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Thomas Sankara, il “Che Guevara africano”

Tante persone ad Ougadougou si chiamano Thomas. Anche il proprietario della bettola dove alloggio in Avenue Bassawarga, proprio di fronte allo stadio e vicinissimo alla cattedrale. E' un giovane sulla trentina, simpatico e cordiale ma di poche parole; anche perché la conversazione è difficilissima, io non conosco il francese ed in Burkina Faso nessuno parla inglese.

Certo però, che mi ha prestato proprio un catorcio di bicicletta per muovermi! Il cambio non funziona, cigola tutta, le gomme hanno qualche milione di chilometri alle spalle e la sella ti spacca il culo in due... ma mi accontento perché qui, un catorcio del genere è una Ferrari.

Pedalo per le strade polverose e trafficate di Ouga, già bagnato fradicio di sudore e coperto da un sottile strato di polvere rossa e smog. Sono le 10 del mattino e già non si respira. Percorro la via delle banche dove i bancomat, o ci stanno o non ci stanno è uguale, perché comunque non funzionano; supero il fatiscente e diroccato palazzo di giustizia giungendo nella rotonda impazzita di Piazza delle Nazioni Unite. Svolto a destra verso l'Avenue Indipendenza che porta al palazzo governativo del Primo Ministro. E vado da lui. Perché nel post “Dar Es Salaam” avevo fatto una promessa. Ed io le promesse le mantengo.

Il Memorial del comandante Thomas Sankara

Vado a rendere omaggio al grande, immenso comandante nel suo Memorial, costruito proprio nel luogo dove fu brutalmente assassinato; si trova ai lati di una strada molto larga, nelle vicinanze della sede della televisione e della radio nazionale. Sono arrivato. Appoggio la bicicletta, o meglio, il catorcio, al muretto. E mi avvicino.

Una cassa audio mezza rotta coperta da un pezzo di cartone, rompe il silenzio e manda all'infinito il discorso del suo amico e compagno rivoluzionario, l'ex presidente socialista del Ghana Jerry John Rawlings, morto un anno fa ed omaggiato nel sito con la presenza della bandiera del suo paese accanto a quella del Burkina Faso; in giovane età Jerry era il sosia quasi perfetto del Che. Alla destra una bancarella di libri, gadget generici e magliette inneggianti al patriottismo, col volto sorridente di Tom Sank, come veniva affettuosamente chiamato.

Davanti al Memorial di Thomas Sankara con le bandiere di Ghana e Burkina Faso; Ougadougou, 31 Ottobre 2021

Un brivido corre lungo la mia schiena e l'emozione prende il sopravvento. Sono finalmente di fronte alla famosa opera dello scultore burkinabè Jean Luc Bambara, la statua di bronzo alta 5 metri di Thomas Sankara, posta sopraelevata rispetto al terreno, su un basamento di circa 4 metri circondato ai 4 lati dagli altorilievi dei 12 compagni rivoluzionari morti con lui nell'attentato. Dodici, esattamente come le pallottole scolpite nella sua pistola; dodici, come i colpi di Kalashnikov AK-47 che sembra abbiano crivellato il suo corpo, due in testa, 10 al busto.

Thomas ha uno sguardo fiero e felice, la postura trionfale. Ed il pugno chiuso della mano sinistra alzato al cielo.

Avrei voluto comprare un mazzo di fiori e depositarlo alla base del monumento, ma qui in questo paese, non cresce più un fiore oramai da 34 anni. Da quel maledetto 15 ottobre 1987.

Sono sotto alla statua di Tom Sank dell'artista burkinabè Jean Luc Bambara: pugno chiuso al cielo!

Tommy morì ad un centinaio di metri da dove oggi si trova la statua, in corrispondenza di un piccolo complesso di costruzioni, ora totalmente abbandonato e coperto di sterpaglie, che a quel tempo ospitava le sedi e gli uffici del CNR, il Consiglio Nazionale della Rivoluzione: secondo la ricostruzione più probabile, fu ucciso proprio nel punto dove è deposta una corona di fiori a forma di cuore accanto a delle rose bianche, sopra al quale è stata appesa una sua bellissima raffigurazione. Sulla parete dell'edificio alla sinistra della grande foto, ci sono i nomi ed i ritratti dei 12 eroi morti per la “rivoluzione della felicità”. Ma forse in realtà, gli eroi erano solo 11, poiché si dice, ci fosse tra essi una talpa, un traditore, il quale comunque fu silenziato per sempre per impedire eventuali fughe di notizie compromettenti.

I 12 compagni rivoluzionari morti nell'attentato

31 ottobre 2021, un caldo infernale qui al Memorial, quasi 40 gradi. Il sole ormai è a piombo. Un'aria bollente che è un pugno nel petto. Passeggio pensieroso in prossimità del luogo del delitto e trovo un po' di riparo sotto un albero che ha dei frutti verdi che sembrano palloni, proprio di fronte alla corona di fiori bianchi. Sono solo, la guardia è lontana e non c'è nessun cartello che vieta l'ingresso agli edifici, alle stanze dell'attentato. Entro guardingo e rimango letteralmente sbalordito.

Tutto qui è rimasto al 15 ottobre del 1987: é come se il tempo si fosse fermato. Computer dell'epoca, Commodore 64 con schermi a tubo catodico, vecchie televisioni, macchine da scrivere e radio, archivi con documenti, libri contabili per terra, documenti vari... tutto coperto da polvere e terra rossa. Proprio in queste stanze si trovava Sankara, nel momento in cui il commando cominciava a sparare. Sono sbalordito. Senza ovviamente toccar nulla, ho anche cercato un calendario, che mostrasse la data, ma non l'ho trovato. Poi delle voci fuori, devo uscire.

Interni degli uffici del Consiglio Nazionale della Rivoluzione, dove Sankara fu assassinato

Arriva una delegazione di persone. La guardia si era allontanata per riceverle ed ora protegge l'accesso al sito, impedendo l'ingresso alle stanze a chiunque, sostenendo che è vietato perché quello è proprio il luogo del delitto, soggetto a sequestro e possibili indagini. Mah... indagini dopo 34 anni... Fino ad ora che cazzo hanno fatto? E poi potrebbero metterci un cartello no?

Al solito in viaggio però, sono sempre molto fortunato: non sono persone qualsiasi quelle fuori, ma delegazioni internazionali di politici membri di partiti socialisti patriottici, panafricanisti e sankaristi (in Italia direbbero in modo dispregiativo "sovranisti"), giunti ad Ougadougou per partecipare ad un importantissimo congresso, che si tiene proprio questi giorni, sotto il nome, il simbolo e la stella di Thomas Sankara. Conosco Gael De Santis, simpatico e gentilissimo giornalista del partito comunista francese, invitato alla conferenza, che vedrò in questi giorni sempre elegante e con la sua immancabile camicetta rossa. Io una bestia invece, coperto di polvere, senza cambio e bandana in testa per riparare la capoccia dalle radiazioni solari. Finalmente riesco a scambiare due chiacchiere con qualcuno perché qui nessuno parla inglese! Gael invece sì ed oltretutto ha anche un ottimo italiano. Mi da qualche dritta, qualche informazione; ci scambiamo mail e siti web, dandoci appuntamento all'indomani alla Maison du People, il Palazzo del Popolo più importante e grande di Ougadougou dove si terrà l'importantissimo incontro. Riuscirà a fornirmi anche un pass da giornalista. Grazie Gael, ti scriverò presto, appena tale articolo sarà terminato ed on line!

Amo immensamente Thomas Sankara. A mio avviso è stato uno dei più grandi leader socialisti della storia. Anzi, mi sbilancio. Il più grande di tutti, perché senza macchia, senza alcuna ombra. Pochi politici, sognatori, ribelli come lui hanno in me suscitato così tante emozioni, passioni, sensazioni positive, gioia per la sua vita e le sue idee, rabbia per il suo brutale assassinio. Poche volte mi sono commosso di fronte a magistrali discorsi, come i suoi all'ONU nel 1984 o all'OUA nel 1987. Poche volte mi sono riconosciuto totalmente, e dico totalmente, in un'ideologia politica, così rivoluzionaria ed ambientalista, pacifista, fieramente terzomondista e orgogliosamente panafricanista, anticapitalista ed antimperialista, patriottica ed internazionalista, un'ideologia non comunista pura ma socialista, ispirata sì dal marxismo-leninismo ma senza alcuna deriva autoritaria stalinista o maoista, sempre basata sulla tutela della libertà del cittadino, condizionata ovviamente però all'interesse della collettività. Il "Che Guevara africano" rappresenta per me l'ideale rivoluzionario più puro e genuino dei popoli oppressi di tutto il mondo contro il colonialismo, il neocolonialismo, il liberismo e l'imperialismo, non solo militare, ma anche economico ed ideologico-culturale.

Thomas Sankara era un ufficiale dell'esercito, popolarissimo, estremamente carismatico a detta di tutti i suoi amici e collaboratori, sempre allegro, genuino ed ingenuo, colto ed educato. Buono. Un pezzo di pane. Appassionato di sport e musica, inseparabile dalla sua chitarra. Era amatissimo da tutti perché non era il solito rivoluzionario che predicava bene e dopo un po' cominciava, corrotto dal potere e dal denaro, a razzolare male. No. Lui credeva ciecamente nei suoi ideali e visse sempre in modo estremamente coerente, da povero. Un uomo integro, onesto. Un visionario idealista, imprevedibile, sognatore ma estremamente realista e poco utopista. Un talento immenso dunque, ma al tempo stesso estremamente concreto e pratico: sostanzialmente un Roger Federer del socialismo. Girava tra la sua gente, rifiutando auto presidenziali di lusso, andando in bicicletta tra le strade di Ougadougou per osservare con i suoi occhi la miseria e la disperazione del suo popolo oppure per fare visite a sorpresa nelle istituzioni per monitorarne il corretto funzionamento. Rifiutò una casa lussuosa, rifiutò il palazzo presidenziale e rimase sempre nella sua umile dimora, riempita di libri, della quale pagava regolarmente l'affitto. Un esempio per tutti, un uomo integro nella "terra degli uomini integri" che detestava qualunque forma di ingiustizia sociale.

Raffigurazione di Thomas Sankara, posta sopra alla corona di fiori, punto esatto dove si dice fu ucciso il comandante

Thomas ha fatto vedere al mondo che non servivano tante utopie per cambiare le cose, ma volontà, carisma ed idee chiare. Mente lucidissima, cervello fine, braccia forti ed un coraggio da leone. La felicità stampata sul suo volto luminosissimo. Un uomo sempre gioioso e solare ma al tempo stesso tenacemente determinato nel perseguimento degli obiettivi; un uomo fiero ma al tempo stesso estremamente umile che dunque, inevitabilmente godeva di amore, rispetto e consenso incondizionato da parte delle masse. Era oggetto di canzoni popolari ed un vero e proprio culto della sua persona, che però lui non desiderava affatto, considerandosi un presidente "di passaggio".

