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Il corallo colosseo di Bangka

Il Coral Eye nell'isoletta corallina incantata di Bangka nel Sulawesi è la prima tappa di un lungo ed avventuroso viaggio che a giugno 2016, ci porterà a scorrazzare per mezza Indonesia, da Bali all'arcipelago di Komodo, fino addirittura alla Cenderawasih Bay della Papua Indonesiana per immergerci con l'unica popolazione stanziale al mondo di squali balena. Gaby ed i bambini torneranno in Italia, mentre come spesso accade, io proseguirò in solitaria il viaggio nel sud est asiatico fino ad arrivare in Cambogia per visitare i campi di sterminio di Pol Pot ed i magnifici templi di Angkor Wat... che tuttavia mi lasceranno un bel ricordino: tornerò in Italia mezzo cadavere per via della dengue che mi costringerà al ricovero d'urgenza e mi darà molti problemi per quasi un anno. Gaby, Leonardo e Maya a fine luglio partiranno poi per il Messico. Un'estate dunque, sicuramente molto, molto intensa, tanto per me, quanto per i miei bambini, che vivranno esperienze bellissime, passando da immersioni con enormi coralli millenari e pescioni di 10 metri, ai draghi di Komodo, dai templi indù di Bali alle piramidi del Sole e della Luna di Teotihuacan. Tutto ben raccontato nel diario di viaggio di Maya della prima elementare.

Per Leonardo e Maya valgono più queste cose indubbiamente che 100 libri di scuola. Io, i miei soldi li spendo e li ho sempre spesi così: in conoscenza, viaggi e cultura. Di una BMW fiammante o di un paio di scarpe firmate non me ne faccio davvero nulla.

Manado, tra chiese e spazzatura

Nel triennio 2015-2018 viaggiare nel sud est asiatico era incredibilmente economico: si trovavano voli per Jakarta o Bangkok da Roma, andata e ritorno con la Qatar o la Emirates, anche a 300 euro. Ed io ne ho approfittato alla grande, concentrando proprio in quel triennio la maggior parte delle mie scorribande in Asia, in famiglia e spesso in solitaria.

L'Indonesia è un paese gigantesco, addirittura transcontinentale: appartiene sia all'Asia che all'Oceania trovandosi ai due lati della linea di Wallace. Oltre 17.000 isole molte delle quali disabitate, si estendono su una distanza paragonabile a quella esistente tra Italia ed India, in una mezzaluna di oltre 5000 km lungo l'equatore, a formare il maggior arcipelago del pianeta. L'Indonesia è praticamente l'epicentro della vita marina sul pianeta, essendo posizionata proprio al centro del triangolo dei coralli ed ospitando alcune delle più belle ed incontaminate barriere coralline del mondo: l'arcipelago di Komodo, Raja Ampat, il Sulawesi con Bunaken e Lembeh rappresentano indubbiamente 3 dei migliori diving spots del mondo, che non potevano mancare nel mio palmares di subacqueo. Ma immersioni a parte, l'Indonesia è comunque il paese del sud est asiatico che preferisco: ho un feeling particolare col suo splendido popolo sempre sorridente, così semplice e genuino, disinteressato ed assolutamente ancora non contaminato dal turismo e dal dio denaro; nulla a che vedere con i thailandesi o vietnamiti, dei quale non ho assolutamente bei ricordi. Purtroppo però la comunicazione con i locali è davvero difficile se non impossibile e questo limita l'interazione all'essenziale mediante amichevoli gesti di cortesia, sorrisi, schizzi e disegni su fogli di carta per chiedere indicazioni, risate, pacche sulle spalle e strette di mano: nessuno, ma proprio nessuno parla inglese, spesso neppure nei luoghi più turistici come Bali. Con tutte le volte che sono stato in Indonesia, mi sa tanto che mi conveniva impararla la lingua! Dicono tra l'altro sia grammaticalmente abbastanza semplice perché quasi primitiva: non esistono coniugazioni, tutti i verbi sono all'infinito ed il vocabolario è piuttosto limitato.

Il primo impatto con l'Indonesia non è proprio dei migliori: Manado. Sostanzialmente una gigantesca bidonville con alcuni quartieri di palazzi residenziali e grattacieli poco più moderni. Una città davvero brutta e sporca, inquinata all'inverosimile a causa del traffico e della quantità assurda di vecchi motorini circolanti. E' un posto assolutamente privo di interesse: qui si viene praticamente solo per visitare le splendide isole dell'arcipelago del Sulawesi ed immergersi nel parco marino di Bunaken e nello stretto di Lembeh.

