Menu header
Menu header

Nel Regno di Simba

Il bellissimo mural gigante all'aeroporto di Dar Es Salaam: i big 5 e le giraffe nella savana sotto al Kilimangiaro

Il primo incontro con i “big five” in Tanzania è all'aeroporto della capitale Dar Es Salaam: un gigantesco e bellissimo mural a tutta parete nella sala del ritiro bagagli. I 5 grandi animali occupano la parte centrale della pittura che comprende anche un paio di giraffe, il popolo dei masai, la savana, grandi baobab ed acacie ad ombrello; su tutto poi svetta la montagna più alta del continente, il maestoso kilimangiaro. Praticamente tutto quello di più bello che ci si può aspettare da un viaggio in Tanzania. L'espressione inglese “big five” si riferisce ai cinque grandi animali della savana africana ovvero il leone, il leopardo, il rinoceronte, l'elefante ed il bufalo; il nome deriva dal fatto che nei safari di caccia, questi 5 animali sono i più pericolosi e difficili da uccidere, dunque di conseguenza sono i trofei più ambiti dai maledetti cacciatori. Quattro dei cinque "big five" compaiono anche nelle banconote e nelle monete della Tanzania: stranamente manca il leopardo, al suo posto il grande presidente, nonché "padre fondatore della patria" Julius Nyerere.

Il bellissimo mural gigante all'aeroporto di Dar Es Salaam: masai, baobab ed acacie ad ombrello nella savana

Nel tardo pomeriggio del 27 dicembre 2019, io, Gaby ed i bambini, di ritorno dall'isola di Mafia, prendiamo un volo da Dar Es Salaam per l'aeroporto del Kilimangiaro. Domani comincerà il nostro incredibile giro di quattro giorni e tre notti nel nord della Tanzania. Qui si trovano i parchi naturali più famosi dell'intero continente africano e secondo molti sono anche paesaggisticamente i più belli e quelli con la maggior concentrazione di fauna: il Tarangire, il parco dei "giganti" dove regnano incontrastati baobab ed elefanti, il Serengeti, con la sua infinita savana, teatro della più impressionante migrazione ciclica dell'intera terra e l'incredibile cratere di Ngorongoro, considerato, assolutamente non a torto, l'ottava meraviglia del mondo. Un safari nel nord della Tanzania è un'esperienza unica, semplicemente pazzesca, da "once in a lifetime" con la costante sensazione di esser dentro un documentario di Quark o NatGeo. A breve riuscirò a coronare uno dei grandi sogni che avevo fin da bambino. Vedere l'Africa vera, la savana, i leoni e gli elefanti. I ghepardi ed i loro allunghi da 140 km orari. I bufali e le giraffe. Le iene, le acacie ed i baobab. Gli ippopotami ed i rinoceronti... Tra poche ore sarò lì. Che emozione. Anche i bambini non sono nella pelle.

Il re leone

Un safari in Kenya o in Tanzania permette di percorrere i luoghi che diedero ispirazione al grande capolavoro della Disney. L’impressione visitando i parchi del nord della Tanzania è proprio quella di esser davvero all'interno del set del Re Leone. Ciak, si gira!

La somiglianza tra le ambientazioni naturali ricreate nel cartone e la realtà è sbalorditiva: tutto è identico, dagli arbusti, agli alberi fino agli animali più strani e rari come il marabù africano o il bucero beccogiallo. Le infinite distese d'erba dove Simba imparava a cacciare sotto la supervisione dell'imbranato Zazu, sono le enormi pianure del Serengeti e dell'adiacente Masai Mara in Kenya, con la struggente monotonia del paesaggio spezzata dalle tipiche kopjes, le antichissime formazioni rocciose sopraelevate particolarmente amate dai leoni.

Se c’è un cartone animato per bambini che non mi stanco mai di guardare, questo è indubbiamente il Re Leone della Walt Disney. Non so quante volte l'ho visto con i miei figli piccolini! Leonardo e Maya abbracciati sul divano, piangevano con i lacrimoni quando Mufasa moriva, gettato da Scar dal burrore ed investito dagli gnu in migrazione... partecipavano eccitati alla resa dei conti finale tra Scar e Simba, mimando schiaffi e pugni al vento... ridevano a crepapelle quando il facocero Pumba si lanciava alla carica delle iene dopo aver urlato alle stesse "Dovete chiamarmi Signor maiale!!!" Sì, il cartone è bellissimo, decisamente molto di più del corrispondente film dove il troppo realismo ha totalmente distrutto la poesia. La storia commuove e coinvolge proprio tutti, adulti e bambini, dall'inizio alla fine: una storia triste, di morte e disperazione ma anche successivamente di spensieratezza, di speranza, di rinascita e riscatto con il bene che riesce a trionfare sul male. Dialoghi memorabili, paesaggi fantasmagorici, grandi insegnamenti per piccoli e grandi ed una meravigliosa colonna sonora, la canzone "The circle of life" interpretata in italiano magistralmente da Ivana Spagna. Quando Rafiki, il saggio babbuino consigliere più fedele del re, dopo averlo "battezzato", prende in braccio il cucciolo Simba, erede al trono e lo alza al cielo mostrandolo al mondo dall'alto della rupe dei re, con la musica che cresce ed il raggio di sole che illumina i due animali, è impossibile non provare un brivido ed avere la pelle d'oca. Anche se è un semplice cartone animato.

Vedo questa scena e ripenso sempre a quel momento, la nascita di mio figlio Leonardo in una clinica di Leòn in Messico... in sala operatoria, dopo aver tagliato il cordone ombelicale che ancora lo univa alla mamma, l'ho preso in braccio per la prima volta... ed in un secondo ho scoperto cosa vuol dire la parola amore. Lacrimoni grossi scorrevano sul mio viso dall'emozione, un'emozione davvero indescrivibile e minimamente paragonabile a null'altro. "Felicidades amigo, es un compromiso para toda la vida" mi dirà l'amico Ramon, chirurgo del cesareo. Sì, un figlio è un impegno, un grande impegno per tutta la vita.