Sankara è stato ed è tuttora, anche morto, una luce abbagliante nella tempesta e nello strazio giornaliero di Ougadougou. Un stella luminosissima che brilla ogni giorno nell'oscurità dell'Africa nera devastata dal terrorismo, dall'inquinamento, dalla disuguaglianza e dallo sfruttamento delle risorse naturali, dalla povertà e dalla fame. Un diamante purissimo strappato all'umanità in un triste pomeriggio di ottobre del 1987, ucciso dagli USA di Ronald Reagan e dalla Francia di Francois Mitterand. E dal suo amico fedele, quel verme schifoso, Giuda traditore, di Blaise Compaorè, proposto successivamente addirittura come premio Nobel per la pace. Ma d'altronde, se questo falsissimo premio l'hanno dato a Barack Obama, il più grande guerrafondaio della storia degli USA, ed all'Unione Europea, la più gigantesca macchina infernale di disuguaglianza e devastazione economica mai concepita dall'uomo, anche quell'assassino di Blaise poteva aspirarci.

Ammazza ammazza è tutta 'na razza...

Thomas Isidore Noël Sankara nasce nello sperduto villaggio di Yako dell’Alto Volta il 21 dicembre 1949. Ben presto, dopo aver conseguito il diploma, cosa estremamente rara in Burkina Faso, sceglie la carriera militare ed a 19 anni, si trasferì in Madagascar, dove ricevette una formazione da ufficiale dell’esercito, avvicinandosi per la prima volta alle teorie marxiste e leniniste, che influenzarono il resto della sua vita. Ritornò in Alto Volta nel 1972 e partecipò, da capitano dei paracadutisti, ad una guerriglia al confine con lo stato del Mali. Da quel momento in poi, pur essendo un militare, aderì al pacifismo, ritenendo i conflitti “inutili e ingiusti”. Tutti, senza alcuna distinzione.

La leggenda del comandante Sankara saliva ogni giorno sempre di più: non potevano certo passare inosservati il suo eroismo, la sua coerenza e fedeltà alla causa, l'anticonformismo, la rettitudine e la giustezza, la sua perspicace ironia unita ad un modo di esprimersi semplice, tagliente ed efficace, e soprattutto un carattere molto solare ma al tempo stesso estremamente determinato. Tom Sank sembrava a tutti, per la prima volta, un uomo delle istituzioni autenticamente vicino alle richieste delle fasce più deboli della popolazione. Insieme ad altri giovani ufficiali, tra cui Blaise Compaoré, amico inseparabile fin dai tempi del conflitto maliano, formò un’organizzazione segreta chiamata Regroupement des Officiers Communiste (ROC), cioè Gruppo degli Ufficiali Comunisti.

Durante la presidenza del corrotto colonnello Saye Zerbo, con cui era in aperto contrasto, Sankara oramai popolarissimo, nel settembre del 1981, venne nominato Segretario di Stato ma tutte le iniziative da lui proposte o intraprese, furono ignorate o ostacolate. Thomas capì ben presto, appena entrato in politica che il suo pensiero, il suo modo di vivere ed intendere la “cosa pubblica”, era in totale contraddizione con quello di tutti gli altri esponenti di governo, lontanissimi dai bisogni reali della popolazione, chiusi nei palazzi del potere e nel loro lusso sfrenato ed esagerato. Sankara si presentò alla prima riunione del governo con una bicicletta mezza scassata, mentre le alte sfere uscivano da Mercedes fiammanti con i vetri antiproiettile oscurati e vestiti alla occidentale. Il popolo osservava, vedeva le differenze. E la popolarità del capitano Sank cresceva all'inverosimile, cosiccome l'amore delle persone nei suoi confronti. Nasceva un mito. E ben presto il mito divenne leggenda.

Totalmente in disaccordo col regime, Sankara si dimise l'anno successivo e venne arrestato, non prima di riuscire a pronunciare alla radio una frase che lo rese presto celebre: “guai a prendere in giro il popolo”. Ma in Africa i governi durano poco perché i colpi di stato si susseguono senza sosta. Tutto deve cambiare affinché nulla realmente cambi e così, a fine 1982, prese il potere Jean-Baptiste Ouédraogo, il quale non poteva davvero ignorare l'enorme popolarità nell’esercito e nella popolazione di Sankara e lo nominò Primo Ministro.

Le cose ovviamente non cambiarono neanche questa volta. Come diceva la bonanima di nonna, “ammazza ammazza è tutta 'na razza”, nel senso che i politici sono tutti uguali, corrotti ed attenti solo al proprio tornaconto personale. Sankara però era diverso da tutti gli altri ed i contrasti politici con Ouédraogo ben presto si fecero insanabili: le alte sfere governative lo destituirono, accusandolo di tradimento e mettendolo agli arresti insieme agli altri esponenti della sua corrente, guarda caso proprio in concomitanza con l'arrivo ad Ougadougou del consigliere per gli “affari africani” di Mitterand. Proprio così, “affari africani”. L'Africa per la Francia è stata ed è tuttora, solo e soltanto un “affare”.

Dopo esser stato liberato da una rivolta popolare, Sankara prese a viaggiare molto, iniziando a gettare le basi per il futuro del suo paese. Andò dal mitico Julius Nyerere in Tanzania, altro politico dalla visione molto simile alla sua, nella Libia dell'ambiguo Gheddafi per cercare finanziamenti; andò nei paesi non allineati come in Corea del Nord, nel Nicaragua di Daniel Ortega, in Benin ed in Niger, in Ghana da Jerry Rawlings, arrivando fino in India da Indira Gandhi. Ed ovviamente nella Cuba di Fidel Castro, leader al quale sarà sempre legato da un genuino sentimento di affetto e stima reciproca. D'altronde, un gigante della storia come Fidel, già a quel tempo sopravvissuto a svariati tentativi di assassinio da parte della CIA, aveva ben capito, da subito, che si trovava di fronte ad un vero cavallo di razza, che sarebbe presto, anche lui, diventato un gigante della storia africana.

I tempi erano maturi. Con l'amico fraterno e militante del ROC Blaise Compaorè, organizzò un colpo di stato contro il presidente Ouédraogo, il primo senza alcun spargimento di sangue e nell’agosto del 1983 divenne presidente del suo paese all’età di 35 anni. Ammazza ammazza è tutta una razza cara amata nonna, ma c'è sempre l'eccezione che conferma la regola. Stavolta l'eccezione si chiama Thomas Sankara. Cominciava la “rivoluzione della felicità”.

La rivoluzione della felicità in Burkina Faso, dal 1983 al 1987

Esattamente un anno dopo il suo insediamento, il 4 agosto 1984, Sankara con un gesto estremamente simbolico, per cominciare a cancellare anche nelle menti delle persone l'odiato passato coloniale, cambiò il nome del paese da Alto Volta, assegnato dagli ex dominatori francesi, in Burkina Faso, che nella coppia di lingue native più diffuse della nazione, la Mossi e la Diulè, significa “Terra degli uomini integri”. Integri, come tutta l'esistenza del suo immenso presidente. Cambiò la bandiera, ora due fasce orizzontali verde e rossa con la stella gialla al centro. Cambiò lo stemma nazionale, ora costituito da una zappa ed un AK-47 incrociati, sopra un libro e circondati da una ruota dentata, simboleggianti rispettivamente la classe contadina, l'esercito, gli intellettuali e la classe operaia. Lavoro, dunque, forza, disciplina e conoscenza alla base della rivoluzione della felicità, sentimento quest'ultimo rappresentato dai due rami della pianta di sorgo, prodotto agricolo importatissimo della “nazione integra”. Lo stemma della rivoluzione aveva infine, in basso, il motto “Patria o morte”, la frase che contraddistinguerà la rivoluzione socialista burkinabè, esattamente come farà con quella cubana di Fidel Castro e del Che.

Dopo aver cambiato al paese nome, bandiera e stemma, lui stesso poi, da abile ed appassionato musicista qual'era, scrisse un nuovo inno, Une Seule Nuit (una sola notte), che avrò l'onore di ascoltare, brividi sulla pelle, sul palco della “Meison du People” accanto ai principali dirigenti del partito sankarista burkinabè.

Sankara aveva di fronte un'autentica mission impossible. Ereditava un paese alla fame, poverissimo, uno dei più poveri del mondo, arido perché proprio all'entrata del deserto del Sahara, soggetto a progressiva desertificazione e privo di sbocco sul mare, indipendente dalla Francia fin dal 1960 ma solo in teoria perché il controllo francese sul paese, ideologico, economico e monetario, era ancora totale. Come disse lo stesso Sankara all'ONU, snocciolando una serie di numeri impietosi ed impressionanti, il Burkina Faso era l’incredibile concentrato, la quintessenza di tutte le tragedie che da sempre colpiscono i paesi in via di sviluppo. La terra degli uomini integri non aveva alcuna materia prima su cui puntare per il rilancio economico, non aveva il petrolio della Nigeria, le miniere di uranio del Niger tanto care ai francesi o quelle d'oro del Mali, non aveva le pietre preziose, il coltan e le foreste del Congo. Il Burkina Faso era un paese sfortunato, un vasto territorio arido e semi desertico con poca acqua che poteva solo esser aiutato da potenze straniere, sfruttato ed abbandonato a se stesso. 'Na carta sporca e nisciuno se ne 'mporta, come direbbe Pino Daniele. Non c'erano medici nel paese, se non quelli di ONG, uno ogni 50.000 persone circa, la mortalità infantile era quasi al 20%, l'aspettativa di vita di poco superiore ai 40 anni, il debito estero insostenibile a causa degli amorevoli "prestiti incondizionati" dei demoni di Bretton Woods, ovvero Banca Mondiale (BM) e Fondo Monetario Internazionale (FMI); il tasso di analfabetismo semplicemente, era il più alto al mondo, la bellezza del 98%. Ovunque disuguaglianza ed un clima di sfiducia e rassegnazione. Un vero autentico disastro.

Ma Thomas era un visionario, un inguaribile ottimista. Non si demoralizzò. Qui si fa il Burkina Faso o si muore, come scritto d'altronde nell'inno nazionale, La Patrie ou la mort, nous vaincrons!

Il presidente burkinabè dirà: “Non si può effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia [...] Voglio essere uno di quei pazzi. Dobbiamo avere il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro”.

Thomas si corciò le maniche. Mise il turbo e fece la "rivoluzione della felicità" come lui stesso la chiamò, perché secondo lui la bontà e l'efficienza della politica, intesa come puro servizio al popolo, si misurava dalla felicità dei governati. Non dei governanti.

