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I laghi di Gokyo

E' una settimana ormai che sono partito da Lukla ed il mio fantasmagorico trekking dell'Everest sta andando davvero a gonfie vele, con l'impegnativa tabella di marcia che mi sono imposto, al momento perfettamente rispettata: ieri ero sulla cima del Kala Patthar ad ammirare estasiato, con un cielo limpido come non mai, l'imponente parete sud di Sagarmatha tra le cime del Lhotse e del Nupse mentre questa mattina ho visitato il mitico Campo Base... un po' di inevitabile appagamento per il raggiungimento di 2 dei 3 obiettivi del mio viaggio, e già sono in ritardo: per tornare a Gorakshep ho almeno due ore di marcia, altre due ore poi per Lobuche, dove voglio assolutamente visitare la Piramide del CNR prima di deviare per Dzongla, 4900 metri circa ai piedi del passo del Cho La dove pernotterò per fare poi l'indomani l'impegnativa traversata verso Gokyo.

La piramide del CNR di Lobuche... ed il neoliberismo

La famosa piramide del CNR, si trova a 5050 metri di quota in uno spiazzo invaso dagli yak di una valle nascosta e riparata ad una mezzoretta di cammino dal villaggio di Lobuche: è il più alto laboratorio del mondo, chiamato EV-K2-CNR perché il primo grande progetto che aveva fu quello relativo all'esatta misurazione dell'altezza dell'Everest e del K2. E' un tutt'uno con un lodge che si trova sotto di essa, l’8000 Inn, l’unica sistemazione con un minimo di comfort sulla strada per l’Everest da Namche Bazaar, in quanto, udite udite, dà la possibilità di fare la doccia calda!

Oggi la Piramide si occupa di svariati progetti scientifici: grazie infatti alla sua particolare ed unica posizione geografica all'interno di un'area remota del Parco naturale più alto della Terra, dunque ad inquinamento ambientale, sonoro e luminoso praticamente nullo, la Piramide offre un'insostituibile opportunità per lo studio della fisiologia umana ed animale in condizioni estreme, dei cambiamenti climatici e dello scioglimento dei ghiacciai himalayani, della meteorologia, della geologia, della botanica e della zoologia, della geofisica, della sismologia e di tanto altro, offrendo ai ricercatori di tutto il mondo una base logistica tecnologicamente avanzata ad una quota mai raggiunta...

La Piramide nacque a fine anni '80 nella testa dello scienziato ed esploratore italiano Ardito Desio, che tra infinite difficoltà riuscì a reperire i fondi necessari instaurando collaborazioni pubblico-private, e fece diventare tale costruzione il simbolo stesso della creatività e della capacità scientifica e tecnologica del nostro paese. Il centro di ricerca fu inaugurato ad ottobre del 1990 con la presenza addirittura dell'incredibile Ardito Desio che giunse agli oltre 5000 metri d'altezza di Lobuche alla veneranda età di 93 anni. La lunga collaborazione negli anni tra l'associazione che gestisce interamente la piramide, l'EV-K2-CNR facente capo al Consiglio Nazionale delle Ricerche e la NAST (Nepal Academy of Science and Technology) ha dato via ad oltre 500 missioni scientifiche con la partecipazione di centinaia di ricercatori afferenti alle istituzioni scientifiche di tutto il mondo. Insomma, un gioiello di tecnologia avanzata, un punto di riferimento per moltissime organizzazioni internazionali, un orgoglio dell'Italia, il suo fiore all'occhiello della ricerca scientifica.

La piramide del CNR di Lobuche

Entro curioso ed eccitato e chiedo di parlare con i ricercatori italiani, tutto orgoglioso della mia cittadinanza e di aver lavorato anche io al CNR diversi anni... i gestori dell'Hotel mi invitano a rivolgermi ad un signore nepalese, ricercatore e gestore della struttura, il quale mi gela subito, lasciandomi di sasso.

Un orgoglio dell’Italia? Davvero? Il suo fiore all'occhiello della ricerca scientifica? Davvero? Siamo sicuri? Forse... Prima sicuramente sì, oggi non più. Oggi, più che orgoglio dell'Italia, la Piramide è la vergogna dell'Italia.

«Qui sono 5 anni che non si vede più un italiano, sono 5 anni che l'Italia non invia più un euro... Anche il governo nepalese oramai invia denaro col contagocce. Le ricerche sono tutte interrotte ed io ormai vengo qui solo nei ritagli di tempo perché per guadagnare qualche rupia devo lavorare in una guesthouse di Lobuche...»

La sua voce tradisce tanta incomprensione ed incredulità, perché un laboratorio del genere, unico al mondo va a marcire nell'indifferenza generale; tradisce rabbia e malcontento, soprattutto nei confronti degli italiani che secondo lui, da un momento all'altro hanno abbandonato tutto lasciando la struttura al suo triste destino. Insomma, io credevo di esser accolto da re in quanto ex ricercatore del CNR ed invece devo sentire lo sfogo di uno studioso riciclatosi a cameriere di guesthouse...

Provo un po' un senso di vergogna e tristezza. Di rabbia contro il sistema. Perché io so di chi è la colpa di tutto ciò. Non ci sono più i soldi, dicono, anche se i soldi poi per salvare banche ed imprese private, per aumentare costantemente le spese militari o i privilegi dei pochi eletti, si trovano sempre. Perché? Come mai nessuno si fa questa domanda? Dove sono finiti i soldi che non ci sono più? Perché prima c'erano ed ora non ci sono più? Davvero come dicono, abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità? Chi lo ha fatto? I nostri nonni che hanno spaccato il centesimo rompendosi la schiena di lavoro per costruire case ed un futuro ai propri figli? I nostri genitori, umili artigiani o insegnanti che ci hanno cresciuto in case popolari e poco alla volta si sono tolti discrete e sobrie soddisfazioni? Oppure la generazione precaria dei trenta e quarantenni a mille euro al mese? Chi è che ha imposto tagli scellerati alla spesa pubblica? Perché? In nome di chi, di cosa e di quale ideologia?