Leonardo si è sempre identificato da piccolo col leoncino Simba, lo disegnava dappertutto, tra l'altro oltre a chiamarsi Leonardo è nato anche a Leòn ed è del segno zodiacale del Leone! Così io, accanto al suo nome ed alla sua data di nascita in numeri romani, ho tatuato sul braccio la pittura rupestre del leoncino stilizzato che compare nel cartone animato.

Mufasa è il padre che io vorrei essere e che ognuno di noi da piccolo avrebbe voluto avere: saggio, forte, coraggioso, incorruttibile nei valori, protettivo ed affettuoso ma anche severo ed intransigente al bisogno. Spero Leonardo mi veda sempre come il suo Mufasa, con gli stessi occhi di amore, rispetto ed ammirazione che il leoncino mostra nei confronti del padre. E che sia tollerante, perché lui non lo sa, ma quello del genitore è il mestiere più difficile del mondo.

Forse il Re Leone piace così tanto perché tutti noi siamo un po' Simba. Ci identifichiamo totalmente in lui. Tutti noi, siamo stati cuccioli, abbiamo vissuto traumi infantili ed adolescenziali che tutt'oggi ci portiamo dietro ed hanno contribuito a modellare la nostra personalità. Prima o poi dobbiamo fare i conti con il nostro passato, con i fantasmi che ci perseguitano ed affrontare i problemi e le sfide della vita reale. Come dice Rafiki il passato può fare male e possiamo scegliere se scappare in eterno oppure imparare qualcosa dalla sofferenza. Tutti noi ogni giorno siamo divisi tra l’istinto di fuga e il richiamo alle nostre responsabilità di re, un dubbio amletico che logora e fa vivere male. Che ha lacerato internamente anche me nell'ultimo anno. Fuga o re. Al momento è fuga, perché quel regno non mi piace più, lo sento lontano ed estraneo e mi fa tornare in mente brutti episodi.

Come Simba, è necessario intraprendere un lungo viaggio alla scoperta del nostro io più profondo, partendo magari dal motto africano "Hakuna matata" di Pumba e Timòn, "senza pensieri" in lingua swahili, che non significa però ignorare il passato, ma accettarlo insieme alle ferite che inevitabilmente porta con sé; farci pace, lasciarsi scivolare addosso quello che non possiamo né cambiare né più controllare, e con coraggio invece affrontare di petto situazioni e decisioni difficili. La crescita – per Simba come per chiunque altro – avviene con il giusto mix di spensieratezza e responsabilità, attraverso la lotta, come presupposto per l'ingresso nella vita adulta.

Anche io so che prima o poi quel passato doloroso dovrò affrontarlo, presto arriverà la resa dei conti. Lascerò che sia il destino a guidarmi. Oppure come disse Mufasa al suo cuccioletto, guarderò in alto, guarderò le stelle del cielo e mi lascerò guidare dai grandi re del passato.

I costi di un safari in Tanzania

Fin dal primo istante in cui ho iniziato ad informarmi sul modo più selvaggio, autentico, avventuroso, spartano ed economico di visitare i magnifici parchi del nord della Tanzania, mi sono trovato di fronte a prezzi assurdi. Stellari. Inimmaginabili, considerando che la Tanzania è uno dei paesi più poveri del mondo. Con pazienza certosina mi sono messo a cercare ed ho contattato il mondo e quell'altro. Rifiuto ovviamente a priori safari lunghi perché ogni giorno in più di viaggio fa aumentare i costi in modo proporzionale; l'obiettivo è visitare e comunque riuscire ad apprezzare la triade Tarangire-Serengeti-Ngorongoro nel minor tempo possibile, ovvero quattro giorni e tre notti. Rifiuto ovviamente a priori sistemazioni con medio-alto comfort come i lodge all'interno dei parchi, sia per il costo di per sé semplicemente astronomico sia per la filosofia stessa del viaggio che io intendo sempre da globetrotter zaino in spalla e nel modo meno impattante, invasivo e pacchiano possibile. Così contatto piccole agenzie familiari di Moshi ed Arusha, rigorosamente locali richiedendo pernottamento in tenda e sacco a pelo nei campeggi pubblici interni ai parchi, una jeep, comfort minimo se non nullo e solo acqua e viveri a sufficienza per 3 giorni. I costi si abbassano, divengono affrontabili ma rimangono comunque alti, senza che ci sia alcuna possibilità di ridurli. E ben presto capisco perché. Le tasse di ingresso a ciascuno dei parchi, soprattutto Serengeti e Ngorongoro, sono davvero alte ed ogni straniero non residente le paga al giorno a persona, bambini compresi; ogni jeep deve pagare una tassa fissa annuale per poter circolare più un'altra per ogni giorno di safari; solo far scendere un'auto poche ore nel cratere costa ad esempio circa 300 dollari! A queste poi si aggiungono ulteriori tasse, spesso anche superiori alle precedenti, le cosiddette concession fees da applicare a chi dorme all'interno dei parchi nazionali, sia in lodge che nei campi tendati. Dunque praticamente tutti devono pagare ogni giorno sia tasse d'ingresso che concession fees di pernottamento, a meno che non si scelga di dormire in una jeep stracarica di materiali, viveri e persone. A breve probabilmente il governo della Tanzania metterà anche un'imposta sul numero di respiri fatti al giorno. Oltre a queste tasse giornaliere sulle persone e sui mezzi, ci sono le imposte sulla compagnia la quale, per poter operare nelle aree naturali protette deve esser autorizzata dal governo e pagare una pesante tassa fissa annuale più una variabile in base alle giornate effettive di safari.