Si circondò anzitutto di persone competenti, preparate e soprattutto motivate e fedeli alla rivoluzione: scelse minuziosamente i propri colleghi tra le migliori intelligenze del paese, imponendo a loro scadenze rigorose nei progetti e ritmi di lavoro infernali.

I cambiamenti cominciarono da se stesso e dai suoi collaboratori: impose a tutti, politici, militari ed impiegati pubblici, uno stile di vita sobrio, senza agi né lussi né privilegi, vivendo come la gente. Mai più viaggi aerei in prima classe con costosissimi voli di stato ma solo in economy con normali boeing di linea. Era l'unico presidente dell'Africa e forse del mondo, senza aereo presidenziale. Celebri divennero i suoi interminabili viaggi multiscalo per risparmiare... le persone comuni si trovavano, incredule e sbalordite, nel sedile a fianco, nientepopodimeno che il presidente! Ed il mito di Sankara cresceva a dismisura.

Tutte le auto governative, le costose Mercedes in dotazione ai ministri furono sostituite con le ben più economiche utilitarie Renault 5. Gli stipendi dei politici furono tagliati ed equiparati a quelli di semplici funzionari statali; si decurtò il suo a valori assurdi, totalmente incompatibili con la sua attività presidenziale: non aveva quasi mai soldi dietro e spesso doveva chiederli in prestito ai suoi parenti o collaboratori, come ricordano simpatici aneddoti che tutti in Burkina conoscono. Rinunciò a qualunque beneficio personale ed al momento della sua morte, gli unici beni in suo possesso erano un conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e l’umile casa in cui aveva sempre vissuto, nemmeno tra l'altro ancora totalmente sua perché stava finendo di pagare il mutuo.

La rivoluzione sankariana nel “paese degli integri”, fu pacifica, rapida e soprattutto tanto, tanto felice. Si respirava aria di ottimismo e fiducia nel futuro. Il presidente girava in bicicletta nella cittadina, visitava i cantieri e le zone di lavoro per incoraggiare le squadre mettendosi egli stesso all'opera. Inaugurava campi sportivi e centri d'aggregazione socioculturale in ogni villaggio, creò unioni e comitati che divennero ben presto la colonna portante della rivoluzione e della vita sociale, come ad esempio l'Unione delle donne del Burkina (UFB), degli anziani (UNAB) e dei contadini (UPB), oltre ovviamente ai Comitati di difesa della rivoluzione (CDR).

Tutto il popolo si sentiva partecipe del processo di cambiamento anche perché Thomas permise alle persone di poter entrare liberamente nelle sedi della radio nazionale per parlare, esprimere giudizi o critiche al governo, proporre idee. Non solo: il popolo veniva coinvolto addirittura nella vita giuridica del paese, potendo presenziare come pubblico e partecipare attivamente al dibattito, ai processi nei tribunali popolari, chiamati “case del popolo”, primo esperimento assoluto del genere in tutta l'Africa. Ed il popolo partecipava con molto interesse perché i processi erano inerenti principalmente a scandali finanziari e danno erariale, ovvero sottrazioni indebite alle casse dello stato: ogni funzionario pubblico aveva l'obbligo di rendicontare tutte le proprie spese e chiunque provasse a fare il furbo a scapito del popolo, finiva in tribunale davanti allo stesso popolo ingannato. La lotta alla corruzione fu senza quartiere.

Celebre a tal senso fu il processo a Saye Zerbo, ex presidente dell'Alto Volta, che fece sparire dalle casse del governo oltre 400 milioni di franchi: verrà condannato a quindici anni di prigione oltre al rimborso dell'intera cifra mediante confisca di beni e proprietà. Sankara però era un giusto: egli ad esempio non prese alcun provvedimento contro i membri del governo precedente di Ouédraogo, lontanissimi dalle sue idee politiche ma non colpevoli di alcun reato. Thomas dirà:

«La cosa più importante è aver condotto il popolo ad aver fiducia in se stesso, a capire che finalmente può sedersi e scrivere la propria storia; può sedersi e scrivere la sua felicità; può dire quello che vuole. E allo stesso tempo, sentire qual è il prezzo da pagare per questa felicità».

Thomas amava il suo popolo ed il suo popolo lo amava immensamente ancora di più. La gente lo riempiva di doni che lui puntualmente regalava ai suoi collaboratori o ai meno abbienti.

Nei suoi appena quattro anni di governo intervenne in ogni aspetto della vita dei suoi concittadini, dimostrando lungimiranza ed una visione fuori dal comune, molto poco utopistica ed estremamente concreta e pragmatica. Fece costruire la ferrovia del Sahel, principale arteria di comunicazione del paese che collega il Burkina Faso al Niger, oltre a case popolari e scuole, pozzi e bacini idrici, ospedali e fabbriche; redistribuì la terra ai contadini. Fu abbattuto drasticamente l'analfabetismo, dal 98% al 27%, un risultato clamoroso in soli 4 anni, anche mediante taglio drastico delle tasse scolastiche e lotta alla dispersione e all'abbandono. Il “protezionismo economico” riguardò anche i talenti scolastici del paese, i figli di papà, i quali dopo il diploma o la laurea, avevano come massima aspirazione quella di andare in Francia a lavorare, emigrare e costruirsi una carriera all'estero; aspirazione ovviamente legittima, anche degli stessi genitori. Sankara ovviamente non poteva impedirlo, non poteva reprimere un desiderio: le sirene del capitalismo e del modello occidentale sono d'altronde estremamente ammalianti in un giovane ventenne con un futuro davanti. Ma Thomas cercò sempre di far capire “con le buone”, con mirabili discorsi tenuti nelle scuole, che le intelligenze burkinabè avevano il dovere morale di contribuire al progresso ed allo sviluppo culturale e materiale del loro paese. Con le buone ma anche “con le cattive”, senza impedirlo ma imponendo una pesante tassa alle famiglie che decidevano di inviare il proprio figlio all'estero, quale risarcimento della perdita di un proprio giovane. Giù il cappello.

Da ambientalista qual'era, promosse una campagna di rimboschimento, piantando milioni di piante per fermare la desertificazione, combattendo allo stesso tempo il taglio abusivo, gli incendi del sottobosco ed in generale ogni forma di saccheggio delle risorse naturali, creando poco a poco nelle persone una coscienza ecologica. I cittadini burkinabè ricordano bene che ogni evento pubblico, ogni sua uscita ufficiale era occasione buona per piantare un albero. Sankara, sosteneva, a ragione, il primo nella storia, ben 35 anni fa, che la soluzione dei problemi ambientali del pianeta era strettissimamente connessa alla soluzione dei problemi sociali e delle disuguaglianze. «La lotta per difendere gli alberi e le foreste è prima di tutto una lotta contro l’imperialismo», disse a Parigi nel 1986, «perché l’imperialismo è il piromane delle nostre foreste e delle nostre savane». Un profeta.

Sono stati avviati programmi di trasporto pubblico, promossi ovunque sport e felicità. Sono stati aboliti i night club e sostituiti con piste da ballo aperte a tutti tardo pomeridiane, con musica rigorosamente popolare. Di giorno occorre lavorare per la rivoluzione, la sera si balla felici e si bevono drink e birra locale, non whisky scozzese o vino francese. La notte invece si dorme, perché la rivoluzione è faticosa. La rivoluzione non è un pranzo di gala, come disse Mao.

La sua priorità immediata ovviamente fu la sopravvivenza del popolo burkinabè, dunque si adoperò fin da subito per combattere la piaga della fame riuscendo presto a garantire almeno due pasti e dieci litri di acqua al giorno per tutti; abbassò i prezzi per rendere accessibili alla popolazione molti tipi di prodotti solitamente riservati alle élite borghesi, come la carne. Furono vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e febbre tifoide, ricevendo i complimenti della stessa UNICEF, la quale definì tale campagna di vaccinazione, come la più grande registrata al mondo.

Sankara capì che le uniche vere risorse del paese erano rappresentate da cotone, ortaggi, legumi, patate, agrumi e allevamento di bestiame, e decise di dar linfa e spazio alla piccola e media impresa privata, vista come motore del paese, a patto ovviamente che questa non si sostituisse alla volontà popolare e fosse sempre funzionale non solo all'interesse del singolo ma anche a quello della collettività. Aprì il paese ad investitori stranieri, come la Svizzera, che volevano associarsi con i privati o il governo del Burkina. Insomma, un uomo col cervello con formazione marxista leninista, ma non un autarchico ed integralista: era ben aperto alla libera iniziativa privata, a patto che lo stato controllasse l'eccessivo accumulo di ricchezza e dunque di potere.

Tom Sank capiva l'importanza cruciale dell'agricoltura nel suo paese per l'autosufficienza alimentare e della produzione tessile per l'economia locale. In un paese composto per il 98% da contadini e agricoltori, tutti i rappresentanti del popolo avrebbero dovuto capire e provare cosa significasse il lavoro nei campi: così ad ogni ministero venne assegnato un campo da coltivare. Non solo. Anche l'esercito doveva partecipare alla vita economica del paese. Non c'era alcun motivo per cui i soldati dovessero godere di posizioni di netto vantaggio rispetto al popolo e così anche loro furono coinvolti nella produzione agricola e industriale: lo fece riducendo le ore dedicate all'addestramento militare, risparmiando munizioni e gasolio e dedicando invece gran parte del tempo a funzioni lavorative, come costruzione di pollai e coltivazioni. Risultato? Taglio delle spese militari, netto miglioramento della produzione alimentare, abbassamento dei prezzi della carne bianca per la popolazione civile ed incremento nella produzione di patate fino a coprire l'intero fabbisogno necessario alla popolazione.

Da pacifista com'era si impegnò in un programma di disarmo del paese, unica via possibile secondo lui per la pace e lo sviluppo di tutto il continente nero, perché la guerra, oltre ad uccidere, creare disuguaglianze, miseria e paura nel popolo ed enorme ricchezza nei signori della guerra, sottraeva allo stato anche un'ingente quantità di risorse. Ed il disarmo doveva anche esser culturale: occorreva lottare contro quel senso di impunità dilagante e violenza diffusa. Rispetto al Che ed a Fidel Castro, Sankara, esattamente come Nyerere in Tanzania, aveva indubbiamente meno fiducia nelle armi per la rivoluzione. E così diede ai suoi soldati meno mitra e munizioni e più zappe e polli da allevare.