Un mucca al pascolo a Manado nel Sulawesi indonesiano

Capisco immediatamente qual è l'enorme problema di questa città, che è un po' l'enorme problema di tutto il mondo, in particolare dei paesi poveri dell'Asia e dell'Africa: la spazzatura, soprattutto la plastica. La plastica è davvero dovunque, in mucchi improvvisati, per terra, ai lati della strada, ed inevitabilmente finisce in mare: bottiglie, buste, piatti e posate usa e getta, imballaggi, vecchie scarpe e vestiti, valigie, cannucce, recipienti ed oggetti vari che nessuno raccoglie. Impossibile, d'altronde: sarebbe come svuotare il mare con un secchiello. I bambini giocano nella spazzatura e con la spazzatura, le vacche brucano l'erba scansando col muso bottiglie di coca cola e sputando i cotton-fioc ingurgitati. Ogni cosa in vendita è basata su plastica monouso e packaging esagerato. Al supermercato compri 5 piccoli oggetti e ti danno gratis 4 grandi buste, ovviamente non biodegradabili. E poi quegli incredibili bicchierini di plastica tappati di acqua potabile monouso! Sono dappertutto in Asia, si vendono dovunque... un sorso e si butta il bicchiere. Ovviamente per terra, o in spiaggia. O al mare. Una follia totale alimentata ogni giorno dalla pubblicità: enormi cartelloni per le strade di Manado, invitano a bere dai minuscoli bicchierini superigienici, l'acqua più pulita dell'Indonesia per purificare il proprio corpo e la propria anima. Ed ora posso solo immaginare, dopo il delirio mondiale del Covid, la distesa infinita nelle strade e nelle spiagge di museruole e bavagli.

Una spiaggia indonesiana piena di spazzatura

L'Indonesia è un paese molto povero e dove c'è povertà diffusa, inevitabilmente c'è anche scarsa cultura e coscienza ecologica. Gli scempi ambientali, marini e terrestri, come scritto nel post sull'Amazzonia in cui ho introdotto il "Teorema del Libero Battitore" della teoria dei giochi di John Nash, sono causati dal fatto che i beni pubblici non sono percepiti come propri ma considerati come liberi da sfruttare prima che lo faccia qualcun altro. Le persone, impegnate nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, oltretutto se ne fregano se le bottiglie di plastica finiscono in mare ed i loro figli giocano nella spazzatura e respirano veleni; hanno problemi ben più importanti ed impellenti a cui pensare ed i concetti di riduzione, riutilizzo e riciclo gli sono lontanissimi. Inoltre, il bombardamento pubblicitario che crea costantemente nuovi e falsi bisogni, soprattutto nei più giovani, è martellante e così, anche nella povertà estrema, si è sviluppato uno spaventoso consumismo ossessivo compulsivo, l'usa e getta è entrato nella cultura popolare e diventato sinonimo di igiene, comodità ed efficienza. Per l'ambiente però, il tutto si traduce in un disastro di proporzioni inimmaginabili.

Tra l'altro, il disordine urbano, la bruttura, la puzza, l'inquinamento diffuso e la spazzatura ovunque, generano, per le teoria ultraverificata "delle finestre rotte" sviluppata nel 1982 da James Wilson e George Kelling, fenomeni di emulazione negativa con un meccanismo a cascata che determina ulteriore inevitabile tendenza al degrado, comportamenti anti-sociali e deturpazione dei luoghi e del bene pubblico. Tanto così fan tutti. E colpa di tutti, significa alla fine colpa di nessuno.

Il problema della plastica nei paesi del sud est asiatico ha oramai assunto proporzioni gigantesche, assolutamente fuori controllo e per capirlo è sicuramente più utile il seguente video che 10.000 altre inutili parole: un piccolo corso d'acqua nel centro di Manado è talmente sommerso di rifiuti che l'acqua non si vede più. Un video pietoso, che ci va davvero capire che mondo di merda che abbiamo costruito in questi decenni, basato sull'iperconsumo, sullo sfruttamento dell'uomo e della natura.

In tutto il Sud-est asiatico ed in Indonesia in particolare, di discariche ne esistono poche e tutti ma tutti buttano la spazzatura a pochi metri da dove vivono. E' considerato assolutamente normale e quando la montagna di rifiuti ha raggiunto dimensioni ragguardevoli, si butta un po' di benzina e si incenerisce, magari vicino pure a boschi, acuendo i già gravissimi problemi di deforestazione causati da piantagioni di olio di palma. Ogni tanto nei cieli di Manado si vede salire una colonna di fumo nera e l'orribile puzzo di plastica bruciata avvolge tutto e si aggiunge al puzzo del traffico, creando problemi respiratori e svariate malattie soprattutto nelle fasce più deboli ed indifese della popolazione, bambini ed anziani. Sembra davvero di trovarsi dentro un girone dantesco, una immensa Thilafushi maldiviana, l'inferno ad un passo dal paradiso di Bunaken e delle sue isolette incantate.

La spiaggia di Nabire nella papua indonesiana: plastica ovunque

Chi vive vicino alla costa, ovviamente utilizza la spiaggia ed il mare quale posto preferito dove andare a gettare plastica e qualsiasi altra immondizia perché ha a disposizione una pattumiera praticamente infinita a costo zero. La spazzatura sulle spiagge è una caratteristica tipica dei paesi asiatici ed africani, spesso riguarda anche località assai remote e distanti da città, ma quello che ho visto sulle spiagge di Manado e nel suo mare, mi ha lasciato senza fiato ed estremamente turbato. Il panorama in alcuni casi è avvilente, terrificante. Ed il problema riguarda anche l'area marina protetta di Bunaken: spiagge paradisiache di incantate isolette al largo del capoluogo del Sulawesi, possono trasformarsi ad un cambio di vento, di correnti e condizioni del mare, in vere e proprie discariche a cielo aperto scioccando i moltissimi turisti che affollano i resort dell'area. Paradossalmente una delle migliori mete subacquee del mondo è anche il mare con più spazzatura al mondo. Come possano coesistere queste cose è un mistero. Più volte in immersione ho visto e provveduto a rimuovere nella barriera corallina assolutamente integra ed immacolata, sacchetti di plastica incastrati tra coralli: sono proprio le buste di plastica trasparenti a determinare una vera e propria strage di tartarughe che le inghiottono probabilmente scambiandole per meduse e confondendo gli odori della plastica con quelli del cibo. Spesso nelle spiagge asiatiche viene trovato qualche capodoglio spiaggiato, morto soffocato o ancora agonizzante, con lo stomaco pieno di ogni genere di monnezza: che tristezza.