Il viaggio nel regno di Mufasa inoltre si svolge nelle aree più remote del Paese, nel bel mezzo del nulla, mancano le strade ed il trasporto risulta esser molto difficile: l’unica maniera per raggiungerle è l’uso di un buon 4×4 o di un furgone pesante che possa ben gestire le strade polverose ed accidentate con sufficiente sicurezza e non correre il rischio di rimanere in panne, un mezzo adatto ed adattato a fare questa attività, quindi ad esempio con tetto apribile. Una buona macchina, comoda, sicura ed in buone condizioni, opportunamente modificata per lo scopo, ha come prevedibile, costi di acquisto e manutenzione elevati. Mediamente ogni giorno di safari obbliga a circa 7-8 ore di guida e questi mezzi consumano benzina come se avessero un buco nel serbatoio. E non possiamo guidarla noi. Non ci sono strade e segnaletica, in quei territori sconfinati ci perderemmo sicuramente e poi per varcare i gate d'accesso ai parchi è obbligatorio esser accompagnati da guide certificate. Dunque occorre avere una guida che funge anche da autista. Ed un cuoco tuttofare di supporto: non esistono ristoranti in questi parchi, non siamo a Disneyworld ad Orlando oppure a Las Vegas. Ovviamente tasse d'ingresso, concession fees ed altri balzelli statali dovranno esser pagati ogni giorno anche per ciascuno di loro due. C'è chiaramente anche da pagare cibo, gas al seguito per la cucina, acqua e viveri per 3-4 giorni ed affitto di tende e puzzolenti sacchi a pelo nemmeno lavati. Per supportare e sostenere un turismo etico e responsabile è importante assicurarsi poi che guida e cuoco siano pagati in maniera giusta e non lavorino gratis in attesa delle mance, come spesso invece accade. Anche la compagnia ovviamente dovrà avere il giusto guadagno altrimenti chiuderebbe baracca e burattini. Resta ben inteso che se poi, in uno dei luoghi più selvaggi e isolati del mondo, si vogliono acqua calda, wifi, corrente elettrica per asciugarsi i capelli con il phono e tutte le comodità possibili nel contesto lussuoso di un lodge, allora i costi aumentano esponenzialmente raggiungendo cifre astronomiche.

Ricapitolando, tasse d'ingresso a persona al giorno, tasse d'ingresso annuale e giornaliera alla jeep ed alla relativa compagnia, concession fees da pagare al giorno a persona, guida e cuoco factotum compresi, benzina a fiumi, minimo 3 pieni di carburante per una 4 giorni, ammortamento e manutenzione della costosa jeep, viveri per tre giorni, affitto tende e sacchi a pelo, giusto salario per la guida ed il cuoco al seguito, il giusto guadagno della compagnia che ha organizzato tutto... Non basta ancora. La Tanzania in questi ultimi tre anni ha aumentato i costi all'inverosimile, circa il 30% in più rispetto agli anni passati, aggiungendo anche al tutto un' IVA del 20% che prima del 2016 non esisteva. La tassazione per gli stranieri è spropositata, lo abbiamo visto anche nell'Isola di Mafia. Ed è pure giusto, essendo probabilmente il turismo l'unica fonte di valuta estera per il paese. Il turismo, se etico e responsabile è uno dei modi migliori per redistribuire la ricchezza nel mondo. A patto che il denaro che entra nelle casse dello stato sia finalizzato al reinvestimento nella tutela ambientale dei parchi e nel miglioramento delle condizioni socio-economico-sanitarie della popolazione; non a ripagare gli interessi sul debito alle criminali organizzazioni di Bretton Woods come FMI e BM, perché in tal caso si tratterebbe non di redistribuzione della ricchezza dai ricchi ai poveri ma di paradossale trasferimento della stessa dai turisti medio-ricchi agli squali ed agli sciacalli della finanza e del capitalismo internazionale. Scusate, anche se il tema è il safari, la digressione socialista anticapitalista e antiliberista dovevo obbligatoriamente farla.

Vado al punto. Quanto sono costati a me, con moglie e due figli al seguito, gli incredibili parchi del nord della Tanzania? A fine 2019, con una piccolissima agenzia locale familiare di Moshi, 4 persone per 4 giorni e tre notti in tenda, comfort minimo, una jeep piuttosto malridotta che ha avuto anche un paio di problemi durante il viaggio, ho speso un totale di 2500 dollari tutto compreso avendo ricevuto ampie garanzie sulla giusta paga di guida e cuoco, ai quali poi lascerò in ogni caso una mancia. E con la promessa che al ritorno, il primo gennaio 2020 avrei scalato il kilimangiaro con loro. Sconto pacchetto. Tutti gli altri prezzi ricevuti, anche per soluzioni in tenda erano superiori ai 4000-5000 euro, fino ad arrivare ai 10.000 e 15.000 dollari per soli 3 pernottamenti in lodge rispettivamente di medio ed alto livello. Pazzesco. Manco a Bora Bora in Polinesia!

Molte destinazioni a vocazione naturalistica, come la Tanzania, il Botswana o le Isole Galapagos, stanno portando avanti una strategia di sviluppo turistico che indubbiamente è poco democratica, ovvero l'aumento spropositato dei costi e delle tasse di accesso ai loro paradisi naturalistici al fine di rendere le esperienze di viaggio particolarmente dispendiose e quindi assolutamente esclusive.