Il programma politico di Sankara aveva le donne al centro del progetto. Il primo in Africa. Sankara era un rivoluzionario davvero... “rivoluzionario” nel contesto africano degli anni '80, il primo a parlare di ambiente e diritti delle donne. Molto affezionato alla madre della quale aveva visto gli enormi sacrifici, Thomas assegnò al gentil sesso, numerose cariche militari e ministeri, cosa più unica che rara nel continente nero. Il suo programma di governo comprendeva soprattutto il miglioramento delle condizioni delle donne le quali furono incoraggiate a ribellarsi al maschilismo imperante culturalmente accettato, ad emanciparsi lavorativamente, ad utilizzare contraccettivi e rimanere a scuola anche in caso di gravidanza. Velocizzò le pratiche di divorzio ed istituì giorni in cui uomini e donne dovevano invertire i loro ruoli e compiti in famiglia e nella società. Per Sankara era necessario costruire un paese libero e prospero, dove la donna fosse uguale all’uomo in tutti i campi perché ,come disse nel famosissimo discorso dell'8 marzo 1987, "non può esserci una vera rivoluzione sociale fino a che la donna non sarà liberata”. Thomas fu il primo in Africa a parlare di tutela dell'ambiente ed emancipazione femminile: oggi sembrano concetti assolutamente normali, poco rivoluzionari, ma dobbiamo pensare al contesto africano di un paese poverissimo e patriarcale di 35 anni fa. Le sue erano parole folli, totalmente nuove e sconvolgenti.

Tom Sank fu anche il primo a mettere in guardia la popolazione dai rischi dell’AIDS che si stava sviluppando proprio in quegli anni, la sindrome da immunodeficienza della quale ancora si sapeva ben poco. Abolì le pratiche della poligamia e dell'infibulazione, entrambe diffuse ed ampiamente tollerate in tutto il territorio. Dedicò una grande attenzione persino alle prostitute, ritenendo estremamente ingiusta l'incarcerazione delle stesse come accadeva in molti paesi: bisognava piuttosto aiutarle ad evadere dalla situazione di schiavitù fisica e psichica in cui si trovavano, invogliandole a trovare un lavoro dignitoso.

Thomas Sankara a Mosca nel 1986 col ministro degli esteri russo Andrej Gromyko

Ma le sue più grandi riforme furono soprattutto ideologiche. Occorreva cambiare la testa delle persone e sconvolgere i paradigmi. Questo fanno i geni. Sconvolgono i paradigmi. Dove tutti vedono un limite, il genio vede un'opportunità. Doveva “decolonizzare” e “deimperializzare” soprattutto la testa delle persone, sradicando dai cervelli quel modello di economia, quel concetto di sviluppo e quello stile di vita occidentale che a loro non apparteneva. Sankara promosse dunque una campagna di orgoglio culturale nazionale anti-materialista per incentivare il popolo a essere fiero del poco che aveva, senza ricercare alieni modelli occidentali e bramare falsi desideri come la Coca Cola o il paio di jeans Levis; non senza inimicarsi ovviamente la potente borghesia locale che deteneva il controllo di questi mercati. Il Che africano promosse l'autosufficienza alimentare ed energetica, predicando le virtù dell'economia locale a km 0, della collaborazione e della cooperazione tra burkinabè, chiudendo invece alle multinazionali ed ai mercati internazionali: occorreva rifiutare l'assurdo dogma economico neoliberista della competitività, tanto caro all'UE, il quale prevede che uno vinca e tutti gli altri perdano. Uno dei sacrifici necessari inevitabili da far digerire al popolo era pertanto la chiusura alle importazioni estere inutili, non necessarie e sacrificabili, che aggiungevano solo debiti ai tanti debiti già esistenti e costituivano uno dei principali motivi di povertà del Burkina Faso. Era necessario sviluppare un mercato locale e dunque invitava a consumare i prodotti autoctoni, mettendo in moto l'autoproduzione tessile e l’autosufficienza alimentare. L'area industriale, commerciale ed artigianale di Ougadougou, si riempì così di piccole imprese locali di trasformazione delle materie prime interne come carne e cotone che giungevano, sempre più abbondanti, dalle campagne sempre più verdi. La parola d'ordine divenne sovranità: alimentare, energetica per quanto possibile, politica, economica e monetaria.

Sovranità... che bella parola, sancita addirittura nell'art. 1 della costituzione italiana, che magicamente il PD e la sinistra europea pariolina radical chic è riuscita in un decennio a far degenerare in un dispregiativo concetto fascista. In Burkina Faso ed a Cuba si grida “Patria o morte!” e qui da noi, chi parla di patriottismo viene considerato un membro di Forza Nuova. Mah... misteri della fede. Torniamo a Sankara perché se comincio a sparlare della sinistra parlamentare italiana non finisco più e comincio a scrivere parolacce.

Le politiche di Sankara, come lui stesso specificò nel suo programma politico di insediamento, erano innanzitutto fortemente antimperialiste e anticolonialiste. Celebre divenne una sua frase: «L'imperialismo è un sistema di sfruttamento che si verifica non solo nella forma brutale di chi viene a conquistare il territorio con le armi. L'imperialismo avviene spesso in modi più sottili. Un prestito, l'aiuto alimentare, il ricatto. Stiamo combattendo questo sistema che permette a un pugno di uomini di governare l'intera specie».

Egli riconosceva l'importanza della cooperazione internazionale, ma credeva che bisognava emancipare il proprio paese dagli aiuti, che altro non erano se non una nuova forma di controllo neocolonialista sugli Stati dell’Africa. L'aiuto serviva a far comprare i prodotti dei donatori e ad aprire conti in banca in Occidente ed in generale a far sì che crescita e sviluppo africani obbedissero a logiche e norme occidentali, rendendo così permanente la schiavitù.

«L'aiuto di cui abbiamo bisogno è quello che ci aiuti a fare a meno degli aiuti». I prestiti poi, oramai questo è chiaro anche al più indottrinato dei membri del PD, altro non sono che forme di controllo neoliberiste del paese dominato, perché FMI e BM, non regalano soldi, ma li prestano a bassi tassi d'interesse, condizionando però il prestito all'attivazione di riforme, i cosiddetti PAS, i piani d'aggiustamento strutturale. Inutile che spiego cosa sono, penso di averlo scritto in questo blog, 250 milioni di volte. Vabbeh dai, per i distratti lo riscrivo un'altra volta. Le riforme, sono tutte quelle politiche tanto care ai membri europeisti del PD (sì, lo so, ce l'ho col PD...) e della sinistra progressista italiana, ovvero austerity fiscale, cessioni di sovranità e limitazioni dei poteri statali di controllo sull'economia, tagli a welfare, sanità ed istruzione, liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati, privatizzazioni dei settori pubblici ed in generale riforme di ideologia puramente neoliberista.

Sankara non era il classico politico "politically correct". Sankara non ha avuto mai paura di esprimere ciò che pensava, nemmeno di fronte ai potenti più potenti del mondo. Sempre ironicamente durissimo nei confronti dei paesi allineati del Nord, non ebbe mai paura di pronunciare interventi scomodi, scegliendo chirurgicamente le occasioni mediaticamente più importanti. E mai i suoi discorsi erano "lacrimosi": lui non voleva suscitare compassione ma pacifica rivolta. Proponeva sempre soluzioni forti e rivoluzionarie, naturalmente destinate in quanto tali a scatenare reazioni di gelo e paura in chi ascoltava.

Celeberrimo a tal senso fu il suo intervento, berretto rosso in testa e divisa burkinabè da militare, alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1984 in cui tra le altre cose, condannerà le politiche di Israele e chiederà l’espulsione del Sudafrica dall'Organizzazione, che al tempo deteneva ingiustamente Nelson Mandela in carcere. Quel discorso fu storico, memorabile, al pari di quello che fece il Che nella stessa Assemblea, un inno contro il colonialismo passato ed il neocolonialismo presente, un'accusa all'Occidente talmente violenta e scomoda che scomparì ben presto da tutti gli archivi ONU. Sopravvisse fortunatamente e fu consegnato all'immortalità, solamente grazie alla registrazione audio di un giornalista “integro” che aveva seguito il presidente a New York.

All'incontro di Addis Abeba del 29 luglio 1987 dell'Organizzazione dell'Unità Africana, Sankara diede un'altra enorme prova di grande coerenza ed estremo coraggio. L'ennesima. L'ultima.

Suggerì, con un altro magistrale discorso passato alla storia, l’istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense, finalizzato alla creazione di una massa critica che permettesse di uscire dalla trappola del debito: cercò di convincere gli altri capi di Stato africani a rifiutarsi di saldare i debiti con le potenze occidentali, in quanto insostenibili, ingiusti ed immorali, destinando le somme liberate allo sviluppo di sanità, pensioni ed istruzione.

«Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, potremo evitare di pagare».

Thomas Sankara aveva due palle grosse come una casa, era un gigante di fronte alla piccolezza dei leader occidentali. Davide contro Golia, che alla fine avrebbe vinto perché col suo carisma ed i suoi incredibili risultati, avrebbe trascinato alla ribellione l'intera Africa e chissà, forse i popoli di tutto il mondo.

Uno dei suoi bersagli preferiti era e rimaneva sempre la Francia, vero ed unico subdolo padrone ideologico, culturale, economico, militare e soprattutto monetario del Burkina Faso. Tom Sank sapeva bene che la valuta insanguinata del franco CFA, costituiva il principale strumento di controllo neocoloniale dello stato transalpino sull'Africa centro-occidentale: risolti i problemi principali, urgentissimi del paese, avrebbe messo mano in secondo tempo alla questione delle questioni, ovvero la sovranità monetaria del Burkina Faso, affrancandosi così definitivamente dalla “tutela” di mamma Parigi. Mamma Parigi, dal canto suo, aveva ben capito, da tempo, che in quel lembo di terra semiarido alle porte del grande deserto, non avrebbe mai avuto il suo solito sovrano fantoccio, perché Thomas si era rivelato incorruttibile. Integro nella terra degli uomini integri.

Durante la visita di François Mitterrand ad Ougadougou, Sankara lo accusò direttamente e pubblicamente di appoggiare la dittatura in Sudafrica e di aver permesso a un criminale come il suo presidente Pieter Willem Botha, di aggirarsi liberamente tra gli Champs Elysées. Mitterand rimase sbalordito dal coraggio da leone di questo giovane di colore dello stato più insignificante del mondo. Totalmente incredulo, pietrificato, sempre abituato ad aver a che fare con leader africani compiacenti e leccaculo: già provava un'evidente antipatia per il comandante e questo discorso incrinò probabilmente in modo definitivo un rapporto già abbastanza compromesso.

Thomas Sankara con uno dei suoi assassini, il presidente francese Francois Mitterand; aeroporto di Ougadougou, novembre 1986

Il Burkina Faso, grazie al suo immenso presidente della felicità, visse una rinascita senza precedenti in soli 3-4 anni. Un risultato clamoroso. Uno schiaffo a tutti coloro che sostengono che il socialismo porti solo morte e povertà e chiudono invece gli occhi ogni giorno di fronte alle contraddizioni, alle follie, alle storture di un “sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi” come il capitalismo. Un sistema spietato, con l'uomo, con la società e con la natura, che genera devastazione ambientale e soprattutto tanta, tanta infelicità.