Un combi mezzo scassato ci porta nella punta estrema nord-orientale del Sulawesi dove prenderemo una barca per Bangka. Attraversiamo una giungla impenetrabile, a tratti disboscata per far spazio a coltivazioni di olio di palma, altra piaga dell'Indonesia che ha mandato in fumo quasi l'intero Borneo. Incontriamo villaggi poverissimi, praticamente un insieme di baracche di cartone e lamiera; i bambini indonesiani giocano scalzi nel fango e ci corrono incontro festanti sbracciando le mani. Una cosa salta subito all'occhio, a parte la gioia estrema dei bambini e la genuinità del popolo: la quantità impressionante di chiese. Sono ovunque e numerosissime, delle dimensioni più disparate, da quella piccola, appena visibile, diversa dalla baracca di lamiera solo perché in mattoni e con una croce in alto, a quelle più grandi; alcune sono pacchiane, molto grandi, irragionevolmente grandi considerando le poche abitazioni che le circondano, e molto colorate. Molte sono in costruzione. La zona del Sulawesi di Manado è infatti l'unica regione indonesiana a religione cristiana in un paese quasi totalmente musulmano. E qui, cosa che mi è stata confermata da più persone, ogni famiglia cerca di fondare la sua chiesa: si indebitano a tal punto da non aver più da mangiare e fanno l'elemosina, "buttando" in questo modo tutti i risparmi di una vita. A volte anche nella stessa chiesa, litigano e si separano ulteriormente, anche ideologicamente generando grande proliferazione di sette religiose che cercano continuamente adepti. Il fanatismo religioso è relazionato spesso a contesti di bassa cultura e povertà diffusa: credo che il sistema capitalista sfrutti abilmente la fede genuina dei popoli per sopprimere in loro ogni slancio rivoluzionario di cambiamento, anestetizzando le coscienze mediante un potentissimo oppiaceo che giustifica tutti i mali di questa terra e li rende inevitabili ed ineliminabili, tanto poi c'è la giustizia divina che aggiusta tutto. E così, gli indonesiani del Sulawesi, sempre più poveri, continuano a buttare la plastica in mare e costruire sempre più chiese. Chiese e spazzatura: il ricordo che mi porterò sempre dietro di Manado.

Isola di Bangka, il Coral Eye ed il suo "corallo colosseo"

Dopo un paio d'ore di camel trophy arriviamo ad una spiaggia di sabbia nera di un paesino di pescatori, anch'essa abbastanza piena di rifiuti. Inizio ad esser davvero dubbioso del luogo scelto. Ed invece in poco meno di una mezzoretta di barca, arriviamo nel paradiso di Pulau Bangka.

Un'isoletta di quelle che piacciono a me: lontanissima dal turismo di massa, molto piccola, circa 12 Km per 7 ed abitata da poche centinaia di pescatori che vivono in un villaggio tipicissimo di nome Lihunu, raggiungibile solo attraverso un cammino nella fitta ed umida giungla tropicale. A Bangka non esistono strade e macchine ma solo sentieri nella foresta impenetrabile, non esistono resort di lusso, nonostante le spiagge siano magnifiche e soprattutto totalmente deserte; l'acqua è trasparente ed i fondali sono assolutamente strepitosi con un reef a pochissime bracciate a nuoto dalla riva, davvero sicuro per assenza di pericolose correnti e in ottimo stato di conservazione, ricchissimo di pesci e coralli, molti dei quali giganteschi e millenari. Nessun segno di coral bleaching.

Il pontile del Coral Eye nell'isola di Palau Bangka nel Sulawesi

Non sono molti i luoghi del mondo che posseggono tali requisiti da sogno: se poi si è ospiti di una graziosa struttura in riva al mare, discreta e sobria, ecologica ed economica, con annesso diving center, allora hai fatto bingo. Affacciato su una lunga e bellissima spiaggia orlata di palme e totalmente immerso nella foresta pluviale, il Coral Eye è un centro di ricerca di biologia marina che accoglie ricercatori e studenti in tesi di laurea e che si finanzia ospitando poche unità di viaggiatori alternativi, principalmente subacquei ed appassionati di snorkeling, alla ricerca di un contatto intimo e solitario con madre natura.

Un’unica, spaziosa, un po' strana ed insolita struttura piramidale in legno su due livelli, aperta sui lati, ospita tutti gli ambienti comuni come sala ristorante, bagni, area relax e lettura; le camere sono al secondo livello, piccole e confortevoli, spartane e minimaliste, dall’arredamento curato ed essenziale. Il lusso è inutile in paradiso, basta il buon gusto.

