Di ritorno dal Coral Eye nell'isola di Bangka, prima di partire per l'arcipelago di Komodo e la remota Papua indonesiana, non sapendo se moriremo sbranati dai temibili draghi o arrostiti dai cannibali, io, Gaby ed i bambini ci concediamo, visto che potrebbero esser gli ultimi della nostra vita, 3 giorni di puro relax a Bali, il luogo più mistico e misterioso dell'Indonesia, indubbiamente anche il più turistico. Per la stragrande maggioranza dei visitatori di tutto il mondo infatti, occidentali ed asiatici, effettivamente Indonesia significa una sola cosa: Bali, con al massimo un'eventuale capatina a Lombok e chiusura del viaggio nelle incantate isolette tropicali delle Gili. Le stazioni balneari della costa sud vicino l'aeroporto di Denpasar, sono prese letteralmente d'assalto, Kuta in particolare, la località più famosa dove si concentra quasi tutto il turismo di Bali e dunque della stessa Indonesia. Sulla sua vastissima spiaggia di sabbia bianca, la confluenza dei due oceani Indiano e Pacifico scarica onde regolari dell'altezza ideale per la pratica del surf, facendo di Kuta Beach uno dei più rinomati surf spot mondiali che attira giovani muscolosi da tutto il mondo, soprattutto dalla vicina Australia, che qui possono trovare anche movida, lusso e svago a non finire.
Famiglia Cipolloni a Bali: pochi giorni di relax nell'Isola degli Dei e si vola a Komodo!
Bali è un'isola estremamente popolare e fotogenica, una sorta di status symbol per tutti i fanatici dei selfie, delle foto da pubblicare su Instagram e della pura ostentazione mediatica del viaggio. Esistono dei luoghi letteralmente presi d'assalto a causa di punti panoramici particolarmente noti nel web. Inutile dire che qui non li troverete: siamo andati da tutt'altra parte, per non ritrovarci in coda con frotte di turisti, videomakers, fotografi, droni e veline in fase di trucco in attesa della foto di rito. Così, abbandoniamo immediatamente la zona aeroportuale di Denpasar, la vicina superturistica e finta cittadina balneare di Kuta e puntiamo verso il centro dell'isola, verso Ubud. Verso la Bali autentica. Perché l'Isola degli Dei, come viene chiamata fin dai tempi della colonizzazione olandese per via dei suoi numerosissimi templi, è molto, molto di più di Kuta e bisogna fuggire dalla folla e dal chiasso della movida per scoprire veramente la sua vera anima e la sua essenza primordiale. A quel punto Bali si spoglia e si mostra, nuda e pura, in tutta la sua magnificenza. Bali è davvero bellissima, con i suoi vulcani e le sue lussureggianti foreste pluviali avvolte nella nebbia, i villaggi tradizionali e le tipiche verdissime risaie a terrazze immerse nei palmeti e nella vegetazione tropicale, con i suoi templi, pubblici e privati, disseminati dappertutto e le piantagioni di caffè... Bali è un'isola estremamente suggestiva e spirituale, regno dello yoga e delle pratiche di meditazione, del cibo vegan e dei trattamenti di bellezza, delle arti, della danza e dell'artigianato: un piccolo universo di bellezza e cultura popolare con un'atmosfera fortemente mistica e surreale che fa da cornice allo straordinario patrimonio artistico e naturalistico. Bali resiste ancora, nonostante tutto, alla globalizzazione aggressiva, e preserva ferocemente la propria identità e le proprie tradizioni. I veri balinesi, come tutti gli indonesiani, sono rimasti gentili, autentici, sempre sorridenti e poco o per nulla contaminati dal dio denaro. L'opportunismo e la malizia della Thailandia e del Vietnam fortunatamente qui ancora non sono arrivati.
Bali è un'anomalia assoluta nell'immenso arcipelago indonesiano, un microcosmo a parte, in quanto è l'unica regione totalmente induista in un Paese a maggioranza mussulmana. L'induismo arrivò in Indonesia con i mercanti indiani nel V secolo ed è stato progressivamente sostituito, a partire dal XIV secolo, prima dal Buddismo e poi dall'Islam, portato sempre dai mercanti, stavolta arabi.