...e quel giorno uccisero la felicità

Sankara aveva vita breve. Si era fatto troppi nemici. Tutto l'Occidente capitalista e neoliberista ovviamente gli era contro e lo considerava una scheggia impazzita: Francia e Stati Uniti in particolare cominciavano ad aver paura di una tale popolarità socialista che insieme a quella di Tanzania e Ghana avrebbe potuto propagarsi a macchia di leopardo in tutta l'Africa emancipando una buona volta il continente nero dal controllo e dalla schiavitù economica neocoloniale. E poi Thomas cuor di leone, non si stava mai zitto e non perdeva mai occasione di denunciare le politiche imperialiste nel mondo. L'ambasciatore americano di Ougadougou "suggerì" più volte a Sankara di starsene buono e smettere di denunciare le aggressioni USA in America Centrale e Meridionale per evitare di contrariare Washington, ma il comandante rispose sempre picche. Anche alcuni stati africani confinanti e non, filoccidentali come la Liberia, la Costa d'Avorio ed il Sudafrica, mostrarono grosse ostilità e cominciarono a bloccare vendita ed esportazioni indispensabili per il Burkina Faso: Thomas d'altro canto, mai rinunciò al fermo ed intransigente dialogo rifiutando sempre la guerra: la guerra per lui non è mai stata un'opzione possibile e praticabile.

Sankara tuttavia, nonostante fosse amato immensamente ed idolatrato dal suo popolo come un dio, aveva anche parecchi nemici interni. La borghesia capitalista locale, quello 0,000... % della popolazione burkinabè, assai potente perché danarosa, era danneggiata dalle sue politiche di chiusura ai mercati che invece lentamente stavano risollevando l'altro 99,999... % e pur avendo questo pugno di persone, denaro a sufficienza per campare, insieme alle generazioni successive, almeno altri 470 milioni di anni, presero a tramargli sotto. Il capitalismo, come disse il grande padre costituente Bruno Corbi, è l'egoismo dei privilegiati. Inoltre, le sue idee ed azioni estremamente favorevoli alle donne, non erano ben viste da molti suoi connazionali, soprattutto mussulmani, che vedevano in lui una minaccia alle tradizioni maschiliste e retrograde del paese.

E poi c'era tanta invidia. Thomas brillava di luce propria e questa luce oscurava molti suoi compagni del ROC, invidiosi del suo successo; in particolare di Blaise, condannato all'eterno ruolo di secondo. E poi la questione delle questioni: tutti davvero sinceramente e genuinamente rivoluzionari? Certo che no! Solo una minoranza era davvero “integra” nella terra degli uomini integri: i militari, il personale governativo e gran parte dei funzionari pubblici non erano proprio contenti, nonostante l'apparenza, della riduzione drastica di stipendi e privilegi. Poco prima della sua morte, il capitano Sankara confidò sconsolato al giornalista Sennen Andriamirado: «La linea di fondo è che vogliono mangiare e io glielo impedisco».

L'integrità, la purezza degli ideali e lo stakanovismo di Thomas Sankara non sono mai stati messi in discussione da nessuno, nemmeno dai suoi assassini, cosiccome la schiettezza, l'estrema decisione e fedeltà alla causa socialista che spesso però si traducevano in totale mancanza di prudenza nei confronti del potente di turno. Ma d'altronde lui si era schierato da subito con i paesi non allineati, a favore del socialismo e contro il modello capitalista occidentale: il politicamente corretto alla Di Maio non gli apparteneva proprio. Però forse, un errore l'aveva fatto: aveva preteso di voler stravolgere le cose con troppa rapidità, senza dare il tempo al suo popolo, sostanzialmente analfabeta e radicato a strutture arcaiche, gerarchiche e tradizionali, di digerire le novità, i cambiamenti radicali e di far propria la sua utopia di un mondo migliore, più equo e più giusto con l'uomo, la società e la natura. Un errore comunque giustificabile data la drammatica emergenza umanitaria in corso: il suo popolo stava morendo di fame, il deserto avanzava, il debito estero uccideva la nazione. Il cambiamento doveva esser rapido, senza troppe pippe mentali.

Il comandante era consapevole di rischiare la vita ogni giorno. Dopo l'intervento all'OUA, sapeva che era un morto che camminava. Per proteggerlo venivano adottate tutta una serie di misure come strategie di copertura, segretezza degli spostamenti, cambio improvviso del luogo delle riunioni, cambio frequente degli uomini della scorta. Già nel 1984, nemmeno un anno dopo il suo insediamento, venne sventato un tentativo di colpo di stato ed assassinio, organizzato da ex politici, militari e uomini d'affari.

Sankara si scavò la fossa da solo dopo i duri attacchi agli USA, proprio nel cuore della casa del diavolo a New York all'assemblea ONU, dopo le critiche durissime al presidente francese Mitterand ed alla moneta coloniale del franco CFA, dopo aver rifiutato l'aiuto militare in Liberia al controverso criminale Charles Taylor, appoggiato e finanziato dalla CIA... ma soprattutto dopo l'immenso discorso all'OUA del 29 luglio 1987 di Addis Abeba dove propose concrete strategie per uscire per sempre dalla trappola dei debiti che stritolavano in una morsa infernale gli stati sovrani africani, condannandoli alla perenne povertà e sottomissione.

Gli applausi dell'assemblea furono scroscianti. Un'ovazione. Nessuno prima di allora aveva avuto il coraggio di esprimere queste idee così rivoluzionarie, che potevano fungere da apripista per la liberazione di tutti i paesi del Sud del mondo dal giogo economico imposto da quelli del Nord. Ma non venne ascoltato. O non ce ne fu il tempo. Sarà l'ultimo discorso pubblico dell'immenso capitano della felicità, assassinato due mesi e mezzo dopo.

Il 15 ottobre 1987, dopo soli 4 anni di governo, una congiura internazionale dalle tinte davvero fosche, uccise il comandante Thomas Sankara, mettendo una pietra tombale sul sogno di un folle uomo che aveva osato "inventare l’avvenire”, sui sogni di un popolo, sui sogni dell'Africa intera e di tutti gli oppressi del mondo, di tutti gli sconfitti della globalizzazione.

Quel giorno Mitterand, Reagan, Taylor, Compaorè, Djendéré e tanti altri, non ammazzarono solamente 13 uomini. Quel giorno ammazzarono la felicità, come recita un bellissimo documentario, inserito a fine post, di Silvestro Montanaro, un giornalista con la G maiuscola, sempre pronto a denunciare la follia di un sistema criminale che si nutre della miseria e della fame di miliardi di esseri umani per garantire potere e ricchezza infinite ad un pugno di individui. Montanaro, morto purtroppo recentemente, era un cavallo di razza, nulla a che vedere con i servi pennivendoli di regime di oggi. Riposa in pace Silvé.

Sankara venne ucciso, insieme a dodici ufficiali, in un colpo di Stato organizzato da quel verme traditore schifoso di Blaise Compaorè, al momento vicepresidente del Burkina, suo compagno d’armi e di band musicale, suo collaboratore e soprattutto amico fraterno, con l’appoggio, il finanziamento e la pianificazione oramai quasi certa di Francia, Stati Uniti d’America e militari liberiani di Taylor. E la Costa d'Avorio, ed il Togo, ed il Sudafrica, ed il Ciad. E la Libia di Gheddafi, dittatore controverso doppiogiochista che di giorno si schierava con gli stati africani, e la sera tramava con quelli occidentali, sovrano ricchissimo di un paese che negli anni '80 era terra di addestramento e fornitore di armi e benedizioni a chiunque intendesse fare un colpo di stato. Ma chissà quanti altri attori stranieri furono coinvolti, dal momento che la vicenda si inserisce nel pieno periodo storico della Guerra Fredda, poco prima della caduta del muro di Berlino.

Fatti certi comunque ce ne sono. E' certo ad esempio che uno dei principali attori in gioco, il signore della guerra liberiano Charles Taylor, fu fatto evadere dalla CIA da un carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, per rovesciare, torturare ed uccidere barbaramente, il presidente della Liberia Samuel Doe, accusato dagli USA di avere comportamenti sempre meno filoccidentali e sempre più ambiguamente vicini alla Russia. In questo fu aiutato dal suo braccio destro Prince Johnson, un'autentico macellaio che nel corso di un trentennio di sangue africano si è macchiato dei crimini più efferati, per questo poi giustamente ricompensato con ruoli politici importanti in Liberia.

Che Taylor ed il suo gruppo criminale fossero a libro paga della CIA di Ronal Reagan è confermato da alcuni suoi soldati, come ad esempio lo stesso boia Prince Johnson ed il generale Momo Gibah, entrambi intervistati a telecamera nascosta da Silvestro Montanaro nel suo splendido documentario, oltreché da diversi file dell'archivio dei servizi segreti americani. Oltreché dalla logica: come ha fatto Taylor ad evadere senza fatica da un carcere di massima sicurezza negli USA ed avere tutti i finanziamenti necessari per esser, dopo poche settimane soltanto, alla guida di un esercito per rovesciare Samel Doe ed uccidere Sankara? Eh sì, c'era lo zampino della “Grande Mano” come l'ha chiamata nel documentario più volte il mercenario Momo Gibah, certo di non esser ripreso.

Taylor, Johnson e Gibah, sbrigato con successo la “pratica” Samuel Doe, avevano un altro compito: distruggere il sogno burkinabè ed uccidere per sempre la felicità in Africa. Perché nessun movimento socialista, antimperialista e anticolonialista può pensare di farla franca ed esser libero in questo mondo di svilupparsi e prosperare, anche sbagliare, senza i continui attacchi militari, economici e massmediatici degli apologeti del capitalismo. Sono incredibilmente gli stessi liberiani ad ammetterlo candidamente, pensando di non esser ripresi: incontrarono rappresentanti francesi, capi di stato di altri paesi africani filoccidentali e Blaise Compaorè in Libia e prepararono accuratamente la carneficina, con l'appoggio di Gheddafi e ben finanziati dalle banche dello zio Sam e di Francois. Si formò il commando assassino, un mix di mercenari liberiani sotto Taylor e di soldati burkinabè agli ordini dell'ufficiale corrotto e traditore Gilbert Djendéré, il secondo di Blaise.

Il coinvolgimento dei servizi segreti francesi nell'omicidio di Sank, è assolutamente fuori discussione. Oltre ad esser ben illustrato e documentato nel sito www.thomassankara.net , è confermato poi da tutti i testimoni oculari della vicenda intervistati da Montanaro: l'ambasciata francese e quella americana, nei giorni precedenti l'attentato lavorarono in strettissimo contatto e presero le decisioni più importanti, anche sulla gestione del post assassinio.