La struttura del Coral Eye

L’atmosfera è rilassata, più che ospiti ci si sente parte di una famiglia anche perché si cena tutti insieme intorno al grande tavolo quadrato centrale, scienziati e viaggiatori in un fantastico ed unico interscambio culturale. Il proprietario della struttura è Marco, un giovane biologo italiano, oramai trapiantato in Indonesia con la sua fidanzata Ilaria. Lo aiutano nella gestione della struttura ricercatori, studenti ed un gruppo di ragazzi indonesiani del vicino villaggio, che si occupano di manutenzione generale delle strutture e delle barche nonché dei servizi generali di cucina e pulizia; sempre con il sorriso a 32 denti che non li abbandona mai in tutto il giorno. E ci credo pure! A Bangka, lo stress non esiste. Nemmeno loro però parlano una parola di inglese, nonostante giornalmente siano in contatto con persone da tutto il mondo.

Il grande tavolo quadrato dove si mangia tutti insieme, ospiti e ricercatori

Il Coral Eye è un autentico paradiso riservato a pochi ospiti perché la struttura è piccola, così praticamente in spiaggia ci si ritrova quasi sempre totalmente soli. Un lungo pontile di legno permette di superare la barriera corallina e buttarsi in mare anche in caso di bassa marea: il reef si estende per centinaia di metri lungo tutta la lunghezza della spiaggia, a pochissime bracciate dalla riva. L'acqua è calda e cristallina, sono assenti meduse e correnti. Spettacolare! A pochi metri dalla riva ci sono formazioni coralline pazzesche, alcune davvero enormi e ultracentenarie.

Leonardo nuota vicino al suo "corallo colosseo"

Leonardo ha avuto anche l'onore di “battezzare” con un nome bellissimo il corallo gigante che si trovava vicino al pontile a pochi metri dalla riva. Da quel momento in poi e per tutta la nostra permanenza, ma credo anche successivamente, quel corallo gigante non sarà più chiamato col suo nome scientifico Porites Lobata: per tutti, ospiti e ricercatori, il suo nuovo nome, bellissimo, sarà... "corallo colosseo" . Effettivamente, mai nome fu più azzeccato: la struttura corallina, davvero gigantesca con i suoi oltre 3 metri di diametro, ha una forma toroidale quasi perfetta che ricorda l'anfiteatro Flavio romano.

Leonardo e Maya adorano il mare e non potrebbe esser altrimenti essendo nati e cresciuti a San Beach. Chiunque l'ha visti da piccolini al mare o in piscina, rimaneva letteralmente sbalordito dalle loro capacità natatorie. Non hanno mai avuto paura di nulla e così io ho stimolato all'inverosimile questo loro lato così acquatico. Già a due anni li portavo al mare in acqua altissima, lasciandoli soli a dimenarsi ed immergersi, tra il terrore generale delle altre mamme presenti a riva... a 3 anni praticamente erano totalmente autonomi e si immergevano in apnea. Credo che qui al Coral Eye, siano stati a mollo non meno di 6-7 ore al giorno, ovviamente senza crema solare, assai dannosa per il reef. A breve diventeranno anche sub, rigorosamente DIR style e configurazione hogartiana. Sarà meraviglioso un giorno immergersi tutti e 4 insieme! Magari a Batu Bolong o Raja Ampat...

La bellissima spiaggia del Coral Eye

Le giornate trascorrono veloci, tra splendide immersioni, passeggiate in solitaria nella spiaggia, escursioni nella fitta giungla tropicale, relax nelle amache posizionate tra le palme, incontri con i ricercatori ed interessantissimi scambi culturali. Prima di cena, i ricercatori illustrano il loro lavoro oppure effettuano interessantissime lezioni di biologia marina, ovviamente adeguando il livello della discussione all'età ed al livello di conoscenze degli ospiti presenti. Maya e Leonardo non si perderanno una lezione: impareranno tantissimo da Davide, giovane biologo volontario del Coral Eye che stava portando avanti nei laboratori del centro un progetto di ricerca sugli effetti delle creme solari sulla salute dei coralli. Povero Davide... le sue conoscenze sugli squali saranno messe a durissima prova da Leonardo e Maya, grandi appassionati del tema ed ora eccitati più che mai: sapevano che qui in Indonesia ne avrebbero incontrati diversi, non tanto qui nel Sulawesi quanto soprattutto a Komodo...

Bambini, cani ed adulti a lezione serale da Davide. Argomento preferito? Gli squali!

