dimostrò la possibilità di navigare con i mezzi del tempo dall'America meridionale all'Isola di Pasqua con la sua incredibile spedizione del Kon-Tiki, che lo rese famosissimo: sfruttando la corrente di Humbolt, egli nel 1947, in poco più di 3 mesi di navigazione con una zattera di balsa autocostruita, raggiunse addirittura la le Isole Tuamotu polinesiane, con mezzi, conoscenze ed attrezzature esclusivamente del tempo.

Arcano risolto

Zattere di balsa a parte, io una spiegazione possibile a tutti gli incredibili misteri del popolo inca comunque ce l'ho. E' comoda, bella, facilissima. Decisamente affascinante. Non sono stati gli inca, a costruire le mura ciclopiche a perfetto incastro o giganti semidivini che facevano muovere le rocce frustandole. Né popolazioni più antiche come i Killke o i Tiahuanaco che non disponevano della tecnologia necessaria. Né misteriose civiltà che sapevano liquefare o fondere le pietre. Nemmeno Adamo ed Eva sono stati. No, no.

Sono stati... rullo di tamburi... gli alieni!!!

Tutto molto più facile, accettando la spiegazione aliena, no? Punto. Arcano risolto. Sono stati loro, non possono che esser stati loro, porcaccia zozza!

Giuro che la prima volta che ho pensato seriamente alla possibilità che in passato forme di vita extraterrestri ci abbiano fatto visita è stata per l'appunto proprio nel corso di questo mio primo bellissimo viaggio in Perù, alla scoperta della misteriosa civiltà precolombiana degli inca.

Secondo voi gli alieni esistono? Hanno mai visitato la terra? Sono tra noi?

Razionalmente in un universo con centinaia di miliardi di galassie ognuna delle quali contiene miliardi di stelle, è assolutamente improbabile pensare che la terra sia l'unico pianeta dove si sia evoluta la vita. Matematicamente e statisticamente, negare l'esistenza di forme extraterrestri di vita, sempre se la vita è come noi la concepiamo, è pura follia. E se dunque gli alieni ci avessero fatto visita in passato lasciando questi come segni tangibili del loro arrivo?

Ovviamente sto scherzando, ma fino ad un certo punto. Io sono sempre scettico, vivo nel dubbio perenne; la mia limitata mente scientifica con un sicuramente medio-basso QI, cerca sempre una spiegazione razionale al tutto ma qui oggettivamente, una spiegazione razionale non c'è e difficilmente potrà mai esserci: della roccia durissima e pesantissima è stata trasportata su e giù per le montagne peruviane e modellata in perfette forme ad incastro tridimensionale come fosse il pongo, da uomini che utilizzavano asce di pietra, facenti parte di una civiltà durata soltanto 3 miseri secoli. Senza conoscenza della ruota, senza poter sfruttare la forza animale con i cavalli, senza avere la tecnologia necessaria. E non contenti, con scarse conoscenze di tecniche di navigazione in quanto popolo andino, avevano preso a replicare queste strutture nel posto più irraggiungibile del pianeta trovato non si sa come, in un'isoletta minuscola in mezzo al Pacifico a 4000 km di distanza dalla costa peruviana. Punto. Impazzite tutti signori. Impazzite con me, non lasciatemi solo.