Ricordo quanto successo nel 2003, quando dovevo scegliere la mia tesi di laurea sperimentale in Fisica: si trattava di fare un anno di ricerca scientifica dentro l'Università oppure presso enti statali esterni. Ed io avevo scelto: da ambientalista quale sono, volevo lavorare nel settore delle energie rinnovabili, dunque nel fotovoltaico, nell'eolico o in qualcosa di innovativo.

Fu amore a prima vista quando vidi gli enormi specchi parabolici del centro ENEA della Casaccia. Chiesi così di poter lavorare un anno da laureando nell'ambito del progetto Archimede del solare termodinamico di Carlo Rubbia, sia a Roma in zona Bracciano, che nella centrale sperimentale a sali fusi di Priolo Gargallo di Siracusa: ma mi fu espressamente detto, che anche se avessi fatto una tesi di laurea strabiliante e mi fossi rivelato il nuovo Albert Einstein del XXI° secolo, non avrei avuto nessun futuro possibile all'ENEA perché stavano licenziando o non rinnovando contratti a tutto il personale precario; e poi altri ricercatori storici ultra quarantenni andavano stabilizzati o definitivamente allontanati e lo stesso progetto di Rubbia stava andando a morire per carenza di fondi. Stesso discorso nel settore del fotovoltaico su Silicio. Mi dissero che in generale tutti i settori dell'ENEA erano in sofferenza e che l'ente di ricerca stava subendo tagli paurosi ed indiscriminati fatti con l'accetta. Il 2003 fu il mio primo incontro con la spending review ed il neoliberismo dell'Unione Europea.

A gennaio 2004, comincio la mia tesi di laurea all'IFN sui semiconduttori organici, concludendola a fine anno e riuscendomi a laureare con lode proprio l'ultimo giorno utile, il 22 dicembre. Un anno di duro lavoro nel quale io ed il mio mentore, nonché grande amico Francesco De Angelis, ottenemmo risultati grandiosi (soprattutto lui che mi guidava, chiaro...) pubblicati poi su importanti riviste scientifiche: noi due soltanto, facendo non solo i ricercatori, ma anche idraulici, informatici, elettricisti, tornitori, e riuscendo a competere a livello di risultati con i migliori istituti stranieri come l'Infineon tedesca che impiegavano decine di persone, tra l'altro molto meglio pagate di noi. Fu una grande esperienza per la quale, caro Franz, non smetterò mai di ringraziarti!

Vinsi poi un concorso ed al CNR rimasi fino a fine 2008, quando la spending review dell'eroe della sinistra radical chic neoliberista ed europeista Romano Prodi, obbligò il nostro istituto ad accorparsi ad un altro, all'IMM (Istituto di Microelettronica e Microsistemi), cambiando sede, trasferendo apparecchiature e macchinari dalla zona di Rebibbia a quella di Tor Vergata, vicino all'Università di Roma 2.

Il problema è che trasferire un centro di ricerca che ha trovato un suo equilibrio e che lavora prevalentemente in "Clean Room" non è cosa banale: non è come come spostare mobili o semplici uffici. Ci sono strumentazioni scientifiche, grossi, costosi e delicatissimi macchinari da smontare e rimontare... soprattutto, vanno a farsi benedire anni di processi e di esperimenti faticosamente messi a punto e resi replicabili in Clean Room. Si ripartiva praticamente da zero, dovendo ricominciare tutto da capo, tra l'altro in un centro molto più grande, dispersivo e burocratizzato. E la ricordo bene la preoccupazione di qualche collega che temeva che il proprio contratto, rigorosamente precario, non venisse rinnovato... sempre una spada di Damocle sopra la testa perché al CNR gli addetti alle pulizie ed i tantissimi amministrativi, giustamente, avevano ottimo contratto regolare, ma i pochi ricercatori invece erano quasi tutti a progetto oppure con borse di studio ed assegni di ricerca da mille miseri euro al mese, rinnovate (forse) di anno in anno.

Vicende personali ed anche economiche, ben narrate nella parte "Chi sono" di questo blog, mi spinsero a tuffarmi in altra avventura, abbandonando un po' a malincuore, il mondo della ricerca, un mondo che però in Italia, oggettivamente mi avrebbe offerto solo miseria e precariato a vita. Insomma, questo breve racconto della mia esperienza nel mondo della ricerca scientifica per dire che io, la scarsità dei fondi all'istruzione ed alla ricerca, nonché la spending review imposta dai demoni dell'UE, l'ho toccata e sentita, sulla mia pelle ogni giorno per 5 anni.

Domanda: in questo lasso di tempo, chi sono stati i Presidenti del Consiglio italiani? Risposta, Silvio Berlusconi prima, quello del bunga bunga, e Romano Prodi dopo, quello della privatizzazione dell'IRI e dell'ingresso nell'Euro, nuova sacra moneta che a detta sua ci avrebbe fatto lavorare di meno e guadagnare di più.

Questo per far capire, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che destra e sinistra sono termini oramai privi di alcun senso in quanto facce (non troppo) diverse di una stessa medaglia, unite sotto la stessa bandiera del neoliberismo europeista e dell'imperialismo atlantista; destra e sinistra sono entrambi umili operai della stessa coppia di padroni e la loro falsa alternanza al potere negli anni è stata funzionale soltanto a dividere le masse e nascondere al popolo i veri sovrani indiscussi ed incontrastati del nostro paese: l'UE e la sua ideologia neoliberista sancita e scolpita a pietra negli abominevoli trattati europei totalmente incompatibili con la nostra costituzione, e la NATO con i suoi deliri militari di onnipotenza e dominio imperialista sul mondo.