Nonostante l'Indonesia sia la nazione più islamizzata del pianeta, oggi spesso in preda al fondamentalismo religioso con rischio sempre alto di attentati, Bali è riuscita a conservare nei secoli la sua enclave religiosa primordiale originaria rimanendo fedele all'Induismo, probabilmente perché fuori dalle rotte commerciali con India ed Arabia Saudita che avevano invece nelle isole di Java e Sumatra naturali porti di attracco. E fin dal 1945, fin dalla conquista dell'Indipendenza dell'Indonesia dall'occupazione colonialista olandese, tutti i governi di Jakarta, si sono guardati bene dall’imporre il Corano a Bali: praticamente sarebbe stato come imporre l'Islam a Città del Vaticano o il comunismo negli Stati Uniti. E così Brahma, Shiva e Visnù, le tre divinità principali della religione induista, al vertice di un numero enorme di dei minori, forse diverse centinaia, hanno continuato a regnare incontrastati su Bali. Qui però, l'induismo appare in una forma molto particolare ed unica perché non solo ha una forte componente animista, ma ingloba ed incorpora anche il culto degli antenati ed il riconoscimento del Buddha come figura protettrice, rendendo ancor più complicata una religione già di per sé piuttosto cervellotica; ho provato a capirla studiando su diverse fonti, ma ho presto rinunciato: mi tengo il mio "agnosticismo cattolico nativo".
Preghiere indù a Bali
L’isola di Bali, vanta qualcosa come 20.000 templi disseminati in una superficie di circa di 5.800 km quadrati, equivalenti grosso modo ad una regione italiana come la Liguria: ecco spiegato il nome attribuitogli fin dal XVIII° secolo, l'Isola degli Dei. A Bali i "candi", i templi indù, pubblici o privati, si trovano dappertutto, sulle spiagge, sulle scogliere, in mezzo al mare ed in mezzo ai laghi, sulle pendici di vulcani, immersi ed isolati nella giungla o raggruppati nei villaggi e nelle cittadine, in ogni abitazione o negozio. I balinesi hanno un fortissimo senso religioso: riti, cerimonie e preghiere occupano sempre una parte importante della giornata ed ogni villaggio ha i propri templi pubblici comuni cosiccome ogni casa ha il suo proprio piccolo o grande luogo di culto. A Bali è praticamente impossibile non imbattersi in una cerimonia religiosa a meno che non si scelga di rinchiudersi nei resort super esclusivi all inclusive di Kuta. Ogni giorno, i Balinesi preparano offerte di fronte alla loro casa o negozio e pregano per ingraziarsi gli spiriti, sia quelli benigni che quelli maligni. Perché per loro non c'è differenza alcuna. Una delle poche cose infatti che ho capito dell'induismo balinese é che il concetto della contrapposizione tra le forze del bene e quelle del male è assolutamente cruciale e centrale: tutta la vita altro non sarebbe che la perenne ricerca di un equilibrio e di un'armonia tra queste due forze, al fine di liberarsi dal ciclo infinito della reincarnazione; i colori bianco e nero del drappo a scacchi che si vede un po' ovunque, a volte sopra le statue, altre volte attorno al tronco degli alberi, simboleggerebbero per l'appunto l'eterna sacra lotta tra il bene ed il male, l'equilibrio tra il giusto e l'ingiusto, tra la gioia ed il dolore, tra il giorno e la notte, tra la vita e la morte...
Canang sari balinesi
Le offerte quotidiane dei balinesi agli spiriti benigni e maligni, agli dei ed agli antenati, non sono altro che cestini, chiamati "canang sari", coloratissimi perché ogni colore rappresenta una diversa divinità, fatti a mano con foglie di palma dalle donne dei villaggi, riempiti di fiori freschi e profumati e varie offerte materiali come monete, cibo o sigarette, con un bastoncino di incenso fumante ad accompagnare le preghiere.
Ubud: la Monkey Forest e le risaie
Appena atterrati a Denpasar, fuggiamo ad Ubud, nel centro dell'isola, un paese di montagna rilassato ed allegro, circondato da bellissime bucoliche risaie e foreste che penetrano fin nel cuore della cittadina. Il posto di per sé è davvero grazioso, piccolo e raccolto, tipicissimo, con i negozi di artigianato locale, chioschetti di street food e ristorantini di cibo vegan, moltissimi hotel, dai più economici per hippies e routard, ai più esclusivi... ed ovviamente gli immancabili templi, il più bello dei quali è indubbiamente il centralissimo Pura Taman Saraswati, chiamato comunemente Water Palace, con le sue vasche d'acqua piene di ninfee e fiori di loto, dedicato alla dea Indù più importante, Saraswati, consorte di Brahma e dea della conoscenza, delle arti e della letteratura, ma anche di tantissime altre cose: la religione Indù è così, ogni divinità è tutto ed il contrario di tutto allo stesso tempo.