Come venne ucciso il presidente della felicità? La tesi sostenuta da Cyrill Allen, membro del commando di Taylor che compare nella ricostruzione di Montanaro e presunto testimone oculare dell'omicidio, non si sa però quanto credibile ed affidabile, è che Sankara e Compaoré stessero discutendo animatamente all'interno degli uffici del Consiglio Nazionale della Rivoluzione, proprio quelli adiacenti alla grande statua di Bambara; il presidente accusò l'amico fraterno e collaboratore di essere un traditore e quest'ultimo improvvisamente, prese la sua pistola e gli sparò due colpi mortali al petto. Compaoré ha sempre negato questa versione dei fatti, affermando inizialmente che quel giorno era malato e non era a lavoro, salvo poi ritrattare ma contraddicendosi ogni volta.

Un’altra tesi, questa assai più verosimile, invece afferma che Compaorè non fosse sulla scena del delitto: era già pronto a partire se il golpe fosse fallito. Sankara invece si trovava a bordo di una Renault 5 con altri collaboratori, quando questa venne improvvisamente crivellata da colpi di AK-47 da parte del commando liberiano-burkinabè: Thomas cuor di leone, al contrario dei suoi compagni morti sul colpo, riuscì ad uscire illeso dal mezzo ma fu mitragliato a morte davanti agli uffici del CNR.

Leggenda narra che Thomas Sankara morì così; proprio in questo punto...

L'ultima ricostruzione, forse la più probabile di tutte perché basata sul racconto di Alouna Traoré, unico sopravvissuto all'attacco, sostiene che Sankara morì crivellato di proiettili sempre in questo punto, ma non si trovava a bordo della macchina. Era dentro l'edificio, disarmato ed in riunione con i membri del partito e sentiti gli spari ed il frastuono, per evitare una carneficina, intimò a tutti di non muoversi, perché era lui che volevano. Uscì fuori mani in alto venendo immediatamente freddato da una raffica di mitra insieme ad altri ufficiali che provarono a difendersi. Anni dopo, Djendéré ammise che furono i suoi uomini ad uccidere Sankara, ma che in teoria dovevano solo arrestarlo: dovettero ucciderlo perché egli si sarebbe difeso. Tra smentite pertanto e ricostruzioni contraddittorie, l'unica cosa che sembra certa dell'attentato a Sankara è il luogo dove il grande comandante morì: è esattamente il punto dove è posizionata la corona bianca di fiori. Si dice che morì in ginocchio, braccia alzate e pugni chiusi. Come me nella foto. Morì l'uomo e nacque la leggenda.

Subito dopo l’agguato, Compaorè diffuse via radio un messaggio nel quale accusava Sankara di aver tradito la rivoluzione; i tredici corpi secondo un testimone, vennero portati lontano, alla periferia di Ougadougou e sepolti in tutta fretta, uno accanto all'altro, in tombe anonime del cimitero dei poveri di Dagnoen. Non ci crederete ma il referto ufficiale della morte di Sankara fu... udite udite... morte naturale! A Miriam, la dolce moglie di Thomas, non fu permesso nemmeno di vedere o vegliare il corpo, dandogli degna sepoltura; fu costretta all'immediato esilio in Francia, potendo tornare in Burkina solo in occasione del ventennale della morte del compianto e tanto amato marito, accolta da un bagno di folla.

La paralisi del paese, lo shock nelle persone fu totale; Blaise mise il coprifuoco in città per evitare disordini ed insurrezioni. Seguiranno 27 anni di vergognoso silenzio in cui la felicità migrò altrove. Il Burkina Faso rimase sempre la terra degli uomini integri; integri però infelici. Quando muore un sogno si è sempre infelici.

Il traditore “amico” divenne immediatamente presidente, proprio nel giorno dell'uccisione della felicità. Tanto voleva bene a Thomas e credeva nella sua rivoluzione, che annullò immediatamente tutte le riforme socialiste del precedente governo ripristinando al contempo l'influenza dominatrice degli interessi stranieri. Tutte le cose alle quali Sankara si era fermamente opposto, tornarono a dominare sul paese, soprattutto liberismo economico, dittatura e corruzione. Il Burkina Faso divenne territorio franco-americano di conquista e la base d'appoggio per il signore della guerra Charles Taylor a libro paga della CIA, il quale in quegli anni, utilizzando aerei di stato burkinabè per trasportare armi in Liberia, mise letteralmente a ferro e fuoco mezzo continente africano compiendo i crimini più efferati contro la popolazione e l'ambiente.

Compaorè cambiò il bellissimo stemma della rivoluzione, sostituendolo con un altro, anonimo, scialbo ed assolutamente insignificante, coprendo quasi totalmente la pianta di sorgo, simbolo della felicità, inserendo al suo posto le parole unità (dde che??), progresso (dde che??) e addirittura, udite udite... giustizia! Giuda Iscariota, mise a tacere la vicenda dell'assassinio, archiviandola senza alcuna possibilità di discussione e negando sempre la sua complicità. La morte del comandante divenne un argomento tabù, un argomento di cui era impossibile parlare pubblicamente, tanto in Burkina quanto in Europa, in Francia in particolare. Sankara d'altronde, ufficialmente era morto di causa naturale, mica crivellato di proiettili!

L'incredibile certificato di morte del capitano Sankara

Blaise tentò con la complicità della Francia e dell'Occidente, in ogni modo di offuscare l'ingombrante ricordo del capitano Sank, evitando sempre di menzionarlo, cancellandolo dagli archivi storici ed addirittura proclamando festa nazionale il 15 ottobre per distrarre la popolazione. Costrinse la sua famiglia, la moglie Miriam ed i figli Philippe ed Auguste, a fuggire all’estero. Impedì di fatto che venissero condotte delle vere indagini, facendo sequestrare e distruggere diversi documenti. Fece giustiziare leader rivoluzionari che potevano esser da ostacolo, come tra i tanti, Henri Zongo e Jean-Baptiste Boukary Lingani. Loro 4, Compaorè, Zongo, Sankara e Lingani venivano chiamati in Africa “le teste calde del Burkina”. Teste calde e rivoluzionarie, ma tra loro c'era una mela marcia. Forse addirittura altre due, Zongo e Lingani. Nessuno sa, se e quanto fossero realmente fedeli a Sankara, quanto fossero complici e coinvolti nel suo assassinio; nessuno sa se essi erano a conoscenza dell'attentato o addirittura se parteciparono materialmente al commando di Djendéré. L'unica cosa certa è che Compaorè sapeva bene che solo i due ex-amici rimanenti “testa calda” potevano rovesciare il suo regime: doveva trasformarli in “teste bruciate” per assicurarsi un lungo ed indisturbato regno. E “bruciò le teste”.

Tre delle quattro "teste calde" del Burkina Faso

Compaorè fece assassinare giornalisti che cercavano la verità, come Norbert Zongo, intimidendo la stampa ed assoggettandola totalmente al suo regime. Come urlerà tante volte Miriam, indignata, sconvolta, arrabbiata, inascoltata, a tutti i capi di stato francesi che ricevevano Giuda all'Eliseo con tutti gli onori del caso, «Blaise Compaoré è un predatore che ha eliminato tutti quelli che gli facevano ombra. La lista, lunga, è di pubblico dominio». Tutto inutile: anche Miriam sapeva bene che gli assassini del marito sedevano sopratutto nelle stanze dei bottoni parigine. La Francia ha sempre fatto un ostruzionismo alla giustizia vergognoso: possiede nei suoi archivi una serie di documenti riguardanti la morte di Sankara, ovviamente soggetti a segreto di stato, e solo recentemente, parte di essi sono stati desecretati per l'avvio del processo. Macron d'altronde nel 2017 si era esposto pubblicamente, mentendo sapendo di mentire e per salvare la faccia ha dato il “contentino”, consegnando alle autorità burkinabè pochi selezionati documenti, ovviamente rigorosamente non compromettenti; chissà se pure alterati o falsificati.

In occasione del ventennale della sua morte, nel 2007, la tomba è stata ricostruita e abbellita dai familiari, ai quali è stato consentito il rientro in patria, salvo poi essere nuovamente profanata e pesantemente danneggiata dalle truppe pro Compaoré. Il 15 ottobre 2007, il Giuda traditore arrivò addirittura a distribuire soldi e premi per allontanare le persone dal cimitero di Dagnoen. Invano, perché la gente prima prese i soldi e poi si recò lo stesso alla tomba di Sankara a rendergli omaggio, avvolgendo Miriam, tornata in patria, in un calorosissimo abbraccio. Perché il popolo amava il suo comandante, mentre di Compaorè aveva solo paura.

Ristrutturazione ed abbellimento della tomba di Sankara a Dagnoen nel 2007 in occasione del ventennale della sua morte

La morte di Sankara fu oggettivamente un complicato intrigo internazionale, e risalire alle responsabilità precise di ciascuno è, e sarà, sempre molto complicato, probabilmente impossibile dato il chiaro coinvolgimento delle potenze occidentali e di diversi stati africani; soprattutto oggi, dopo vari decenni dall'accaduto. E' davvero un peccato perché sono diversi i testimoni oculari dell'assassinio: quel giorno erano presenti diversi militari, oggi ancora in vita, come ad esempio l'autista del commando, ma nessuno ha mai accettato di testimoniare pubblicamente. Tutti preferiscono dimenticare, oppure in rari casi trattano e poi immediatamente smentiscono e ritrattano, sostenendo una cosa e l'esatto contrario, evidentemente impauriti dalle implicazioni e dalle conseguenze di una loro deposizione ufficiale. Alouna Traoré è rimasto, giustamente, psicologicamente molto traumatizzato dall’accaduto. Ha accettato alcune interviste, ma dal 2009 si rifiuta categoricamente di ritornare su quegli avvenimenti.

La vicenda dunque, è davvero estremamente fumosa e complicata. Il “come” è difficile da ricostruire, il “chi” no. Gli assassini di Sankara sono ben noti.

Charles Taylor ed i suoi boia criminali di guerra Prince Johnson, Momo Gibah e Cyrill Allen erano i mercenari liberiani del commando a libro paga della CIA, ai quali poi fu spianata la strada della corrotta politica liberiana. Blaise Compaorè e Gilbert Djendéré allo stesso modo, furono i manovali, gli esecutori materiali: il loro sporco lavoro ed il loro successivo silenzio furono ricompensati con la dovuta (eterna) protezione giuridica e con, rispettivamente, la carica di presidente del Burkina Faso e di Capo di Stato Maggiore e della sicurezza presidenziale. Djendéré, nel 2008, durante un soggiorno in Francia, fu addirittura nominato cavaliere dell’Ordine Nazionale della Legione d’onore francese: evidentemente aveva reso importantissimi servigi allo stato transalpino! Se questi squallidi personaggi hanno, chi più chi meno, premuto il grilletto, le veri menti dell'attentato mortale a Sankara e compagni, i veri mostri assassini, hanno però giacca e cravatta e nomi ben più altisonanti. I killer di Sankara si chiamano, soprattutto, Francois Mitterand e Ronald Reagan: la “grande mano” di Momo Gibah. Non solo: gli assassini di Sankara sono tutti i leader occidentali impettiti, che hanno girato ed ogni giorno girano la faccia dall'altra parte, contro i crimini dell'imperialismo occidentale. Sono i politici italiani che nel 2008, hanno cercato di assegnare a Compaorè il Premio Galileo 2000 per la “mediazione nei conflitti etnici e sociali”. Non ci sono riusciti, ma solo per l'assenza di Blaise, che aveva capito il clima di ostilità che avrebbe trovato, a causa soprattutto dell'indignazione e delle proteste del Comitato Thomas Sankara di Firenze.