Purtroppo però, nolenti o volenti, questo è l’unico strumento che realisticamente permette di limitare al massimo un turismo crescente ed esagerato che risulterebbe insostenibile ed estremamente invasivo. Anche Macchu Picchu, ormai preso d’assalto, è dovuto ricorrere alla stessa strategia. Ma non disperate poveri squattrinati globetrotter viaggiatori del mondo! Esistono anche altri modi per partecipare a veri ed autentici safari africani senza spendere cifre alte, anche qui in Tanzania. Non nel parchi del nord, lì è davvero impossibile. Ma in altre zone sì. In una in particolare. Un safari egualmente autentico, anzi, di più e lontanissimo dai circuiti turistici di massa. Praticamente un luogo sconosciuto. Si è soli, soli con leoni, ippopotami, giraffe ed elefanti. E paesaggi strappalacrime. Una chicca. Una perla unica. Avventura allo stato puro. Ne parlerò nell'ultimo post della Tanzania. Un solo nome: Selous Game Reserve.

I parchi del nord della Tanzania: Tarangire, Serengeti e Ngorongoro

Il tempo di espletare le formalità burocratiche a Moshi, di caricare la vecchia e malandata jeep di viveri, acqua per tre giorni, tenda 4 posti, cuscini e sacchi a pelo, di incontrare e conoscere la guida ed il cuoco factotum e... via!!! Si parte verso il regno di Simba, all'interno del set del Re Leone alla caccia fotografica dei "big five", tra acacie, baobab, praterie infinite e tramonti infuocati...

La nostra jeep per 4 giorni di Safari

A proposito di caccia fotografica... qual è la mia attrezzatura al seguito? Beh, essendo un safari in Africa un esperienza da “once in a lifetime”, non si può badare a spese. Dunque, due reflex digitali per avere versatilità, alta velocità di scatto e messa a fuoco, e grande sensore molto luminoso per foto di buona qualità anche in condizioni di luce insufficiente come all'alba ed al tramonto, quando si hanno le migliori probabilità di avvistamento. Un grandangolo per i panorami ed un paio di enormi e costosi teleobiettivi per catturare animali in lontananza ed in movimento. Ho scelto di avere due distinti corpi macchina perché se ti metti a cambiare ottica durante il safari, oltre a perdere con certezza l'attimo e lo scatto, la polvere entrerà sicuramente. Oltretutto un obiettivo zoom non avrà mai la qualità di un fisso. Poi ovviamente il set di batterie, schede di memoria, cavalletto treppiedi e kit di pulizia. E pesante zaino dedicato. Purtroppo i 20 kg di attrezzatura al seguito, sono inevitabili. Ci avete creduto? No, dai! Non penso! La mia attrezzatura fotografica per il safari è stata... un binocolo, nemmeno mio ma della guida, ed un semplice smartphone, nemmeno di fascia alta, un Samsung S7 che ho da diverso tempo, lottando contro la criminale pratica dell'obsolescenza programmata. Il mio credo in viaggio è il minimalismo, anche fotografico. Anche in un safari. Ovviamente occorre accettare il compromesso, ma i vantaggi in comodità sono nettamente superiori. A luce scarsa e soggetti in movimento, la qualità peggiora nettamente, ma non mi butterò dal balcone per questo. Preferirò in tali occasioni immortalare per sempre l'attimo, non su sensore CCD ma in qualche anfratto del mio cervello. Il cellulare va benissimo invece per foto normali, con luce buona e con soggetto statico e vicino. Nella maggior parte dei casi, ci siamo potuti avvicinare davvero molto agli animali ed in tale situazioni, se la luce è abbondante, la mano è buona e l'occhio pure, le differenze tra un corredo importante ed un telefonino, pur presenti si riducono notevolmente. Per le foto statiche con luce ma in lontananza, invece ho sviluppato una tecnica particolare, non semplice, ma che mi ha dato grandi soddisfazioni! Richiede braccia e mani molto ferme e grande occhio. La mano sinistra tiene il binocolo puntato sul soggetto o l'oggetto della foto mentre la mano destra appoggia l'obiettivo perfettamente pulito della fotocamera del cellulare, sull'obiettivo del binocolo e scatta al momento giusto. Centrarli è difficile, soprattutto con la jeep in movimento, sono entrambi molto piccoli. Ma è possibile! Occorre stabilità e fermezza estrema ad entrambe le mani perché un movimento infinitesimo di una delle due porta inevitabilmente ad un pessimo risultato. Non ho ottenuto ovviamente risultati pubblicabili su una rivista della National Geographic ma mi accontento.

Un giovane leone maschio nella savana, fotografato con la mia tecnica

Il parco del Tarangire è il primo che visitiamo, situato a circa 4 ore di fuoristrada da Moshi ed a circa 100 km dalla città di Arusha lungo la via che conduce al lago Manyara ed agli altri due parchi del Serengeti e Ngorongoro. Si estende per circa 2.600 km2, praticamente è un rettangolo di 100 per 26 km; prende nome dal fiume che lo attraversa, il fiume Tarangire, forza vitale dello stesso e praticamente unica fonte d'acqua dell'intera regione disponibile nella stagione secca, da Giugno a Novembre; ciò determina in questi mesi un'altissima concentrazione di animali, i quali invece si disperdono oltre i confini del parco da Novembre a Maggio quando c'è disponibilità di acqua e pascoli anche lontano dal fiume. La densità degli avvistamenti, massima pertanto nella stagione secca, inevitabilmente si riduce nella stagione verde delle piogge.

Il panorama è verdissimo, selvaggio, disseminato di enormi baobab, alberi spettacolari di grandi dimensioni, tanto in altezza quanto in larghezza, molto longevi e resistenti, dove gli altri giganti del parco, gli elefanti, amano strofinare le loro zanne. Il baobab, baubau come lo chiamavano Leonardo e Maya, assai tipico con il suo fusto rigonfio e la bizzarra chioma spesso spoglia, è un'icona dell’Africa e per la popolazione locale rappresenta anche una fonte di cibo e di medicine. Da molte tribù viene ritenuto sacro.