Accompagnata dalla solita campagna denigratoria dei pennivendoli di regime finalizzata a screditare il concetto stesso di "pubblico" descrivendolo sempre come carrozzone inevitabilmente corrotto e spendaccione, osannando al tempo stesso il privato simbolo di efficienza, rigore nei conti ed onestà, la spending review ha letteralmente massacrato (e continua a farlo) enti statali di ricerca come l'Università, il CNR, l'INFN, l'INGV e l'ENEA, minacciandone letteralmente la stessa sopravvivenza con tagli non lineari e del tutto casuali che non rispondono ad alcuna logica apparente. Sono stati colpiti addirittura i centri d'eccellenza, come per l'appunto il laboratorio di ricerca di Lobuche, il più alto del mondo ad oltre 5000 metri d'altezza, ed al tempo stesso, sono state destinate risorse sempre crescenti ad istituti privati. Paradossalmente, la culla di Dante, Petrarca e Boccaccio spende più in interessi sul debito, la vera gallina dalle uova d'oro per il blocco euroinomane franco tedesco, che nell'istruzione e nella ricerca; un dato, solo questo, che dovrebbe mettere i brividi sui meccanismi perversi nati dopo l'adesione scellerata alla moneta unica: in questo settore spendiamo meno in valore assoluto rispetto ad altri grandi Paesi della UE, siamo tra gli ultimi in Europa in rapporto al Pil e gli ultimi in assoluto in rapporto alla spesa pubblica totale, con tagli impietosi che stanno avvenendo più velocemente ed intensamente rispetto alla media europea.

La riduzione costante e metodica dei fondi ad istruzione e ricerca, è tuttavia soltanto uno dei tanti aspetti della spending review alla spesa pubblica generale, la quale è definita sempre dai liberisti di destra e sinistra come "brutta, cattiva ed improduttiva", mentre in realtà costituisce la vera ricchezza del cittadino.

Negli ultimi anni le due voci "tagli" e "riforme" hanno permeato ogni aspetto del dibattito pubblico (prima del Covid, certo...): riforma delle pensioni con allungamento dell’età pensionabile e riduzione dell’assegno, deflazione e moderazione salariale con annessa flessibilità del mercato del lavoro, tagli alla sanità in favore di istituti privati, alla pubblica amministrazione, alla difesa, dirottamento generale dei fondi ed investimenti pubblici ad iniziative private... Insomma, i mantra del neoliberismo: privatizzazioni, liberalizzazioni e deregolamentazioni del mercato, austerità (meglio se accompagnata dall'ossimoro "espansiva") e competizione economica sfrenata, precarizzazione del lavoro, generale limitazione del potere di controllo sull'economia da parte dello Stato e libero mercato, che significa libera circolazione, non solo di merci e capitali, ma anche e soprattutto di persone, viste non come esseri umani, ma come merce da cui estrarre plusvalore. Tutto ciò però è in palese contraddizione con gli articoli della nostra bellissima e keynesiana costituzione, la quale al contrario, si ispira agli ideali socialisti di pace, solidarietà e cooperazione, tutela della piccola e media impresa, del lavoro e del risparmio, dell'istruzione e della ricerca scientifica; le elite turbocapitaliste hanno reso possibile tutto ciò, mediante la creazione del mostro dell'UE con i suoi trattati di Maastricht e Lisbona che trasudano neoliberismo da ogni poro e facendo aderire gli Stati sovrani alla moneta unica dell'Euro, vero strumento di dominio sulle masse. Perdendo la sovranità monetaria, il debito pubblico è diventato un problema insormontabile e l'Italia ha perso ogni forma di controllo possibile sulla propria economia. Dovendo sottostare a scellerati piani di rientro come quelli imposti dal Fiscal Compact e dovendo chiedere in prestito agli squali della finanza una moneta privata, transnazionale, senza stato e senza popolo, il Bel Paese è così perennemente sotto attacco e ricatto dei mercati. E dobbiamo obbedire perché... ce lo chiede l'Europa! Il mantra degli ultimi anni, che tutti ripetono a pappagallo senza sapere che demonio si cela dietro quel sepolcro imbiancato della UE. La prima condizione ovviamente per tener basso lo spread e limitare i danni del pagamento degli interessi sul debito, è il taglio costante e progressivo della spesa pubblica: in questo, tutti, ma proprio tutti i governi, indifferentemente di destra e di sinistra, sono stati fenomeni e campioni mondiali. Più si lecca il culo alla UE, alle Merkel ed alle Ursule di turno, più ci si garantisce carriera lunga e proficua. Non è una questione di appartenenza politica, anzi: la sinistra radical chic del PD, quella che osanna i due Mario nazionali, è proprio quella che più di chiunque altro negli ultimi anni ha avallato le riforme neoliberiste più scellerate.

Il nocciolo centrale della questione, non mi stancherò mai di ripeterlo è che il recupero della sovranità legislativa, amministrativa e monetaria da parte dello stato italiano è condizione necessaria (anche se ovviamente non sufficiente) per la sua rinascita sociale, culturale ed economica.

L'istruzione e la ricerca in questo paese sono sempre state viste come una spesa da tagliare e mai come un investimento. Ed il neoliberismo made in UE non è l'unico colpevole. C'è anche un'altra motivazione, più semplice da capire, ma ben più profonda ed inquietante: l'ignoranza e la superficialità morale ed intellettuale del popolo è il vero ed unico strumento di dominio del potere sulle masse. Per dirla alla Gustavo Zagebrelsky, “l’anti-cultura è il paradigma della massa manovrabile”. Un popolo che sa poco, che non è curioso, che è confuso e deluso, che non ha spirito critico e non ha coscienza di sé e di ciò che accade nel mondo, è totalmente soggetto a propaganda mass mediatica, è totalmente influenzabile e facilmente gestibile: la lotta di classe muore sul nascere. Al contrario, un popolo ben informato e pensante, spesso non abbassa la testa e non abbocca alle menzogne di turno del più squallido e venduto pennivendolo o politico di regime (tipicamente di Repubblica e del PD rispettivamente). Non è detto ovviamente, anzi... con la vicenda Covid ho capito che spesso è il contrario, nel senso che le persone più colte sono le meno propense a cambiar idea ed accettare di aver preso un enorme granchio; ma in ogni caso, tali capacità di comprensione della realtà nel popolo sono strettamente connesse all’istruzione ed alla scuola, la quale, al di là del mero aspetto nozionistico, ha il compito di rendere famelici di verità, di accendere il desiderio di conoscenza, di infiammare il dibattito (non necessariamente politically correct come pretende il PD) in quelli che oggi sono studenti e domani saranno cittadini votanti.