A cena, inevitabilmente si finisce a parlare dei massimi sistemi e del presente e futuro del Coral Eye. Il centro ha una politica di plastica zero, anche perché tutti gli inevitabili rifiuti devono esser inceneriti. Non hanno infatti alternative: in Indonesia non esiste raccolta differenziata e se la spazzatura la trasferiscono a Manado, poi in città la gettano in mare oppure la inceneriscono. Tanto vale dunque che lo fanno loro, anche se il luogo dell'inquinamento è solamente spostato: dal mare all'aria. L'elettricità è prodotta mediante un piccolo generatore a benzina per poche ore giornaliere. Illustro a Marco la possibilità di rendere il tutto ad impatto zero utilizzando solare e microeolico dal momento che sole e vento ne hanno davvero in abbondanza, e gratis. Con un sistema di accumulo in batterie sarebbe davvero semplicissimo ottenere l'autosufficienza energetica, limitando il generatore alla sola carica delle bombole per le immersioni. In due secondi faccio anche una stima di massima della potenza necessaria, dei costi grossolani e del posizionamento possibile del tutto, ben nascosto dalla vegetazione. Effettivamente è da tempo che ci pensano, ma hanno sempre temporeggiato perché certezza del futuro non ce n'è: sull'isola c'è una miniera d'oro illegale che i cinesi vorrebbero sfruttare intensivamente, acquistando l'intera Bangka dal corrotto governo indonesiano. Oramai il controllo cinese di tutta l'Africa e di tutto il sud-est asiatico è totale. Se il progetto cinese andrà in porto, il Coral Eye sarà costretto a chiudere e per il meraviglioso reef probabilmente non ci sarà più speranza di sopravvivenza. Dopo centinaia e centinaia di anni di crescita, calcificazione e riproduzione ininterrotta dei polipi corallini, la barriera sbiancherà e morirà a causa degli inevitabili sversamenti chimici in mare. Marco ed Ilaria mi dicono che al momento è in corso una dura battaglia legale, ancora lungi dall'esser vinta. Incrociamo le dita.

Esposizione di coralli e pannelli esplicativi al Coral eye

E le immersioni nei fondali del Sulawesi? Fantastiche! La barriera è davvero in eccellente stato di conservazione, le formazioni coralline sono varie e coloratissime, davvero strepitose, eccezionali per qualità e quantità, oltretutto con visibilità eccellente. Le aspettative subacquee dunque non sono state assolutamente disattese, anche se forse mi sarei aspettato più pesce pelagico di grande taglia. Ma qui nel Sulawesi si viene principalmente per la "muck dive" e la fotografia “macro”, alla ricerca di organismi piccolissimi, stranissimi e coloratissimi come molluschi, nudibranchi, cavallucci marini, rhinomurene e tanto altro: il Sulawesi in questo, è forse il miglior posto del mondo. Se si vuole abbinare a tutte queste incredibili caratteristiche, anche l'abbondanza di pelagico di grande taglia, occorre spostarsi negli incredibili arcipelaghi di Komodo e Raja Ampat, per quanto mi riguarda, insieme anche a Tubbataha nelle Filippine, la mecca assoluta della subacquea mondiale.

Il villaggio indonesiano di Lihunu si trova a circa mezzora di marcia dal Coral Eye: si deve attraversare la giungla tropicale di Bangka, facendo ben attenzione a non smarrire il sentiero presente per non perdersi. In paese, al solito con più chiese cristiane che baracche, tutti impazziscono per Leonardo e Maya e chiedono foto con loro... sarà una costante di ogni viaggio in Indonesia ed in molti altri luoghi del mondo che faremo al di fuori dei percorsi turistici usuali, dove non sono abituati a vedere occidentali, figurarsi bambini...

Passeggiando nel villaggio di Lihunu a Palau Bangka

In particolare Maya con i suoi ricci verrà letteralmente presa d'assalto perché in Indonesia, maschi e femmine, hanno tutti i capelli lisci ed a spaghetto. I suoi capelli saranno toccati, manipolati, fotografati, ammirati in ogni modo possibile... tornerà con i pidocchi e solo Gaby sa quanto sarà difficile eradicarli completamente!

Camminiamo per il paese e tutti i bambini ci seguono in processione, simpaticissimi! Gli isolani ci aprono le loro case, offrendoci ospitalità e sorrisi, manco fossimo una delegazione di parlamentari indonesiani o vescovi della chiesa cristiana. Ci porteranno ad un matrimonio di due giovani locali, in un tendone sorretto da 4 pali di legno: due maiali faranno una brutta fine, arrostiti e rosolati per benino, diventando succulento cibo per i paesani in festa.

Bambini sorridenti di Lihunu alla festa di matrimonio del villaggio

Selfie con i meravigliosi bambini di Lihunu a Bangka

Se c'è una cosa che colpisce del popolo indonesiano è come la povertà, a volte l'estrema miseria, si accompagni sempre a grande dignità e tanta, tanta felicità. Il popolo indonesiano, mi ha sempre messo il buonumore! Nessuno vuole denaro da te o qualcosa in cambio, il popolo è davvero genuino e buono, ogni aiuto è sempre assolutamente disinteressato, cosa che nel sud-est asiatico ho notato solamente qui e nel Laos. E poi i bambini che spettacolo!

Però basterebbe davvero poco per migliorare il degrado e la sporcizia in cui vivono. Non so, pitturare casa, costruire una staccionata, impedire agli animali, maiali, galline e cani di entrare in casa, non gettare la spazzatura nel cortile... non conoscono la teoria delle finestre rotte...

L'ultimo giorno al Coral Eye ci riserverà una sgradita sorpresa. Le condizioni meteo durante la notte cambiano, il mare si alza. Pioggia a dirotto. Ci sarà addirittura un fortissimo terremoto alle Molucche, fortunatamente senza conseguenze perché in area disabitata. D'altronde l'Indonesia è un paese vulcanico ed estremamente soggetto a violenti terremoti. Ci alziamo la mattina e lo spettacolo è davvero brutto: la spiaggia è piena di rifiuti portati dal mare, la spazzatura di Manado. E così, le 2-3 ore prima della partenza fissata a mezzogiorno, saranno dedicate, bambini compresi, alla raccolta della plastica ed alla pulizia della spiaggia. Salutiamo così il Coral Eye, raccogliendo monnezza.