I maestosi baobab del Tarangire

Un altro albero piuttosto curioso, che incontriamo spesso è la Kigelia Pinnata Africana, comunemente noto come albero delle salsicce perché il suo frutto è una grande bacca legnosa a forma di salsicciotto che può raggiungere anche il metro di lunghezza, i 20 cm di larghezza e pesare fino a 25 kg. La sua polpa fibrosa fornisce nutrimento a numerose specie di mammiferi come i babbuini, i facoceri, gli elefanti, le giraffe e gli ippopotami. Il salsicciotto è davvero pesantissimo tanto che occorre fare molta attenzione quando si staziona sotto la pianta: la caduta dei frutti che pendono dai rami può ferire gravemente una persona e danneggiare il veicolo parcheggiato.

Un urlo improvviso di tutti e 4... Pumba!!! Il primo animale avvistato in safari sarà il buffo facocero!

Ma non tarderà molto anche l'emozione assurda di avere vicinissima, di fronte a noi, una numerosa famiglia di elefanti. Qui nel Tarangire la concentrazione di questi giganti è davvero alta e si incontrano famiglie matriarcali composte da oltre 100 individui. Difficilmente si incontrano grandi esemplari, maschi adulti oppure anziani, come può accadere nel cratere di Ngorongoro, perché in questo parco gli elefanti sono quasi tutti nati dopo la fine del bracconaggio degli anni '80. In quanto a numeri però il Tarangire vince su tutti. Lo spettacolo è assicurato: gli incontri sono talmente numerosi che ci stancheremo di vedere elefanti. E cuccioli, fortunatamente si vedono tanti cuccioli!

Gruppo di elefanti nel parco del Tarangire

Purtroppo invece il rinoceronte, animale quasi sull'orlo dell'estinzione, non è più stato avvistato nel parco. I bracconieri li hanno ammazzati tutti. Se i cacciatori di frodo sono colti in flagranza di reato, sono soggetti a multe ridicole, dell'ordine del paio di cento dollari. Ma per loro il gioco vale la candela perché il corno di rinoceronte è il prodotto in assoluto più pregiato: può raggiungere nel mercato nero un valore vicino ai 100.000 dollari al chilo, il che significa, calcolando il peso di ogni singolo corno, che ogni rinoceronte può rappresentare un affare vicino al milione di dollari. Delle 30 specie esistenti, oggi ne rimangono solo 5 e si trovano in Asia ed Africa. In Africa esistono le due specie del rinoceronte bianco ed il rinoceronte nero, quest'ultimo oramai purtroppo in grave pericolo di estinzione e rarissimo da incontrare. Un orribile massacro perché i corni sono spesso strappati ai poveri animali ancora in vita e sono dunque destinati ad agonizzare per ore prima di morire. Un orribile massacro oltretutto per nulla, per credenze assolutamente assurde e prive del minimo fondamento medico scientifico: nei paesi del sud est asiatico, soprattutto Vietnam e Cina, la polvere del corno di rinoceronte è considerata una incredibile cura per il cancro, ma anche per l’impotenza, l’influenza o semplicemente il dopo-sbornia. Peccato che il corno sia fatto di pura cheratina, ovvero la sostanza di cui sono fatte unghie o capelli, dunque non abbia con assoluta certezza, nessuna di queste miracolose proprietà.

Anche le zanne di elefante sono merce preziosa: un chilo di vero avorio ha un prezzo nel mercato internazionale variabile dai 1000 ai 3000 USD: ogni elefante ucciso può dunque arrivare ad avere un valore superiore a 100.000 dollari! Ogni anno in tutta l'Africa vengono uccisi dai 20.000 ai 30.000 elefanti per alimentare la follia dei ricconi arabi del Qatar e soprattutto dei miliardari cinesi per i quali l'avorio è un vero e proprio status symbol.

Di fronte a cifre astronomiche di questo tipo, centomila dollari per l'avorio di un elefante ed un milione di dollari per un corno di rinoceronte, i parchi nazionali, i rangers, i guardaparchi e i tanti sforzi governativi, sono quasi impotenti: i maestosi pachidermi africani continuano a essere uccisi vanificando gli sforzi per salvarli dall’estinzione. Ma i veri cattivi, non sono i bracconieri: loro sono come facilmente intuibile, l'ultima ruota del carro, la manodopera a bassissimo costo di un sistema criminale transnazionale che dispone di armi, strutture logistiche di supporto, coperture economiche per corrompere politici locali ed avere protezioni e santi in paradiso anche insospettabili. Il fiume di denaro sporco proveniente dal bracconaggio ingrossa ed ingrassa i conti bancari delle organizzazioni mafiose cinesi e africane, diffonde il cancro della corruzione e soprattutto finanzia le attività di alcuni dei gruppi terroristici più pericolosi al mondo, come Boko Haram, Al-Shabaab, Al Qaida. Una tragedia, umana ed ambientale di proporzioni cosmiche.

Nel parco del Tarangire oltre ai numerosi elefanti, si possono avvistare soprattutto nella stagione secca, tutti gli animali visibili nei parchi più grandi e famosi del Serengeti e Ngorongoro: gnu, struzzi, bufali, zebre, giraffe, gazzelle di Thomson e di Grant, svariati tipi di antilopi, facoceri, scimmie e babbuini oltre ai grandi predatori come leoni e leopardi, ghepardi, iene e licaoni. Ed una grande varietà di uccelli, alcuni anche strani come il Bucorvo cafro, un grosso ed inquietante uccello terricolo nero con lungo becco e la testa coperta da pelle glabra color rosso vivo.