Il tempio Pura Taman Saraswati di Ubud
Ubud è tuttavia sfigurato e rovinato da una gestione della spazzatura a dir poco discutibile e soprattutto da un traffico pazzesco con l'aria che nelle ore di punta diventa irrespirabile per il puzzo dei tantissimi motorini che strombazzano creando anche un inquinamento acustico davvero fastidioso. Ma non sapevo minimamente quello che mi sarebbe aspettato a Bangkok in Thailandia e soprattutto a Saigon in Vietnam!!! Se ci si allontana però dalle poche rumorosissime strade del centro, l’ambiente torna rilassato e allegro, assai piacevole ed il tempo vola. Le ore si trasformano in giorni e i giorni in settimane perché Ubud è la capitale del benessere, dell'introspezione e della bellezza. Quasi ogni abitazione possiede un centro massaggi dove spesso si effettuano anche trattamenti esfolianti con i pesciolini a mani e piedi, divertentissimi per i bambini. I ristorantini vegan sono numerosissimi cosiccome gli ashram per la meditazione, le scuole di yoga, le spa e le beauty farm, il tutto davvero molto economico. Ovviamente, avendo due donne in famiglia, è impensabile non entrare in almeno un paio di centri estetici: pulizia viso, manicure e pedicure obbligatorie. Maya è felicissima per il primo trattamento di bellezza della sua vita! Io me ne starò invece, egualmente felice, in un bar nelle vicinanze, a ridurre le riserve di Bintang dell'isola.
Primo trattamento di bellezza della vita di Maya!
Bali ha un'altra incredibile particolarità: pur essendo molto turistica, è davvero, davvero economica. La zona di Ubud in particolare, offre una notevole varietà di resort per tutte le tasche, la maggior parte dei quali sono immersi in stupefacenti ambienti naturali, con vista foresta o addirittura nel bel mezzo delle risaie, favorendo e stimolando quelle esperienze sensoriali e spirituali che qui tutti inseguono. Alcuni sono di un lusso eco-chic estremo, altri costano 4 soldi. Ma 4 soldi significa 4 soldi davvero: il nostro hotel, uno dei più economici, avrà comunque la piscina ed un ristorantino interno, e lo pagheremo 10 euro al giorno, unica stanza per due adulti e due bambini, con abbondante colazione inclusa.
Dentro la Monkey Forest di Ubud con le scimmiette macaco
Imperdibile ad Ubud è la Monkey Forest, la foresta delle scimmie. Situata proprio nel cuore della cittadina, è una riserva naturale di una trentina di ettari molto caratteristica e suggestiva con vegetazione rigogliosa, liane che scendono ed avvolgono statue indù, templi, ruscelli, cascate e ponti, un piccolo anfiteatro, in un'atmosfera che ricorda molto quelle dei film di Indiana Jones. La foresta è famosa soprattutto per le numerosissime scimmiette macaco, terribili in quanto abilissime ladruncole: si avvicinano senza paura, aprono tasche, frugano nelle borse, rubano portafogli e cellulari... e scappano! Occorre esser davvero molto attenti perché gli oggetti una volta rubati è difficilissimo riaverli indietro; i macaco sono molto furbi e possono anche diventare aggressivi se sfidati inavvertitamente, ad esempio fissandoli negli occhi, oppure volutamente per tentare di recuperare la refurtiva. Maya ne sa qualcosa perché nell'anfiteatro sarà inseguita da una scimmietta inferocita rischiando pure di cadere nel ruscello e dovrà intervenire un guardaparco per allontanare l'animale. Come gli dico sempre, Maya è "soggetta a disastri" perché perennemente con la testa tra le nuvole, spericolata all'inverosimile e senza la minima percezione o senso del pericolo. Ha cicatrici e more praticamente dappertutto.
L'anima più profonda di Bali è nelle sue terrazze, che costituiscono indubbiamente il paesaggio più affascinante di tutta l'isola. Sono create dalla natura e dall'uomo per sopperire alla struttura montagnosa del terreno, irrigate mediante un sistema di canalizzazione delle acque delle sorgenti e sono curate dai contadini balinesi, sempre gentilissimi, umili e disponibili, con amore e dedizione; d'altronde il riso è il principale alimento in Indonesia, ogni piatto contiene la sua bella cupoletta di questo straordinario cereale, ad altissima digeribilità ed oltretutto privo di glutine, uno degli alimenti in assoluto più completi dal punto di vista nutrizionale, ricco di fibre, vitamine, sali minerali, carboidrati, proteine ed acidi grassi essenziali.
Il riso viene raccolto dopo circa 7 mesi dalla semina ed ovviamente, come ogni cosa in Indonesia, ha la sua bella divinità, la dea Dewi Sri, alla quale tutti i contadini sono devotissimi e rendono omaggio costruendo piccoli tempietti e luoghi di culto in prossimità delle piantagioni.