Ciao Marco, ciao Ilaria, speriamo un giorno di rivederci. Sperando che i cinesi, dopo l'intera Africa e gran parte del sud-est asiatico, non abbiano mangiato anche Palau Bangka ed suo “occhio sui coralli”.

La plastica, una piaga planetaria

La plastica probabilmente è stata una delle grandi invenzioni della storia peggio utilizzate dalla bestia umana: celebrata sin dal primo momento, per la sua estrema versatilità d’uso e l'economica produzione, ben presto si è trasformata, a causa di un uso assolutamente folle, scriteriato e scellerato, in una vera e propria piaga e minaccia planetaria: dalle fosse più profonde degli abissi oceanici alle vette più immacolate, ai ghiacci dei poli, oramai la plastica è stata rilevata ovunque; è presente all’interno di batteri, addirittura in organismi unicellulari, nello stomaco dei pesci e dei mammiferi… uomo ovviamente incluso. E' talmente diffusa in natura che è stata proposta come nuovo indicatore stratigrafico dell'Antropocene.

Del resto, tutti i nodi prima o poi vengono al pettine e l’enormità del problema che l'umanità avrebbe dovuto fronteggiare, era facilmente prevedibile fin dagli anni '60. Si è preferito, esattamente come ad esempio nel caso dell'energia nucleare, tirare a campare e girare la faccia dall'altra parte, scaricando il problema sulle generazioni successive: per decenni abbiamo usato (male) e sprecato, un materiale dalle incredibili proprietà, estremamente economico, facile da produrre e con poca energia, molto resistente, non biodegradabile e difficile da smaltire per farne un utilizzo del tutto insensato. Nella maggior parte dei casi, l'alternativa naturale era ed è soltanto leggermente più costosa. Ma il dio denaro vince sempre ed i “costi esterni”, ovvero i costi che non paga il produttore, ma la società intera sotto forma di inquinamento, malattie, disastri ambientali, decommissioning impianti etc... non sono mai inclusi nel bilancio economico globale: in un sistema capitalista i profitti sono privatizzati e le perdite sempre socializzate, esattamente come accade, tornando al precedente paragone, con il nucleare che ancora qualche santone alla Mario Tozzi si ostina a dipingere come fonte più economica e sicura di energia.

La soluzione di tutti i problemi sociali ed ambientali, che non mi stancherò mai di ripetere, vanno sempre a braccetto, non può pertanto essere delegata ai consumatori ed alle aziende, o perlomeno non soltanto a loro, perché essi inevitabilmente, tenderanno sempre a ragionare secondo un’ottica utilitaristica che massimizza profitti e comodità; è indispensabile una forte presa di posizione dal parte delle istituzioni mondiali, anche obbedienti al dio capitalismo e neoliberismo. Perché se muore il pianeta, muoiono anche loro: siamo tutti sulla stessa barca e la loro fede incondizionata alla scuola di Chicago di Milton Friedman di certo non li salverà. Forse solo Elon Musk potrà salvarsi portandosi dietro qualche pezzo di litio del Salar de Uyuni rubato a Morales, perché accenderà i motori del suo razzo spaziale se ne andrà a vivere su Marte.

Il vero dramma è che la maggior parte della plastica che finisce ad inquinare terreni e mari, è costituita da prodotti totalmente inutili come buste per la spesa, ancora utilizzatissime in tutto il mondo, piatti e bicchieri monouso, piccoli contenitori, buste per insalata, verdura e frutta... tutte cose molto facilmente sostituibili con alternative naturali... per non parlare poi di cotton fioc e cannucce, che rientrano tra i rifiuti in assoluto più raccolti lungo le coste di tutto il mondo. Di cannucce ad esempio se ne producono, udite udite, più di un miliardo di pezzi ogni anno. Servono per uno sorso, uno stupidissimo sorso e poi si buttano. Il packaging eccessivo è esploso letteralmente negli ultimi anni con lo sviluppo incontrollato della globalizzazione dei mercati e dell’e-commerce, rappresentando oggi addirittura il 15% di tutta la plastica prodotta. Ed Amazon a tutto pensa, tranne che alle sue decine di milioni di tonnellate di plastica che finiscono in mare. In un mondo giusto, dove la libertà d'impresa è garantita ma vincolata all'interesse pubblico e la tassazione è fortemente progressiva, Jeff Bezos, l'uomo più ricco del pianeta, CEO di Amazon, dovrebbe pagare centinaia di miliardi di dollari di tasse all'umanità, per i suoi guadagni irragionevolmente spropositati e la compensazione delle “esternalità plastiche” alla società. Ed invece, Jeff è campione mondiale oltreché di incassi, anche di mimetismo fiscale perché risiede, guarda che coincidenza, in uno stato americano dove non sono previste imposte sui redditi. Esattamente d'altronde come gli altri due paperoni e controllori del mondo Bill Gates di OMS ed Elon Musk di Tesla e SpaceX. Signori e signore, il capitalismo, in tutta la sua essenza. Questi qui non pagano una lira di tasse. Musk, Gates e Bezos, la triade magica, non paga una lira di tasse. Pazzesco (seguono tante parolacce nella mia mente che però non scrivo, altrimenti dicono che sono volgare).