Per raggiungere le sterminate pianure del Serengeti occorre attraversare l'area di conservazione di Ngorongoro dove tuttavia ci fermeremo non ora ma al ritorno. Siamo in pieno territorio masai, la popolazione locale dedita principalmente all'allevamento di bestiame ed unica tribù a cui è concesso abitare in questi luoghi naturalisticamente così importanti, in quanto non cacciano e non si nutrono di animali selvatici, ma esclusivamente degli animali che allevano e di quel poco che riescono a coltivare. I masai hanno un corpo snello ed alto ed indossano sempre i loro tipicissimi shuka, degli scialli di cotone a quadri con i colori dominanti rosso, blu e nero; ai piedi hanno sandali fatti con i copertoni delle ruote. Vivono organizzati in struttura patriarcale in villaggi spesso molto isolati, dove mancano energia elettrica ed acqua corrente ed il pozzo può anche esser molto lontano. I villaggi hanno un recinto spinoso di rami all'esterno per proteggersi dagli animali selvatici ed un altro all'interno per accogliere il bestiame; le abitazioni sono molto tipiche, di forma ovale e costruite con rami e paglia amalgamati insieme con un mix di sterco e fango. Anche i masai ovviamente hanno fiutato il business del turismo e consentono alle jeep di entrare nei loro villaggi: mettono in scena finte danze e mostrano forzate scene di vita quotidiana per la modica cifra di 50 dollari a mezzo. Anche no, grazie. Tiriamo dritto.

Masai nel mercato a Moshi

Tra l'area di conservazione di Ngorongoro ed il parco nazionale del Serengeti, ci sono le gole di Olduvai, forse il sito di paleoantropologia più importante del mondo, scoperto in via del tutto casuale da un entomologo che stava cercando di catturare una farfalla. Una serie di scavi hanno riportato alla luce reperti e resti di diverse decine di ominidi che coprono un enorme periodo che va dalla comparsa degli australopitechi, circa 2 milioni e mezzo di anni fa, fino all'homo sapiens, passando per l'homo abilis e l'homo erectus. In questi territori milioni di anni fa vivevano i nostri antenati, qui praticamente è iniziata la storia dell'uomo: Olduvai infatti spesso viene definita come "la culla del genere umano". Nel 1972 vennero scoperte le famose orme di Laetoli, impronte fossilizzate di ominidi, forse appartenenti alla specie Australophitecus afarensis, che camminavano in posizione eretta, risalenti alla bellezza di quasi 4 milioni di anni fa. Sono più di 50 orme, umane non di scimmia antropomorfa, nel giro di una ventina di metri, perfettamente identiche a quelle che lascerebbe oggi un uomo sulla sabbia, con tallone, arcata sostenuta ed alluce ben allineato. Misteri ancora non risolti.

Il monumento Olduvai Gorge nella piana del Serengeti

Un nome, un mito: Serengeti, il parco nazionale più antico e vasto della Tanzania fin dal 1940, e patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO dal 1981. "Siringet", parola di origine masai, significa “Pianura senza confini”. E difatti la nostra jeep viaggia per ore nelle strade polverose e sterrate senza che il panorama cambi: erba a perdita d'occhio, verde ed alta nella stagione delle piogge e bruciata e bassa d'estate, praterie sterminate con un numero incalcolabile di gnu, antilopi, gazzelle, zebre e bufali al pascolo. Una savana infinita, in precedenza vista ed ammirata già decine di volte nei documentari di Quark, la cui monotonia è spezzata dai caratteristici alberi di acacia ad ombrello, simbolo del parco con le loro chiome piatte tanto amate dalle giraffe, e da bizzarre ed antichissime formazioni granitiche modellate da vento e pioggia, chiamate kopjes che attirano i grandi predatori come i leoni che amano sdraiarvisi sopra o nascondersi in attesa del passaggio di una possibile preda. Nel parco, si possono avvistare tutti e cinque i "big five" anche se purtroppo gli incontri con il rinoceronte nero, sono assai rari perché la specie è quasi in via d'estinzione.

Gate di ingresso del Serengeti National Park

Milioni di erbivori presenti implicano ovviamente anche un'alta concentrazione di predatori, anche se la stagione delle piogge nella quale noi ci troviamo, non è il periodo dell'anno migliore per avvistarli per via dell'erba alta che li nasconde. I leoni sono assai numerosi con una popolazione, in costante aumento, che conta quasi 3000 esemplari, cosiccome i ghepardi, circa 500, che hanno bisogno di ampi spazi vuoti per poter esplicitare le loro potenzialità velocistiche durante la caccia. Sono presenti anche un migliaio circa di leopardi, notoriamente più difficili da avvistare in quanto animali notturni. Ne vedremo un paio in lontananza, appollaiati e ben nascosti sopra agli "alberi delle salcicce". Sicuramente meno affascinanti di leoni, ghepardi e leopardi, ci sono poi gli spazzini della savana: iene, sciacalli ed i grandi uccelli saprofagi come l'avvoltoio ed il marabù africano, uno sgraziato ed enorme volatile dal lungo e tozzo becco rosa che spesso si riunisce in branchi e resta appollaiato sopra gli alberi di acacie ad ombrello. Questi spazzini mangiano interiora e tendini, triturano le ossa e tutto quello che rimane del pasto dei grossi felini: la loro presenza è fondamentale per mantenere il delicato equilibrio della Savana e prevenire la diffusione delle malattie tra gli animali selvatici.