L’ignoranza è forza, scriveva George Orwell in 1984, nel suo bellissimo e profetico romanzo: ecco perché vogliono distruggere la scuola, l'istruzione e la ricerca.

Attraversamento del Cho La Pass

Tra una chiacchiera e l'altra col ricercatore nepalese, mi attardo più del previsto. Si è fatto tardi: sono le quattro di pomeriggio, devo tornare a Lobuche e partire immediatamente per Dzongla. Non è lontanissima, circa due ore di cammino ma tra poco è buio e soprattutto è calata una nebbia fittissima che non si vede ad un palmo... tornare al villaggio mi sarà davvero difficile, sbaglierò strada almeno un paio di volte. Il tempo è drasticamente peggiorato... non so perché ma a Lobuche il tempo fa sempre cagare! Ogni volta che sono qui c'è nebbia, freddo, vento... mmhm... oramai sono le 5 di pomeriggio, direi che è meglio rimandare a domani per evitare guai. Domattina, giorno 9 del trekking, per rispettare il cronoprogramma, dovrò partire almeno un'oretta prima: sarò costretto ad un non so quanto realistico e fattibile, Lobuche-Gokyo attraversando l'impegnativo e tecnico passo del Cho La e il terrificante ghiacciaio Ngozumpa. Follia?

Il mio corpo ora, dopo 3 notti passate sopra i 5000 metri, è perfettamente acclimatato. Mi sento benissimo e le gambe volano. Oggi, giorno 9 del trekking, va in onda il miracolo: Lobuche-Gokyo in un giorno solo, partendo all'alba ed arrivando la notte. Non so se, sherpa a parte, una tratta del genere l'ha coperta mai nessuno. Ho provato a raccontare i miei programmi a degli sherpa locali ieri sera davanti alla stufa e tutti, dico tutti, si sono messi a ridere, sostenendo fosse impossibile. Sono 12 ore senza fermarsi mai, conoscendo bene il percorso ed a patto che i passi del Cho La ed il ghiacciaio Ngozumpa siano attraversabili: non è affatto detto che lo siano in questo periodo dell'anno. Frega un cazzo, le sfide mi piacciono. Sono carico. Le gambe volano. Sono allenatissimo e motivato. Provo un anormale ed insano bisogno del pericolo e del brivido, le sfide mi eccitano, mi emozionano. Ed ora ho una forza mentale sovrumana perché so che nonno è con me. Lui mi proteggerà.

Lascio Lobuche la mattina prestissimo: l'obiettivo ambizioso è raggiungere Gokyo entro sera

Lascio Lobuche all'alba. Dopo una mezzora circa di cammino costeggiando un ruscello totalmente congelato, all'altezza di una spianata ghiaiosa non lontano dal concentrato di stupa e bandierine di preghiera del memoriale alle vittime dell'Everest, incontro il fatidico bivio per Gokyo.

Arrivo a Dzongla verso le 8 e 30 di mattina. Con amara sorpresa, i lodge però sono tutti chiusi: siamo entrati in bassa stagione, fa freddo e questa tratta, già di per sé molto poco battuta, è ora praticamente deserta. A dei giovani seduti sull'uscio di una porta, chiedo a gesti di indicarmi la strada per il Cho La. Tutti si mettono a ridere. La risata diventa fragorosa poi quando dico che voglio raggiungere Gokyo in serata. «No possible, no possible...» mi dicono ridendo... Secondo loro è troppo tardi per tentare la traversata perché le maggiori temperature delle 11 del mattino, rendono instabile il ghiaccio e pericoloso l'attraversamento, con rischio concreto di caduta massi ed apertura di crepacci. Il passo si può attraversare in sicurezza la mattina prima delle 9. Non più tardi...

Cazzo, no! Il Cho La mi blocca tutto il trekking e farà perdere un giorno intero al mio programma di viaggio... è soltanto mattina e non posso più procedere oltre! Impensabile. Ma io non mollo. Lo diceva sempre, ma con orgoglio ed accezione positiva, mio nonno Mimì: «E' come me, testardo come un mulo, quando dice una cosa non si sposta manco se lo fucilano... » E così, mi metto alla ricerca in tutto il paesino, bussando casa per casa, di uno sherpa che conosce bene il ghiacciaio disponibile ad accompagnarmi. Dopo mezzora di rifiuti, ne trovo uno, un tal Ronje che però non mi garantisce l'attraversamento con successo ma solo il tentativo. Bingo!

Oggi comunque è il primo giorno ad alta quota che mi sento veramente bene... Ronje lo capisce e spinge sull'acceleratore correndo nel sentiero verso il passo come un forsennato; stargli dietro, anche se ormai sono ben acclimatato, sarà un'impresa... Non dirà una sola parola durante tutto il tragitto ed ogni mio tentativo di intavolare una minima conversazione anche a semplici gesti cadrà miseramente: gli sherpa in generale infatti, a meno che non siano guide alpinistiche d'alta quota, non spiccicano una sola parola d'inglese.

Il ghiacciaio del passo del Cho La

Arriviamo ad una imponente parete di roccia verticale e la scalata al passo praticamente comincia qui: il sentiero è visibile come una linea diagonale totalmente esposta sulla parete della montagna che rimane alla propria sinistra, superata la quale, comincia la presenza di neve e ghiaccio scivolosissimo e si incontra, sotto all'imponente Lobuche, il ghiacciaio che sale fin sopra al Cho La. Tipicamente questo tragitto, partendo da Dzongla, si fa in almeno 3 ore, noi invece siamo qui dopo soltanto un ora e 45 minuti. Dobbiamo sbrigarci, minimizzando il tempo di attraversamento il più possibile, ma procedendo, ramponi ai piedi, con estrema prudenza: il sentiero è totalmente coperto dalla neve, ci possono essere crepacci nascosti, burroni e rocce che si staccano. Alcuni punti sono ferrati e dunque bisogna attaccarsi. Arriviamo comunque soddisfatti a quota 5420 metri sulla sella tra due montagne, individuata dalla solita sfilza di bandierine lung-ta di preghiera che svolazzano impazzite schiaffeggiate da un vento fortissimo che quasi si fa fatica a stare in piedi... io e Ronje ci separiamo salutandoci con affetto; lo ringrazio calorosamente perché ha salvato la mia tabella di marcia. Io proseguo da solo per Gokyo, lui invece torna a Dzongla.