Ovviamente le tecnologie plastiche sono state anche utilissime all'umanità ed indispensabili per il progresso tecnologico: alcuni prodotti medicali, scientifici e chirurgici ad esempio, non sono realizzabili con altri materiali; ma questi rappresentano soltanto una percentuale trascurabile del totale e potrebbero semplicemente esser smaltiti in modo corretto, anche perché la plastica è tutta riciclabile, ovviamente con costo energetico non nullo.

In moltissimi altri casi, l'utilizzo della plastica potrebbe esser facilmente ridotto o addirittura eliminato. Un esempio su tutti: le bottiglie d'acqua, bibite varie e liquidi in generale. Costituiscono il primo rifiuto mondiale in assoluto, onnipresente in ogni fondale e spiaggia del mondo. Risolto questo problema, già si sarebbe fatto un bel balzo in avanti! L’Italia vanta purtroppo un primato poco invidiabile: nonostante la quasi totalità dei cittadini del bel paese abbiano acqua corrente potabile di ottima e superiore qualità, lo stivale si trova clamorosamente al primo posto in Europa per consumo pro capite di acqua imbottigliata, oltre 200 litri annui, ed è seconda nel mondo solo al Messico, paese però dove soltanto una minima parte della popolazione ha accesso ad acqua pura e sicura da bere.

Eppure a mio avviso, basterebbero due semplicissime azioni per eliminare in un nanosecondo ed in modo indolore le odiose bottiglie plasticose di acqua e di liquidi. Uno: sostituzione della plastica col vetro con vuoto a rendere. Due: una sola ricerca scientifica indipendente che dichiarasse e mostrasse in modo incontrovertibile la pericolosità ed i rischi dell’acqua contenuta nella plastica, orientando fortemente l'opinione pubblica, con i media che ripropongono la notizia nei tg e nei giornali in modo asfissiante e martellante; lo sanno fare bene, molto bene d'altronde, quando ne hanno interesse e sono ben pagati dal grande capitale finanziario e farmaceutico internazionale... la loro incredibile potenza di fuoco l'abbiamo vista all'opera proprio ora, agosto 2021, momento in cui scrivo, nella vergognosa campagna pro vax per il Covid, basata scientificamente tra l'altro sul nulla più assoluto e la menzogna reiterata.

Sarebbe così facilissimo dimostrare che calore e raggi solari favoriscono il trasferimento alla bevanda e dunque al corpo umano di molecole presenti nel contenitore come ftalati e bisfenolo A, composti piuttosto pericolosi, veri e propri "impostori molecolari" come direbbe la Dottoressa Martina Capriotti, perché si comportano da interferenti endocrini con effetti particolarmente nocivi sulla nostra salute. Ma ovviamente nessuno osa fare una ricerca del genere e dargli grande visibilità mediatica perché sarebbe impalato vivo dalle aziende di settore. In questo mondo al contrario è il capitalismo che domina la politica ed il vantaggio del privato che prevale sul pubblico, non il contrario come dovrebbe essere e così, spiacente deludere tutti i fedain della scienza prezzolata, la verità scientifica viene (quasi) sempre dopo l'interesse economico; il settore farmaceutico ne è la prova più grande.

Una volta orientata l'opinione pubblica e sostituita la plastica col vetro, il problema è risolto molto facilmente introducendo un semplice e banale meccanismo che sensibilizza e responsabilizza il cittadino generando meccanismi virtuosi a cascata. Inutile impazzire cercando di rendere la plastica biodegradabile mantenendo il modello attuale iperconsumista, magari aumentando di pochi punti la percentuale di riciclo... Occorre cambiare radicalmente modo di ragionare, passando da un economia lineare, come quella attuale ad un'economia circolare, ripensando i concetti di sviluppo e crescita; l'idea stessa di crescita costante a prescindere è d'altronde una follia totale in un mondo dalle risorse finite, a cui possono credere solo gli economisti bocconiani e i liberisti del PD. A volte le soluzioni migliori vengono dal passato. I nostri nonni non sbagliavano mai, erano un modello di parsimonia ed attenzione all'ambiente proprio perché il loro mondo era basato su un paradigma differente, non consumistico. Recupero e riutilizzo, non riciclo. Raramente ho visto i miei nonni buttare qualcosa... la soluzione a mio avviso è banalmente il sistema del vuoto a rendere, un'idea che ha esattamente cento anni, perché fu introdotta dalla Coca-Cola nei primi anni ‘20, quando la bibita era venduta in bottiglie di vetro piuttosto costose che rappresentavano una parte non trascurabile del costo complessivo della bevanda. Addebitando una cauzione, restituita totalmente alla resa del vuoto da parte del cliente, la Coca Cola riusciva a recuperare una percentuale altissima di bottiglie, superiore al 98%, bottiglie che potevano poi essere riutilizzate all'infinito; perché il vetro è eterno ed oltretutto, gode in ogni paese del mondo di percentuali di riciclo nettamente più alte rispetto alla plastica. In alcuni paesi centro-sudamericani tra cui il Messico, molti produttori di birra utilizzano oggi tale sistema. Quando vado in Messico, acquisto cerveza (in abbondanza) solo così. E mi sbronzo con molto più piacere e meno sensi di colpa.