Le tipiche acacie ad ombrello del Serengeti

Il parco del Serengeti è teatro della più impressionante migrazione ciclica sulla Terra che vede lo spostamento annuale di diversi milioni di erbivori, in gran parte gnu, ma anche zebre e gazzelle. Gli animali seguono acqua e pascoli sempre disponibili così passeranno dalle pianure del sud-est durante la stagione delle piogge, ai boschi del nord-ovest del Masai Mara in Kenya durante la stagione secca. Durante la stagione delle piogge, tra gennaio e marzo le mandrie di gnu vivono sparpagliate nelle zone meridionali del Serengeti e Ngorongoro, ma al cessare delle stesse, il territorio inaridisce rapidamente, inducendo gli gnu ad intraprendere una migrazione verso nord-ovest in cerca di cibo. Mandrie impazzite attraversano, tra fine maggio e inizio luglio, il fiume Grumeti, facendo un tuffo suicida nelle sue acque infestate da coccodrilli. Decine di migliaia di erbivori annegheranno o moriranno sbranati. Ad agosto gli animali faranno un altro attraversamento ancor più spettacolare ed incredibile sul fiume Mara, lasciando il Serengeti per entrare nell'area protetta del Masai Mara in Kenya. Quasi 250.000 gnu muoiono nel percorso a causa della stanchezza e dei predatori. Ed a Novembre, tutto ricomincia da capo perché gli gnu intraprenderanno una nuova grande migrazione al contrario verso sud-est in attesa delle nuove piogge. Un viaggio dunque eterno quello degli erbivori, un pellegrinaggio alla costante ricerca di cibo e acqua che non ha mai un vero inizio né una vera fine.

Rappresentazione nel centro visitatori del Serengeti dell'attraversamento del fiume Grumeti degli gnu in migrazione

In una bella prateria, davanti a dolci colline verdi assisterò ad uno degli spettacoli più incredibili della mia vita anche se purtroppo da lontano. La nostra guida avvista un ghepardo ben nascosto nell'erba alta. Un gruppo di gazzelle scorrazzano allegramente nelle vicinanze ignare del pericolo che stanno correndo. Tutto accade in un attimo: il ghepardo comincia a correre raggiungendo in un paio di secondi una velocità supersonica che ci lascia sbalorditi... le gazzelle scappano ma una è raggiunta e trascinata via dal predatore. Rimaniamo pietrificati: è quello che abbiamo sempre visto nei documentari di Quark! Davanti a noi! Il ghepardo scompare nell'erba alta ed ogni tanto lo rivedremo alzare la testa, intento a divorare la sua preda.

Una leonessa sopra un albero nel parco del Serengeti, fotografata con la mia tecnica

La sera montiamo la tenda nel campeggio pubblico Nguchiro. L'accampamento è all'aperto, totalmente esposto, senza recinzione alcuna, proprio nel bel mezzo del Serengeti. C'è una baracca con tetto di lamiera adibita a cucina pubblica ed un bagno esterno. Il divieto di allontanarsi è assoluto e si deve fare molta attenzione quando si esce la notte dalle tende perché c'è il reale pericolo di avere animali selvatici vicino, leoni inclusi! La sera mangiamo sotto le stelle in un'atmosfera magica, silenzio assoluto ed il frastuono delle cicale; intorno a noi, nella boscaglia circostante, si intravedono nel buio pesto, occhi di felino; ogni tanto si avvicina qualche iena attratta dall'odore del cibo. I bambini sono emozionatissimi, per loro questi animali sono i cattivi sicari, i fedeli sudditi di Scar! Ed allora fanno come Pumba: urlano “Dovete chiamarmi signor maiale”!!! E fanno finta di lanciarsi alla carica... Che divertimento viaggiare con loro!

Il nostro safari è un crescendo assurdo di emozioni. Mai avremmo potuto immaginare dopo aver visto ed ammirato i parchi del Tarangire e del Serengeti, che la parte più bella ed indimenticabile del safari ancora doveva arrivare! Con la jeep ci allontaniamo dalle infinite praterie verdi per entrare in tardo pomeriggio nell'Area di Conservazione di Ngorongoro, dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 1978. Saliamo di quota attraversando la foresta pluviale montana che circonda il magnifico cratere di Ngorongoro, punto nevralgico del parco, un luogo di indescrivibile e magica bellezza considerato assolutamente non a torto l'ottava meraviglia del mondo: probabilmente è il luogo naturalisticamente più interessante ed con il paesaggio più bello e spettacolare dell'intera Africa. Il cratere ha di forma leggermente ovale, un diametro di quasi 20 km e 600 metri circa di profondità con il fondo a 2200 metri sopra il livello del mare, dimensioni che ne fanno la più grande caldera continua e senza interruzioni esistente al mondo; si formò circa 3 milioni di anni fa a seguito di una forte esplosione che fece collassare un vulcano che si stima fosse alto originariamente tra i 4500 ed i 5800 m. Raggiungiamo con la jeep un belvedere dal quale si gode la prima vista panoramica mozzafiato sul vasto cratere dell’antico vulcano, la verde savana nel fondo, le foreste di acacie ed il lago Magadi al centro. Lo scenario lascia senza fiato, la sensazione è quella di osservare uno spaccato di mondo primordiale, come in Jurassic Park. Non mi stupirei se uscisse dalla selva da un momento all'altro un dinosauro T-rex. E la mente viaggia con i ricordi di viaggi passati: il suggestivo contrasto tra il fondo verdissimo e le pareti del vulcano totalmente coperte di fitta e lussureggiante vegetazione tropicale, mi fanno tornare in mente due posti del mondo, che come questo mi hanno tolto letteralmente il fiato: la caldera gigante del vulcano Sierra Negra nell'isola di Isabela alle Galapagos ed il vulcano Rano Kau all'Isola di Pasqua. Sì, oggi le visioni di questi tre incredibili crateri le ho stampate nella mia mente in modo indelebile, tanto sono rimasto immobile ad ammirarli, sbalordito da cotanta bellezza ed estasiato dalla magnificenza del creato.