Dal passo del Cho La si arriva alla valle successiva in direzione Gokyo mediante una discesa ferrata ripidissima su roccia franabile ed instabile, con la sicurezza di una corda d'acciaio e l'insicurezza dei massi più o meno grandi che cadono dalla montagna. Metto il turbo ed arrivo a Dragnak alle 4 e mezza di pomeriggio. Il cartello all'ingresso del bel villaggio, mi indica soltanto due ore per Gokyo! Cazzarola, davvero ce la posso fare! Il miracolo è possibile! Lobuche-Gokyo in un solo giorno... e tutti ridevano! Forse arriverò di notte, perché alle 6 tramonta il sole, ma lo avevo previsto. E poi ho la mia mitica torcia a carica manuale che mi aiuterà, anche se purtroppo non potrò più far affidamento sullo sterco di yak a marcare il cammino, perché questa non è una tratta battuta dagli animali, ma solo una “deviazione ardita” che consente di tagliare tre giorni di viaggio nel passaggio da Lobuche a Gokyo, evitando di tornare indietro a Sanasa fin quasi a Namche Bazaar, risalendo poi a sinistra per Phortse Tenga, Dole e Macchermo.

A Gokyo quella sera purtroppo però non ci arriverò: non potevo saperlo, ma in quelle due ore che mi separavano dal villaggio, io dovevo domare un mostro. E non ce la farò.

Un esperienza da brividi: l'attraversamento del ghiacciaio Ngozumpa

Non è un sentiero normale quello che mi attende: Dragnak (o anche Thagnak) è separata da Gokyo dal ghiacciaio Ngozumpa, il più lungo dell'Himalaya con i suoi 36 km di lunghezza (sommando il ramo ovest con quello est e nord); nasce ai piedi del Cho Oyu, la sesta montagna più alta del mondo con i suoi 8.201 metri. Come tutti i ghiacciai del mondo, oggi tuttavia mostra segni di riduzione progressiva nelle dimensioni a causa del riscaldamento globale, producendo acque di fusione che tendono ad accumularsi a valle per gravità: a sud in direzione opposta al Cho Oyu, sta crescendo un enorme lago, chiamato Spillway, il quale potenzialmente potrebbe arrivare a dimensioni ragguardevoli (6 km di lunghezza per 1 di larghezza con profondità di 100 metri) costituendo una grave minaccia per alcuni villaggi Sherpa: gli "sfollati ambientali" in futuro non saranno soltanto i maldiviani o gli abitanti delle isolette del pacifico, ma anche quelli delle "terre alte" a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Dobbiamo urgentemente invertire rotta, contrastando il climate change in ogni modo, soprattutto cambiando radicalmente paradigma economico. E' il modello predatorio iper consumista violento con l'uomo, con la società e con l'ambiente che ha generato il disastro. E' il capitalismo dunque che va abbattuto se si vuole risolvere il problema. O la nostra specie è destinata a scomparire, perché Madre Natura si vendicherà.

La larghezza del ghiacciaio Ngozumpa è non superiore ai 2 chilometri, ma sono, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, due chilometri davvero infernali. Sono le 4 e 30 di pomeriggio, il sole sta calando ed io mi trovo sopra la collina che sovrasta il ghiacciaio. Mappa e bussola alla mano, Gokyo è esattamente dall'altra parte: devo passare di là, ma non trovo il cammino. Di solito il sentiero è indicato con un segno colorato nella roccia, oppure con piccoli stupa di pietre sovrapposte... qui niente. Non lo vedo oppure l'ho perso... Cammino sulla cresta della franata, non proprio dunque nel posto più sicuro del mondo. Mi affaccio dal burrone e lo sento urlare, inquietante. Gracchia e si spacca, a volte in modo violento e fragoroso. Francamente ho paura di attraversarlo, ma ci provo: il ghiacciaio è morenico, senza grossi problemi di crepacci, ma è tutto un saliscendi ed il vero grosso problema sono i sassi, anche grossi che cadono e si staccano dalla morena. E' sempre più buio e le urla del mostro sono sempre più inquietanti. Sassi e massi continuano a cadere. Sono solo. Dopo diversi tentativi mi rendo conto che il sole è tramontato e che sono ancora all'inizio del ghiacciaio: vedo ancora bene la cresta lato Dragnak ma senza alcuna prospettiva di trovare la strada giusta. Mi perdo. Se c'è una frana, rimango praticamente qui sotto per sempre: non sento Gaby da giorni non avendo internet nel cammino, e nessuno, ma davvero nessuno nel villaggio mi ha visto passare e sa che sono qui. Questa notte, rischio davvero di rimanere al gelo in mezzo a questo inferno. Poco a poco scendono le tenebre sul Khumbu e la forte preoccupazione precedente lascia il posto ad uno stato di ansia sempre maggiore. Il cuore batte. Ho fatto una cazzata, dovevo fermarmi a Dragnak! Tu e la tua stupida superbia! Non l'ha fatto mai nessuno Lobuche-Gokyo in un giorno e lo vuoi fare tu? Sei un coglione, un idiota, un presuntuoso! Arriva il buio. E' nero il buio, nero come la pece. Ce la farò a superare una notte all'esterno a meno 15 gradi come minimo, nel bel mezzo del ghiacciaio più vasto dell'Himalaya? Dove metterò il sacco a pelo? L'angoscia mi assale...

Tentativo di attraversamento in tarda serata del ghiacciaio Ngozumpa

Nonno però è lì con me e mi da una mano. Mi siedo e ragiono, perché so bene che nei momenti di pericolo, l'ansia e l'adrenalina non ti fanno pensare bene: con la bussola e la torcia manuale, a fatica, dopo un'ora di tentativi e fallimenti, riuscirò ad identificare la parete laterale del mostro arrampicandomi mani e piedi in cima alla cresta al di fuori del sentiero che probabilmente non ho mai incontrato e battuto. Torno a Dragnak e pernotto lì in un rifugio. Ancora spaventato, ancora tremante dalla paura, ma felicissimo per averla scampata, trascorro la serata al calduccio di fronte alla stufa di un rifugio, leggendo il mio libro “Aria Sottile” e divorando una bollente sherpa stew.