Blaise Compaorè ricevuto con tutti gli onori alla casa bianca da Barack Obama: tra assassini e guerrafondai d'altronde ci si intende bene!

Giuda Iscariota riuscì forzando la costituzione a rimanere presidente del Burkina Faso fino al 2014, quando un'incontenibile rivolta popolare lo costrinse a dimettersi, a fuggire e chiedere asilo in Costa d’Avorio, paese filofrancese del quale aveva la cittadinanza per via del suo matrimonio strategico con una ivoriana. Non una qualsiasi. Giuda non era stupido e se l'è scelta bene: la nipote del presidente filofrancese Félix Houphouët-Boigny, da sempre piuttosto ostile a Sankara ed al suo socialismo. O forse è Boigny che ha scelto bene il marito della figlia per ricattare l'allora vicepresidente del Burkina, in un complicato intreccio personale e politico, tanto nazionale quanto internazionale e fomentarlo, spingendolo al tradimento. Se siete in Costa d'Avorio e per caso incontrate un certo Kouassi Kodjo, beh, sputategli in faccia: sappiate che è proprio quel pezzo di merda assassino traditore di Blaise Compaorè, che ha cambiato nome per rifarsi una verginità.

Torniamo alla storia e scusate se mi scaldo, ma io sono così. Impulsivo. Quello che mi viene in testa scrivo senza ragionare troppo.

Nel 2014, alla caduta di Blaise, le coscienze addormentate e rassegnate, improvvisamente si risvegliarono: manifesti e cartelli inneggianti a Tom Sank si diffusero ovunque, diventando il simbolo della nuova rivoluzione. La gente non lo aveva mai dimenticato. Anche 27 anni dopo, il suo ricordo era indelebile. Il tribunale militare burkinabé fu finalmente libero di emettere nei confronti del Giuda traditore un mandato di cattura internazionale, accusandolo dell'omicidio del comandante e della sua scorta, anche se poi, la Corte di Cassazione di Ouagadougou fu costretta a ritirare il mandato di arresto per una serie di cavilli burocratici assurdi: l'assassino era ed è tuttora, evidentemente coperto da grossi interessi internazionali.

I familiari di Sankara, la moglie Miriam in particolare, ed i vari comitati civili e giuridici formatisi in questi anni, non hanno mai smesso in ogni caso di chiedere giustizia agli organismi competenti, di far chiarezza sulla morte, di provare il luogo della sepoltura e rettificare il certificato di morte di Thomas. Spesso invano, anche all'ONU, uno degli organismi più inutili e dannosi mai creati dall'uomo. Un carrozzone mangiasoldi, portavoce esclusivo degli interessi degli Stati Uniti e delle potenze occidentali.

Sono in Burkina Faso in un anno ed in un mese importantissimo: il 12 aprile 2021, il tribunale militare di Ouagadougou, ha aperto ufficialmente, dopo quasi 35 anni dall'accaduto, un processo nei confronti di Blaise Compaoré e dei suoi collaboratori. Il 25 ottobre, dunque incredibilmente nemmeno una settimana prima del mio arrivo, si è tenuta nella capitale la prima udienza. La seconda ci sarà il 9 novembre. Cazzo, sono qui proprio in questi giorni storici per il Burkina... quanto vorrei assistere! Mi piacerebbe proprio fissarli negli occhi gli assassini della felicità...

L'unico imputato comparso il 25 è in ogni caso il generale Gilbert Djendéré, che dovrà rispondere all'accusa di complicità nell'omicidio ed occultamento dei cadaveri. Ma a lui, credo, oramai della condanna per l'assassinio di Sankara, non gliene fotte proprio più un cazzo di niente, tanto già sta in carcere per un altro tentativo di colpo di stato ed oramai sessantenne, deve scontare almeno altri 20 anni. Un professionista dei colpi di stato questo Gilbert, non c'è dubbio.

La strada verso la verità è in ogni caso lunghissima, piena di burocrazia e cavilli di ogni tipo. Qui in Burkina dicono che giustizia sarà fatta solo quando la morte di tutti gli attori in gioco metterà una pietra tombale definitiva sugli intrighi ed i coinvolgimenti internazionali al caso. Ma d'altronde, se questo è il palazzo di giustizia di Ougadougou, non ci possiamo davvero aspettare di meglio.

Il palazzo di giustizia di Ougadougou, vicino alla rotonda delle Nazioni Unite

Un'ultima occhiata alla statua di Bambara. Saluto Gael, prendo la mia bicicletta scassata e scappo via. Voglio visitare un altro luogo importante di Ougadougou associato a Sankara ed ai suoi eroici compagni caduti per difenderlo: le tombe nel cimitero di Dagnoen, che raggiungo non senza fatica perché, forature a parte, è in una zona piuttosto periferica e lontana, malfamata e degradata della città. Per lo meno, più rispetto ad altre, perché ad Ouga, zone non malfamate e non degradate non ce ne sono proprio: sembra di stare a volte nel bel mezzo di una discarica.

Entrata del cimitero di Dagnoen, alla periferia di Ougadougou

Il cimitero è una distesa di vegetazione bassa e secca con un sentiero più o meno evidente e sepolcri qua e là, in totale stato di abbandono. Giro un'ora, ma della tomba di Sankara, quella che si vede proprio all'inizio del bel documentario di Silvestro Montanaro, neanche l'ombra. Non c'è nessuno, se non un paio di operai che lavorano ma non mi sanno dire nulla. O non mi capiscono. Sto andando via sconsolato quando incontro una donna che parla inglese, anche se molto stentato. A fatica, molto a fatica, ci capiamo. Dopo avermi messo in guardia sul fatto che questa zona è piuttosto pericolosa e poco si addice ad un “bianco”, soprattutto oggi alla vigilia del giorno dei morti, mi guida a quello che resta della tomba di Thomas. Sono fortunato, perché lei è la sorella di un giornalista burkinabè che del comandante sa tutto, vita morte e miracoli. Lo chiamerà e me lo passerà al telefono e fortunatamente, col suo ottimo inglese, la conversazione sarà semplice e fluida. Mi spiega tutto. E la delusione e la tristezza prendono il sopravvento.

Le tombe non ci sono più: i corpi di Sankara e compagni sono stati riesumati per l'autopsia nel 2015 e tutto è andato distrutto. Tutto è coperto da rovi e sterpaglia inattraversabile. Non c'è più niente, se non qualche pezzo di cemento qua e là affogato nella vegetazione bruciata dal sole, piena di spine e zecche. Il tempo e la natura hanno cancellato ogni traccia. Proprio in corrispondenza del punto dove si trovava la tomba di Sankara c'è un pezzo di pietra, con la tinta rossa e verde della bandiera, oramai quasi sbiadita. Resiste ancora. Il giornalista mi dice che è l'unica cosa rimasta della tomba del grandissimo comandante.

I resti della tomba di Thomas Sankara... che tristezza!

Nessuno sa ufficialmente nulla dell'autopsia, anche perché nel frattempo in Burkina è avvenuto un altro colpo di stato, l'ennesimo. Nessuno sa se i corpi lì presenti erano effettivamente quelli di Thomas e compagni. D'altronde, i familiari di Tom Sank a questo non hanno mai creduto. Dagnoen per loro rimaneva un luogo puramente “simbolico” dove piangere la morte del presidente della felicità, ma hanno sempre sostenuto che a suo tempo, i corpi furono fatti sparire per cancellare le prove dell'assassinio, forse sostituendoli con altri.

Fatto sta che ancora, a distanza di oltre 6 anni dall'esumazione, si stanno attendendo i risultati ufficiali delle analisi del DNA. Secondo Ambroise Farama, l'avvocato della famiglia Sankara, sembra che il corpo sia stato crivellato di proiettili, al contrario di quelli degli altri 12 soldati che hanno invece solo una o due ferite da armi da fuoco. Ma di ufficiale non c'è incredibilmente ancora nulla ed il test del DNA ancora non è pronto. «But why?» Incalzo... «I really don't know. There are many technical problems with the DNA... it seems to be very complex to extract and analyze...», mi risponderà il giornalista. Il test genetico è estremamente difficile da fare, in quanto l'acido desossiribonucleico dei resti umani sembra esser irreversibilmente danneggiato ed impossibile da recuperare: i 13 corpi, con grande cattiveria e totale mancanza di rispetto, sembra siano stati direttamente interrati a bassissima profondità, circa una trentina di centimetri, senza posizionarli dentro bare di legno e sono dunque stati esposti alle intemperie ed al caldo estremo africano per 27 anni... c'è rimasto poco... Il giornalista burkinabè mi dirà che quando finiranno le analisi, c'è intenzione di costruire un cimitero più grande e monumentale, forse addirittura nel sito dove è stato ucciso, vicino alla statua gigante di Bambara.

Che grande delusione il cimitero di Dagnoen... Che mancanza di rispetto verso uno dei più grandi leader socialisti del mondo! Ricordo il mausoleo del Che a Santa Clara a Cuba, gigantesco, monumentale. Da brividi. E qui invece, sono di fronte ad una pietra mezza colorata in mezzo a rovi e sterpaglie. Sono incredulo. Sono arrabbiato ed indignato. Popolo burkinabè, come avete permesso un tale scempio? E' vero, nessuno sa con certezza se il corpo di Thomas giaceva effettivamente qui... ma Dagnoen era comunque un luogo estremamente simbolico! Qui Miriam è tornata a piangere il compianto marito dopo 20 anni di esilio... Anche a corpo riesumato, il sito doveva rimanere sacro, dovevate curarlo, portarci fiori ogni giorno! Non avevate scuse! Blaise Compaorè non lo poteva più impedire perché oramai in esilio in Costa d'Avorio... Perché? Perché? Perché? Il comandante Sankara ha fatto tanto per voi, donandovi la vita. Non meritava questo...