Il cratere Ngorongoro

E' tardi e non c'è tempo per scendere nel cratere. Lo faremo domani mattina prestissimo, ultimo giorno dell'ultimo anno normale pre-pandemie. Così raggiungiamo un bel campeggio sotto una quercia a 2400 metri sopra il livello del mare e montiamo la nostra tenda; a me vanno proprio di lusso questi ultimi due pernottamenti in quota sopra i 2000 metri perché aiuteranno l'acclimatamento per la scalata successiva al Kilimangiaro. Che notti incredibili passate nei parchi del nord della Tanzania! Se ieri nel Serengeti avevamo intorno a noi leoni e iene, oggi abbiamo elefanti e bufali. La guida ci dice che sono erbivori ma possono esser anche aggressivi se disturbati dunque ci consiglia di fare movimenti dolci e non improvvisi per non innervosirli. E' buio pesto ed i giganti non si vedono, quasi te li trovi di fronte all'improvviso e ti fanno prendere un infarto... Notte pazzesca, con diversi bufali ed un elefante che vagavano tra le tende del campeggio. Ti addormenti e senti il fiato del bufalo a pochi centimetri dalla tua testa. Temi che ti possa dare una cornata e non prendi sonno... Emozioni davvero uniche ed irripetibili.

Leone adulto nel cratere Ngorongoro

E' il 31 dicembre 2019, alle 18 di pomeriggio Gaby ed i bambini hanno l'aereo per Roma via Addis Abeba. Ogni jeep che scende nel cratere ha un permesso che dura soltanto 4 ore ed il gate d'accesso apre alle 6. Partiamo prestissimo dunque, all'alba; 5 e 30 in piedi così per le 11 di mattina possiamo esser già in marcia alla volta dell'aeroporto internazionale del Kilimangiaro, distante almeno 4-5 ore da Ngorongoro. I tempi sono stretti ma dovremmo farcela, salvo imprevisti. Che comunque non sono mai mancati perché la jeep ha necessitato di interventi già un paio di volte... Siamo al Seneto Gate in perfetto orario, unica jeep. Non solo ci troviamo in uno dei posti naturalistici più belli del mondo, una specie di Jurassic Park! Ci stiamo anche totalmente soli, perché normalmente le jeep scendono qui soltanto dalle 9 di mattina in poi. Soli, ed oltretutto all'alba, in un'atmosfera surreale: in cima alle ripide pareti del cratere, nuvole basse, silenzio assordante ed il sole che sorge sul gigantesca e verdissima caldera con una nebbiolina che avvolge tutto. Madonna, ma che cosa ho davanti a me... Ma dove sto! Ma come li trovo questi posti!

Se la visione dall'alto del cratere lascia senza fiato, la magia assoluta si vive in basso. Cominciamo a scendere verso il fondo. Le ripide pendici del cratere, che si innalzano fino ad un'altitudine massima di quasi 3000 m, creano all'interno un microclima tutto particolare: nella caldera le piogge sono abbondanti e formano piccoli stagni, acquitrini, paludi e corsi d'acqua che rimpinguano le acque del lago Magadi presente al centro. L’isolamento dal resto della zona e l'abbondanza di acqua creano un habitat unico e determinano una concentrazione di animali stanziali assolutamente eccezionale, senza pari in tutto il continente africano, con la presenza di circa 400 specie di uccelli e 30.000 grandi mammiferi residenti tutto l’anno, inclusi ovviamente i famosi “big five”. La massima probabilità in Tanzania di avvistare il raro rinoceronte nero si ha qui. Riusciremo a vederlo, ma solo da molto lontano col binocolo e purtroppo non riuscirò a fotografarlo con la mia tecnica.

Ippopotami nel cratere di Ngorongoro

Il centro del cratere è occupato dalle acque basse del lago Magadi, punto migliore per osservare uccelli acquatici come gru, cicogne, fenicotteri rosa, aironi, ma anche struzzi, rapaci come aquile, falchi, poiane, ed uccelli spazzini come avvoltoi, bucorvi, e marabù. Intorno al lago una grande distesa di savana verde, dove si alternano piccole paludi e stagni con ippopotami, boschi di acacia gialla con elefanti e leopardi, praterie e radure, territorio di pascolo per i moltissimi erbivori, soprattutto gnu, zebre, gazzelle ed antilopi che richiamano la presenza di predatori come leoni, ghepardi, gattopardi, caracal, volpi e carnivori spazzini come iene e sciacalli. Non sono presenti invece le giraffe. La popolazione di leoni è molto numerosa, nel cratere c'è la maggiore densità d'Africa: gli avvistamenti dei felini a Ngorongoro sono più probabili rispetto al Serengeti anche perché, l'erba nonostante l'abbondanza di acqua, si mantiene sempre bassa anche nella stagione delle piogge a causa del terreno di natura vulcanica.

Il cratere di Ngorongoro è davvero un Eden, un paradiso terrestre stracolmo di animali, un luogo forse unico al mondo, talmente bello ed emozionante da commuovere. É un esperienza psichedelica, un trip di acido. C'è stato soltanto un altro luogo nel mondo dove ho provato l'esperienza di esser totalmente disorientato dalla quantità di animali selvatici che avevo attorno e non sapere dove guardare: in Indonesia nell'arcipelago di Komodo, ma in immersione subacquea. Ecco, per me Ngorongoro è stato in superficie ciò che Batu Bolong a Komodo o Raja Ampat è stato sott'acqua. Indubbiamente uno dei posti più incredibili mai visti nella mia vita. Una di quelle visioni che mi accompagnerà per sempre e morirà con me.

Le 4 ore di safari in questa specie di incredibile arca di Noè passano in un attimo, il permesso scade e dobbiamo risalire in fretta. Raccogliamo le tende al campeggio e partiamo per l'aeroporto. Gaby ed i bambini tornano in Italia. Io resto. Per me l'avventura non è finita. Domani mattina, primo gennaio 2020, comincerò la scalata dei 5895 metri del Kilimangiaro.

Con la guida ed il cuoco del safari davanti all'aeroporto del Kilimangiaro: Gaby ed i bambini tornano in Italia, io resto.