Certo che comunque, il miracolo è sfumato per pochissimo! Se avessi visto qualcuno attraversare lo Ngozumpa magari ce l'avrei fatta, mettendomi dietro ai suoi passi... Ritento la mattina successiva all'alba, avendo ricevuto stavolta abbondanti istruzioni dagli uomini del villaggio, che in ogni caso si complimentano tutti con me perché la tratta Lobuche-Gokyo in un giorno mai nessun escursionista l'aveva fatta. A me era mancato davvero pochissimo: non ci sono riuscito soltanto perché non ho trovato il sentiero giusto. Gli sherpa mi consigliano di attraversarlo all'alba quando il ghiaccio è più stabile e le frane meno probabili: c'è un puntino blu su una roccia proprio sopra la cresta ad indicare l'inizio del sentiero che scende sullo Ngozumpa e permette di raggiungere Gokyo, ma occorre star bene attenti perché è poco visibile, anche di giorno.

3 dicembre 2019, giorno 10 del trekking EBC. Mi sveglio all'alba ed affronto il leviatano. Stavolta vedo il puntino blu ed a malapena una bozza di sentiero. Sono solo, come ieri sera. Solo come un cane. Niente, nessuno sherpa in attraversamento, nessun trekker. Nada de nada. Non posso aspettare, e mi butto. Scendo nel ghiacciaio per il secondo tentativo di attraversamento.

Dentro alla morena non si capisce nulla. Anche di giorno, figurarsi ieri notte che poteva essere! Cerco di identificare il sentiero giusto basandomi esclusivamente su qualche puntino blu ormai sbiadito e cancellato dal tempo oppure su 3 o 4 pietruzze sovrapposte a formare piccoli stupa, il tipico segno utilizzato in tutto il Khumbu per marcare il cammino... ma queste 3 o 4 pietre a volte diventano due soltanto, il tutto in una distesa infinita di massi, rocce e sassi. Davvero facilissimo smarrire la via, molto poco visibile, e perdersi nel nulla, o meglio nel solito ambiente paurosamente infernale: il ghiaccio è sepolto e gracchia con fragore, si muove ed ogni tanto ci sono piccole frane. In Nepal sono piuttosto frequenti i terremoti... e se succede adesso? Qui casca tutto e rimango sepolto qui sotto per sempre! Una generale e costante sensazione di imminente pericolo non mi abbandonerà mai durante tutta la traversata. Mi faccio coraggio ed accelero il passo.

L'ultimissimo tratto è spaventoso: occorre risalire tutta la parete laterale dello Ngozumpa lato Gokyo, una gigantesca e paurosa franata da scalare in alcuni punti mani e piedi. Ben due volte dovrò ripararmi sotto un enorme masso dalla caduta scrosciante di sassi dalla montagna: se soltanto uno di loro mi avesse preso, non l'avrei raccontato... L'attraversamento del ghiacciaio Ngozumpa lo ricorderò sempre come una delle esperienze più terrificanti della mia vita.

I 5 laghi di Gokyo ed il panorama alpinistico più bello del mondo

Scavallo il ghiacciaio e perdo all'istante 10 chili. Due metri di roccia separano l'inferno del ghiacciaio dal paradiso di Gokyo. Appena supero la collinetta, la vista è mozzafiato, una di quelle che resta impressa indelebile nella memoria per sempre. Il piccolo e pittoresco villaggio di Gokyo, proprio ai piedi del brullo monte Gokyo Ri, si affaccia sulla sponda orientale dell'omonimo lago, chiamato anche Dudh Pokhari ma più comunemente noto come Terzo Lago di Gokyo o Lago III: sulle sue acque limpidissime color turchese si riflettono le montagne adiacenti imbiancate con il Cho Oyu ben visibile e maestoso sullo sfondo a dominare la scena con i suoi 8.201 metri d'altezza. Strepitoso. Assolutamente strepitoso.

Ce l'ho fatta, sono a Gokyo!

L'incantevole villaggio a circa 4.800 metri d'altitudine, è composto da poche case di pietra e pensioncine per escursionisti e scalatori, che si svuotano inesorabilmente in inverno. Anche oggi, sarà una giornata fisicamente massacrante: dopo aver attraversato o meglio, esser sopravvissuto questa mattina prestissimo al ghiacciaio Ngozumpa, mi prefiggo di raggiungere i laghi IV e V per poi andare ad ammirare il tramonto sulla vetta del Gokyo Ri dove tutti mi dicono ci sia il panorama alpinistico più bello del pianeta. I laghi secondari I e II li incontrerò invece sulla via del ritorno direzione Macchermo.

I 5 laghi di Gokyo, indicati comunemente più che con il nome, con il numero romano corrispondente, alimentati dalla percolazione e dai ruscelli dell'acqua di fusione del ghiacciaio Ngozumpa ed di altri più piccoli, formano il più alto sistema globale di acqua dolce del mondo, designato come “zona umida di importanza internazionale”. Tra di essi ed il leviatano adiacente non c'è un collegamento osservabile, ma si crede che siano probabilmente connessi attraverso infiltrazioni sotterranee. Sono considerati sacri dalle religioni indù e buddhista che venerano il luogo come dimora del dio serpente "Nag Devata” e così ogni anno nel mese di agosto, circa 500 indù fanno un “rinfrescante” sacro bagno di purificazione, immergendosi nelle acque gelide del lago III, in prossimità di un punto vicino al villaggio dove è presente un piccolo tempietto dedicato alle divinità Vishnu e Shiva.