Il Congresso unitario sankarista di Ougadougou

La Maison du People è un grosso edificio decadente situato non lontano dalla rotonda delle Nazioni Unite, color ocra come la terra che gli sta intorno: il 30, 31 ottobre ed primo novembre è sede del congresso unitario nazionale dei partiti progressisti e sankaristi del Burkina Faso, quest'anno particolarmente importante perché proprio in corrispondenza del processo finalmente intrapreso agli assassini della felicità. L'obiettivo ambizioso è unire per il bene del paese, tutte le principali forze patriottiche e socialiste del Burkina Faso nel tentativo di risolvere i principali gravi problemi della sfortunata nazione subsarahiana. La parte da leone nel congresso è indubbiamente recitata dal nuovo partito di unione, l'UNIR/MPS, formatosi proprio da poche settimane, risultato della fusione dell'Union pour la Reinassance (UNIR) e del Mouvement Patriotique Sankariste (MPS).

Manifesto alla Maison du People del congresso unitario sankarista di ottobre-novembre 2021

Impressionante la quantità di gente che arriva. Autobus puzzolenti, sgarrupati ed arrugginiti, scaricano donne, uomini e bambini. Tantissime donne con i loro bebè al seguito, come avrebbe voluto il grande comandante. Tutti con la maglia gialla del congresso. Un'infinita distesa di maglie gialle felici col volto felice di Tom Sank. E sorrisi ben in vista, perché sono tutti senza museruola. I rottweiler imbavagliati ed ipocondriaci alla Maison non sono invitati. Qui entra solo felicità. Gli spalti e le gradinate saranno a fine mattinata stracolme all'inverosimile. A Burioni e Bassetti, a Speranza ed a Draghi nel vedere quelle scene di calca ed affollamento al chiuso senza bavagli, sarebbero venute convulsioni. E così, con estrema gioia, dopo mesi di distanziamento sociale, mi unisco al popolo, mi ammasso come una volta si faceva allo stadio. Bella sensazione! Oramai in Europa abbiamo interiorizzato la paura dell'altro... in alcune trasmissioni addirittura viene detto che dovremmo modificare per sempre i nostri comportamenti, ad esempio perdendo l'abitudine di baciarci o stringerci la mano, mantenendo sempre almeno un metro di distanza dall'altro. E possibilmente pure con il pezzo di stoffa davanti alla bocca, in modo tale da nascondere ogni emozione, ogni sentimento, come fossimo robot o Cyborg. Ho sentito dire dai capoccioni televisivi fabiofaziani e brunovespiani che la mascherina dovrebbe diventare per sempre una costante della nostra esistenza. Vaccinati, distanziati e pure imbavagliati in modo tale da nascondere il sorriso, in modo tale da nascondere la felicità. Credo che Sankara non sarebbe stato d'accordo nel nascondere la felicità ed avrebbe fatto, a tutti i virologi prezzolati di oggi, una grande, immensa pernacchia.

La maglia gialla del congresso

Prima di entrare, all'esterno della Maison mi ferma un signore ben vestito, un tale Mr. Van Buana, una specie di musicista di bonghi, famoso nel suo paese, nonché dirigente del partito sankarista del Congo Brezzaville. Vuole sapere tutto della mia vita e chiederà diverse foto con me, manco fossi io il politico e non lui. Sostiene di esser un ecologista: il suo piano è quello di piantare alberi nel deserto, come fece a suo tempo Sankara per contrastare la desertificazione del territorio. La piacevole ed allegra conversazione è interrotta dall'incontro con Gael; come promesso mi procura un pass d'ingresso da giornalista che mi consentirà di assistere al tutto da un punto di vista privilegiato ed addirittura scambiare due chiacchiere con la figlia di Julius Nyerere, il grande presidente socialista della Tanzania, uno dei pochi che è riuscito a portare avanti politiche antimperialiste ed anticoloniali nel suo paese senza esser ammazzato.

«I was in Tanzania last year with my family... I studied all the life of your father. I think he was a great man, like Thomas Sankara. Pleased to meet you», gli dirò.

Il congresso è bellissimo, discorsi brevi, molte danze e balli, molto folklore locale. Momenti davvero coinvolgenti con slogan ed urla a favore del socialismo e del patriottismo. Si parla molto, tra una canzone e la successiva, tra un grido antimperialista e l'altro anticolonialista, di uno dei problemi più grandi che oggi deve affrontare la terra degli uomini integri: il terrorismo crescente ed incontrollabile, prima confinato solo nella zona nord del Burkina Faso al confine col Mali ed ora propagatosi velocemente in tutto il paese. Nessuna zona oramai può considerarsi sicura: il rischio sequestri ed attentati jihadisti è molto alto dappertutto e gli spostamenti tra le città, come ad esempio tra Ougadougou e Bobo Dioulasso, si possono fare solo scortati da militari. La violenza brutale non risparmia più nessuno, neppure gli innocenti: nel giugno scorso, ben 132 abitanti di un piccolo villaggio sono stati massacrati, gli edifici bruciati ed il mercato locale distrutto. Lo stato islamico avanza e l'esercito non è capace o non ha i mezzi per contrastarlo. L'ultimo attentato pochi giorni fa, in zona Kaya, con 14 morti e molti feriti.

Benewende Stanislas Sankara assediato da fotografi e giornalisti

Improvvisamente un grande applauso quando il presentatore annuncia Benewende Stanislas Sankara, che si trasforma in ovazione quando egli sale sul palco sventolando la bandiera rossa e verde burkinabè: Gael mi dirà che Stanislas non è solo un grande leader politico, attualmente a capo del partito di fusione UNIR/MPS, ma è anche uno degli avvocati della famiglia di Tom Sank al processo contro Blaise Compaorè e Gilbert Djendèrè.

Una maglia di Sankara: socialista e patriottica in Burkina Faso... sovranista e fascista in Italia!

E poi mano sul petto e tutti in piedi. Brividi sulla pelle. C'è l'inno nazionale, proprio quello scritto da Sankara. Il patriottismo è assolutamente al centro dei valori di tale congresso socialista: il famoso motto, quello presente nell'inno e nello stemma della rivoluzione di Sankara, “la patrie ou la mort”, viene detto e ridetto, ripetuto ed urlato in tutti i modi, in tutte le salse. All'infinito. Il che, non mi stancherò mai di ripeterlo, dovrebbe far riflettere tutti i sinistroidi nostrani filo-PD, che associano le idee di patria e patriottismo a concetti fascisti, “sovranisti” come li chiamano loro in modo dispregiativo, confondendo il sano patriottismo costituzionale, socialista ed internazionalista, con un becero nazionalismo imperialista guerrafondaio. Allo stesso modo d'altronde in cui confondono internazionalismo con mondialismo e globalizzazione. Un consiglio a queste persone: tornate a studiare la storia. Tornate a studiare Gramsci, Marx, Lenin.

La Maison davvero stracolma, verso le 4 di pomeriggio comincia a defluire. Anche io esco. Farò pranzo fuori con 3 banane acquistate da una donna anziana, piegata in due dalla fatica e dal caldo, giusto per avere nei muscoli le scorte di magnesio e potassio per inforcare nuovamente quel catorcio di bicicletta che ho e ricominciare a pedalare per chilometri e chilometri a 40 gradi nelle strade polverose di Ouga. Gli lascerò 2000 franchi, 3 euro, quando me ne chiedeva soli 200. Mi guarderà sbalordita e mi bacerà le mani...

Torno al Memorial per la seconda ed ultima volta. Sotto alla statua di Bambara, mi riprometto di tornare in Burkina Faso, il giorno che il processo arriverà a degna conclusione e saranno condannati alcuni degli assassini di Thomas. E festeggerò e mi sbronzerò col popolo burkinabè, pugno chiuso con la mano sinistra alzata al cielo e birra Brakina nazionale nell'altra mano destra.

Saluto il comandante e vado via. Avrei voluto salutare anche Gael alla Maison ma l'ho perso tra la calca. Gli scriverò presto.

L'ultimo saluto al comandante Sankara nel suo Memorial... spero di tornare il giorno che sarà fatta giustizia!

Che bella giornata che ho vissuto... a contatto con la meglio gioventù del Burkina. A contatto col popolo, con le donne che allattano ed i bambini piccoli che corrono sulle gradinate e mi sorridono a 32 denti, con i giovani fieri ed orgogliosi che urlano felici ma rabbiosi contro l'imperialismo ed il neocolonialismo e che sul deltoide, anziché la punturina assassina di Pfizer, hanno il tatuaggio di Sankara. A contatto con analfabeti e contadini. Perché io sto estremamente meglio con loro rispetto ai “colti” nostrani con Repubblica sotto al braccio e la puzza sotto al naso, a cui basta un pezzo di carta per sentirsi parte di un elite superiore intellettualmente e schifare il popolo brutto ed ignorante, populista e sovranista, guardandolo dall'alto in basso. Mi trovo molto più a mio agio con un barbone di strada o con la povera vecchietta che al supermercato non può fare spesa perché ha una misera pensione minima, rispetto ai “colti ed istruiti” rampolli bocconiani, ai giovani ittici mattiasantoriani nostrani che Sankara manco lo conoscono e sventolano, rigorosamente imbavagliati, le orribili bandiere blu dell'Europa anziché quelle italiane, riempendosi la bocca degli assurdi concetti neoliberisti di competitività economica, austerity, lotta all'inflazione e cessioni di sovranità. E poi vanno alle feste dell'Unità a cantare Bella Ciao.

Il popolo della Maison riempie poco a poco i pullman scassati del parcheggio sterrato e tutti tornano alla vita di sempre, alle zappe ed ai campi aridi dei villaggi e delle periferie, alle bancarelle ed ai chioschetti di strada. Apparentemente nulla cambia: il povero resta povero, sempre più straccione, ed il ricco diventa sempre più ricco, grasso, avido ed ingordo. Ed invece è cambiato il mondo oggi alla Maison. Si respira un clima di serenità e di allegria. Ho visto occhi diversi. Ho visto la speranza nelle persone. Ho visto la felicità nei volti, perché le persone della Maison sanno di credere in un ideale giusto, di appartenere ad un movimento giusto, di stare dalla parte giusta della storia. Ho visto la speranza nella giustizia, che forse finalmente, dopo ben 35 anni, in questo paese arriverà. Perlomeno la macchina è partita e qui in Africa è già tanto. Ho visto nella gente, gli stessi occhi di serenità e di pace che vedo in mia moglie quando esce dalla messa, lei molto fedele, estremamente cattolica e genuinamente credente, al contrario di un dannato senza pace come me. Ho visto la luce negli occhi dei giovani: Sankara ha gettato il seme e sempre più africani, nonostante la vergognosa propaganda giornaliera della stampa occidentale, hanno capito l'inganno capitalista ed imperialista. Gli ideali socialisti del presidente della felicità, gli ideali di giustizia e di pace, di uguaglianza e cooperazione, di lotta contro la competizione economica sfrenata, contro il sottosviluppo e lo scempio ambientale, sono oggi più vivi che mai.

Perché “possono uccidere le persone, ma mai le idee”.