Dagli anni 60-70 in poi, il mondo è praticamente impazzito. La produzione mondiale di plastica è passata dalle 15 milioni di tonnellate degli anni 60 ad oltre 300 milioni attuali, 20 volte in più. Mediamente, circa l'80% di essa finisce in discarica oppure si disperde in natura, il 10% viene riciclata, l'altro 10% incenerita. Così ogni anno, quasi 10 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo. Oggi, si stima che in mare si trovino, galleggianti o affondati nelle profondità, ben 150 milioni di tonnellate di plastica. Diversi calcoli mostrano che con questo trend, nel 2025 ci sarà in mare una tonnellate di plastica ogni 3 tonnellate di pesce e che nel 2050 il peso della stessa negli oceani avrà superato quello dei pesci. Solo pensarlo mette i brividi: nel mare ci sarà tanto pesce quanta spazzatura. Ci rendiamo conto porca puttena, come direbbe Lino Banfi?

Oggi, la più grande isola di spazzatura galleggiante del mondo è la Great Pacific Garbage Patch, nota anche come Pacific Trash Vortex, situata al largo dell’Oceano Pacifico, tra la California e le isole Hawaii: un'enorme discarica galleggiante di dimensioni variabili, a seconda delle correnti, tra 1 e 10 milioni di km quadrati costituita principalmente da pezzi di plastica monouso, attrezzi e reti da pesca. Quanti sono 1 e 10 milioni di kmq? Mettetevi seduti e fate un bel respiro. Un milione di Kmq corrisponde grosso modo alla superficie della Spagna, mentre 10 milioni, dell’intero Canada. Quest’isola contiene circa 3 milioni di tonnellate di plastica e non è l'unica nel mondo perché ce ne sono almeno altre 4: la South Pacific Garbage Patch, al largo del Cile e del Perù, altre due nell'Atlantico ed una nell'Oceano Indiano. Recentemente sembra che sia stata scoperta un'isola di spazzatura anche nel Mar Artico. E purtroppo anche il nostro Mediterraneo non scherza, anzi. Come mostra un inquietante studio pubblicato su Nature del CNR, sotto allegato, il Mare nostrum sta diventando una “zuppa” di plastica, con isole di spazzatura aventi densità addirittura tripla rispetto alla Great Pacific Garbage Patch.

Esiste però un altro aspetto della vicenda totalmente sottovalutato ed in gran parte sconosciuto.

Quando pensiamo al mare ed alla plastica, pensiamo alle bottiglie, al copertone della gomma affondato, al grande rifiuto macroscopicamente visibile, alle orrende isole di rifiuti che galleggiano negli oceani. Ma gran parte della spazzatura è invece costituita da microplastiche di dimensioni inferiori ai 5 mm, neppure visibili, che hanno purtroppo anche la capacità di attrarre sulla loro superficie contaminanti ambientali che generano interferenza endocrina una volta entrati nella catena alimentare. Una sorta di inquinamento invisibile trasferito ai livelli più alti della rete trofica, i cui effetti sulla salute dell'uomo sono probabilmente gravi ed in gran parte sconosciuti.

Lascio la parola alla bella e brava ricercatrice del Dipartimento di Scienze Marine dell'Università del Connecticut, la dott.ssa Martina Capriotti, mia compaesana, orgoglio di San Benedetto del Tronto, che ringrazio davvero di cuore per aver preparato il video di cui sotto appositamente per tale post. Martina meglio di chiunque altro può spiegare l'azione e gli effetti delle microplastiche, perché esse costituiscono proprio l'oggetto dei suoi studi.

Voglio concludere lasciando un messaggio di speranza. Mi rendo conto, che utilizzando in tale blog i post di viaggio come occasione per parlare anche di gravi ed importanti problemi dell'umanità, posso intristire ed allontanare. Ma in home page avevo avvertito anticipatamente che questo sarebbe stato un blog dal taglio diverso, fuori dal comune. Nonostante spesso possa sembrare il contrario, viaggiepianoforte.com è un blog di speranza. Il fatto è che la speranza e la voglia di cambiamento, per esser realistiche e non campate per aria, richiedono anzitutto conoscenza: per combattere un problema, anzitutto occorre conoscerlo.

Ebbene, qual è il messaggio di speranza che voglio lasciare? Che a volte, come nelle favole, le belle storie hanno un lieto fine. Mentre scrivo, sono in contatto con Ilaria del Coral Eye che mi da una bellissima notizia. Hanno vinto la causa contro l'azienda mineraria cinese che voleva appropriarsi dell'isola e costruire una miniera d'oro devastando il fragile ecosistema. Il Coral Eye vivrà ancora, continuerà a fare ricerca, ospitando viaggiatori di tutto il mondo e tutelando la splendida barriera corallina di Palau Bangka. Sono davvero contento: in questo mondo orribile, dove dominano corruzione, egoismo, cattiveria e sfruttamento delle risorse umane ed ambientali, finalmente una bella notizia. Il “corallo colosseo” di Leonardo continuerà a vivere, speriamo per altre centinaia di anni.