Il lago Gokyo Tso o Dudh Pokhari o Lago III è indubbiamente il più bello ed importante affacciandosi proprio sul paesino, ma non è il più grande, avendo una superficie di 43 ettari ed una profondità di 43 metri. Il lago con la maggior estensione, 65 ettari di superficie e 63 metri di profondità, è il quarto, il Thonak Tso, meglio noto come Lago IV, il quale si incontra nel cammino che porta al quinto lago, lo Ngozumba Tso, più conosciuto come Lago V, tra i 3 il più piccolo con una trentina di ettari di superficie ed altrettanti metri di profondità massima, ma l'unico dal quale si può intravedere la vetta dell'Everest. Il sentiero che porta ai laghi IV e V, circa 5 ore di tragitto andata e ritorno, è assolutamente spettacolare perché si ha sempre davanti a sé l'imponente Cho Oyu totalmente imbiancato, con la sua cima regolare che separa il Nepal dal Tibet. Ti senti piccolo piccolo di fronte questi giganti...

Allo stesso modo in cui a Gorakshep non si vede l'Everest ma occorre salire sulla sommità del Kala Patthar, così qui a Gokyo, l'immensità della Dea può esser ammirata solo sacrificando un polmone e conquistando i 5.357 metri della vetta del Gokyo Ri, la brulla montagna che sovrasta l'omonimo villaggio. Avendo messo in conto tra le 2 e le 3 ore di scalata, comincio la salita verso le due e mezza di pomeriggio con l'idea di esser in cima prima del tramonto. Anche oggi, esattamente come a Namche Bazaar ed a Gorakshep sul Kala Patthar, il tempo è splendido, totalmente scoperto anche se fa molto freddo: ogni volta che mi sono trovato di fronte Sua Maestà Sagarmatha, il cielo incredibilmente è stato sempre limpido e terso, senza neppure una nuvola.

Ultima fatica del trekking. Ultimo obiettivo del viaggio. Ultimo dei 3 santini che avevo con me da posizionare. Ultimo shock visivo.

Seguo un sentiero piuttosto ripido che si inerpica lungo il crinale erboso del monte. Salgo, salgo, salgo sempre di più... ogni tanto interrompo il passo, alzo lo sguardo e rimango pietrificato ad ammirare una bellezza paesaggistica che credo abbia pochi eguali al mondo, col villaggio di Gokyo che sembra un presepe ai piedi del Lago III color turchese sul quale si proiettano riflessi ed ombre delle montagne circostanti, ed il gigantesco ghiacciaio Ngozumpa, minaccioso ed inquietante, poco dietro le casette col tetto verde del paesino. Cielo cristallino e nuvole all'orizzonte a coprire la coda del mostro verso est. Immagino sulla vetta al tramonto che cosa mi aspetterà...

Vista sul villaggio di Gokyo dalle pendici del Gokyo Ri

Nonostante un acclimatamento ormai buono, la salita è comunque massacrante a causa dell'altitudine comunque elevata e di un forte e costante vento contrario. E poi dopo una decina di giorni di intenso trekking d'alta quota, un po' di stanchezza comincia a farsi sentire...

Dopo due ore e mezza ed un polmone in meno, sono in cima, circondato dalle solite bandierine di preghiera lung-ta svolazzanti ed impazzite in preda ad un vento gelido fortissimo, che non so come non faccia a strapparle.

Rimango sbalordito, pelle d'oca e lacrime di commozione. Silenzio totale, solo il vento che ulula, ti schiaffeggia il viso e ti paralizza le mani, anche con i guanti. Sono davanti ad un capolavoro assoluto della natura, di inconcepibile ed inenarrabile splendore: il panorama alpinistico più bello dell'Himalaya e probabilmente del mondo, signori e signore, è qui, sulla vetta del Gokyo Ri. Praticamente si è al centro di un semicerchio e sulla semicirconferenza, a 180 gradi abbiamo le vette più alte del pianeta: nell'estremo ovest a sinistra si trova il bellissimo Cho Oyu (8.201 m) e poi via via procedendo verso destra, il Gyachung Kang (7.952 m), l'Everest (8.848 m), il Nuptse (7.864 m), il Lhotse (8.516 m) ed il Makalu (8.463 m) che rappresenta l'8.000 più ad est... e poi tanti altri 6000 e 7000 “secondari” (tra virgolette doverose!) come il Pumori, l'Ama Dablam, il Baruntse, il Cholatse, il Thamserku, il Kangtega... Sono ben visibili in particolare, 4 delle prime 6 vette più alte del mondo, ovvero Everest, Lhotse, Makalu e Cho Oyu, restando fuori solamente K2 (8.611 m) e Kangchenjunga (8.586 m), ovvero rispettivamente la seconda e la terza montagna più alta del pianeta. Insomma, i colossi dell'Himalaya sono quasi tutti qui! La vista spazia poi su tutto il ghiacciaio Ngonzumpa, che parte da sotto il Cho Oyu ad ovest e scompare tra le nuvole all'orizzonte ad est... e poi le acque cristalline del lago III di Gokyo e le casette del villaggio che da quest'altezza sono solo puntini colorati... E' semplicemente pazzesco, un panorama strappalacrime unico al mondo, ai limiti dell'irrealtà.

Anche se è possibile ammirare l'Everest molto più da vicino dal Kala Pattahr dove ci si trova di fronte alla parete sud, probabilmente il panorama himalayano più suggestivo in assoluto è proprio questo qui sulla sommità del Gokyo Ri: la visione è addirittura superiore a quella dell'altro lato della valle del Khumbu, in quanto meno ravvicinata ma ben più vasta.

Il panorama alpinistico più bello del mondo

Rimarrò in vetta 2 ore buone a gelarmi ed a cercare di resuscitare la batteria del telefono crollata a zero a causa della bassa temperatura, abbondantemente sotto zero, nel tentativo di immortalare il tramonto più bello del mondo. Alle 5 e 30 il sole inizia a calare, colorando l'Everest e le montagne intorno di sfumature rosa ed inghiottendo a poco a poco il giorno.

«Yes, I know. Once in a lifetime...» mi dirà una ragazza olandese quando i nostri sguardi con vista sul fantasmagorico tramonto si sono incrociati.

Nascondo la terza ed ultima foto di mio nonno in una nicchia riparata, coprendola con sassi e pietre: rimarrà lì per sempre. Missione compiuta nonno. Kala Patthar, Campo Base e Gokyo Ri. In 10 giorni soltanto. Comincia il viaggio di ritorno a Kathmandu.

La discesa dal Gokyo Ri è meravigliosa, io e la ragazza olandese, al buio, con la torcia manuale che illumina il cammino e la luna che risveglia dalle tenebre le nevi perenni delle montagne. Sono al settimo cielo, enormemente felice e soddisfatto per aver portato a termine il mio folle cronoprogramma. Posso così confermare per telefono alla Yeti Arlines il volo di rientro Lukla-Kathmandu del 6 dicembre.

Il giorno 11 del trekking, 4 dicembre 2019, comincia il viaggio di ritorno, sparato in basso. Ora non ci sono più tappe di acclimatamento da rispettare e posso coprire i 2.000 metri di dislivello della tratta Gokyo-Namche Bazaar, in 10 ore. Sveglia all'alba dunque, visita al laghi di Gokyo I e II e giù in picchiata, anche se poi a ridimensionarmi ci pensano salite improvvise durissime e spaccagambe come quella per Mong-la, minuscolo ed assai caratteristico paesino a 4000 metri immerso nella solita cornice naturale fantascientifica, con al centro un grande ed antico stupa bianco. Se è vero, Mong-la e Phortse a parte, che i villaggi sherpa più belli e pittoreschi stanno nella mappa del trekking a destra dopo Namche Bazaar, comunque i paesaggi ed i panorami della regione del Khumbu a sinistra della mappa verso Gokyo non hanno nulla da invidiare agli altri a destra: foreste di conifere, rododendri colorati, vegetazione rigogliosa, bellissime cascate... e poi i soliti allevamenti di yak soprattutto a Dole e Macchermo, i campi di patate, i chörten ed i rulli di preghiera da girare... la vista strepitosa di Phortse sotto l'Ama Dablam...

A Sanasa, poco prima di Namche, quasi al tramonto, mi volto indietro e vedo la Dea per l'ultima volta in questo viaggio, vicino al Lhotse ed all'Ama Dablam. Ciao Sagarmatha, magari un giorno ci rivedremo... chissà, forse in qualche spedizione alpinistica... lo spero proprio.

Arrivo a Namche la sera del 4 dicembre che è quasi buio. Le gambe urlano di fatica e l'acido lattico ce l'ho fin su il cervello... solamente questa mattina ero a Gokyo! Il cronoprogramma voglio rispettarlo alla lettera fino in fondo, così supero un paio di yak fermi in mezzo ad una stradina del centro di fronte alla Siddharta Bank, scendo un centinaio di metri costeggiando una caratteristica via di negozietti e ristorantini, saluto un asino parcheggiato davanti alla porta d'ingresso ed entro dentro l'Irish Pub più alto del mondo. Gokyo-Irish Pub di Namche Bazaar no stop, in 10 ore. Pauroso. Siccome però non ricordo bene quello che dovevo fare dentro al pub, vado a riprendere quanto scritto nel primo post sul Nepal, riguardo al giorno 11 del trekking.

4 DIC - Giorno 11: Ritorno in picchiata, Gokyo-Namche Bazaar; pernottamento a Namche e sbornia colossale per festeggiare.

Ah già!!!! E così, ordino una tonnellata e mezzo di birra, rigorosamente di marca... Everest! Che felicità... Credo siano state le birre più buone della mia vita. Una sbornia a 3500 metri d'altezza andava provata una volta nella vita! Esco dal pub barcollando, le stradine ormai sono deserte ed in giro non c'è più nessuno... tranne l'asino che è ancora lì fuori, legato ad un palo con una corda. Lo accarezzo; non me lo ricordo molto bene, ma credo anche di averci scambiato due chiacchiere: avevo un gran bisogno di raccontare a qualche essere vivente tutto il turbine di emozioni provato in questi giorni e nessuno dei ragazzi locali dentro al pub parlava inglese...

La mattina successiva, dodicesimo ed ultimo giorno di trekking per il rientro a Lukla, mi sveglio con un bel cerchio alla testa, ma non credo stavolta fosse dovuto al mal di montagna.

Birra all'Irish pub di Namche Bazaar, di marca... Everest!

Esco dal Sagarmatha National Park (SNP) nel “gate” di Monjo in tarda mattinata: le guardie, chiedendomi come fosse andata, rimarranno sbalordite nel vedere le mie foto del Kala Patthar, dell'EBC e di Gokyo con l'ingresso al parco timbrato 24 novembre. Già, ce l'ho fatta...

Anche l'aeroplano per la capitale nepalese partirà in orario e riuscirà a decollare dalla pista più pericolosa del mondo buttandosi letteralmente nel vuoto alla fine dei famosi adrenalinici 527 metri in discesa. Sono a Kathmandu alle 8 di mattina del 6 dicembre 2019. E' andato davvero tutto come meglio non potevo immaginare.

Promessa rispettata nonno. Come detto in chiesa, ho seguito la via che mi hai indicato verso la Dea Madre dell'Universo e ci siamo visti e salutati per l'ultima volta, lassù, in alto: al Campo Base, in cima al Kala Patthar e sulla vetta del Gokyo Ri. In ciascuno di questi 3 posti ho nascosto una tua foto: rimarrai per sempre lì, dove osano solo le aquile.

Ho fatto un miracolo, in soli 12 giorni, un giro che normalmente ne richiede 20: 12 splendidi giorni di trekking spaccagambe di alta quota, anche 10 ore al giorno, tra paesaggi himalayani di inimmaginabile bellezza, di notti ipossiche ed insonni in luride ghiacciaie a - 20, di mal di testa e nausee dovuti alla carenza di ossigeno... di emozioni estreme. Pura felicità. Pura vida.

Diversi giorni nuvolosi e nebbiosi come è normale che sia sopra i 5000, ma ogni volta che avevo di fronte la Dea Madre dell'Universo, il cielo era sempre incredibilmente terso e limpido. Ho foto strepitose. Grazie Sagarmatha. Grazie nonno per questo viaggio sbalorditivo. Riposa in pace.