Le bellissime risaie a terrazze di Bali
Le risaie a terrazza sono disseminate in quasi tutta l'isola, ma la zona più straordinaria è proprio quella intorno ad Ubud. I ripidi terrazzamenti di Tegalalang, ad una decina di km dal centro cittadino, sui quali si affaccia il famoso caffè Dewi, sono tra i più suggestivi di Bali arrampicandosi arditamente sulle pendici delle colline coperte dalla fitta foresta pluviale. Ma in realtà non serve allontanarsi un granché perché le risaie circondano tutta Ubud: basta prendere una traversa nel centro cittadino, proprio a due passi dal Water Palace, per lasciarsi alle spalle il caos ed il frastuono dei motorini e sbucare improvvisamente in un altro mondo. Come accade in Narnia, quando entrando in un armadio si scopre con stupore e meraviglia che è molto più di un semplice guardaroba ma un portale che conduce ad una terra incantata, così svoltando l'angolo nel centro di Ubud ci si ritrova immersi in un paesaggio bucolico, dove gli unici rumori sono quelli degli uccelli, dei contadini che lavorano e delle ochette. E la magia e lo stupore prendono il sopravvento.
Localini nei campi di riso appena fuori il centro cittadino di Ubud
Ci sono sentieri chilometrici in mezzo a splendidi campi di riso, intervallati da localini vegan dove ci si può rifocillare e sorseggiare birra indonesiana, rigorosamente Bintang, ammirando in pressoché totale solitudine, uno dei panorami più belli del pianeta, che divengono assolutamente magici all'alba ed al tramonto.
I templi Pura Kunung Kawi e Pura Tirta Empul
Ad Ubud, dovunque ti giri c'è un'agenzia che offre pacchetti giornalieri; ma io non acquisto un tour turistico manco sotto tortura e poiché confidare nei mezzi pubblici a Bali è come pensar di trovare crocefissi di Cristo in una moschea, prendiamo un taxi per raggiungere in totale indipendenza, senza vincoli di sorta, il villaggio di Tampaksiring, ad una trentina di minuti da Ubud nella zona montagnosa centrale dell'isola. Nelle sue vicinanze si trovano infatti due dei templi più belli e scenografici di Bali che non voglio assolutamente perdermi. Io me li vedrei anche tutti e 20.000 ma ai bambini oggettivamente non posso chiedere di più... siamo qui anche per rilassarci e goderci gli ultimi giorni di vita prima di affrontare a mani nude draghi e cannibali, e Leonardo e Maya sono talmente elettrizzati e contenti dell'hotel con la piscina che starebbero tutto il giorno in acqua a nuotare! Di solito effettivamente li porto sempre in mezze stalle... Li capisco! Così mi sveglio all'alba per fare una corsa in mezzo alle risaie intorno ad Ubud e verso le 9 di mattina partiamo tutti insieme per la visita dei due favolosi candi tornando il pomeriggio per giocare "a guerra" in piscina.
I templi balinesi procurano a prima vista una sensazione di vuoto perché sono totalmente diversi rispetto ai luoghi di culto di tutte le altre religioni, induista indiana compresa: non sono luoghi chiusi vissuti all'interno, ma sono spazi aperti vissuti all'esterno, aperti verso il mondo, con padiglioni ed altari sotto un tetto, senza mura perimetrali e circondati da un recinto. Manca pure la rappresentazione della divinità al quale il tempio è dedicato: ci sono dei seggi vuoti, dove si suppone che gli dei siedano durante le cerimonie a loro dedicate. Per entrare nei templi è necessario sia per gli uomini che per le donne, indossare dei pantaloni lunghi o in alternativa obbligatoriamente un sarong, una specie di pareo da avvolgere intorno alla vita a mo' di gonna.
Nelle terrazze di riso di Tampaksiring, camminando verso il Pura Gunung Kawi
Il Pura Gunung Kawi si trova nel bel mezzo della giungla tropicale e vi si accede mediante una lunga e scenografica scalinata stracolma ai lati di negozietti di souvenir ed artigianato tipico, che concede una vista impagabile sulle bellissime terrazze di riso adiacenti al fiume Sungai Pakerisan, circondate da palmeti e fitta vegetazione. Il maestoso complesso funerario del Gunung Kawi, secondo la leggenda scavato a mani nude da un antico re, è costituito da ben 10 sacrari commemorativi alti circa 7 metri scolpiti in altorilievo nella roccia, posti su entrambe le rive del fiume Pakerisan e dedicati ai membri della famiglia reale balinese dell'XI secolo, che comunque non sono sepolti qui, ma all'interno di una delle grotte del tempio. Il Pura Gunung Kawi è uno dei templi in assoluto più belli e scenografici di Bali, davvero imperdibile perché immerso in un ambiente naturale strepitoso. Risaie, terrazze e canali d'irrigazione, giungla tropicale, fiume, artigianato locale e monumenti indù antichi: tutto quanto di meglio praticamente si può desiderare nell'Isola degli Dei.
I sacrari scavati nella roccia del tempio Pura Gunung Kawi
Proprio vicino ad uno dei "candi" più belli e scenografici di Bali, il Gunung Kawi, si trova uno dei templi più sacri ed importanti dell'isola: il Pura Tirta Empul, dedicato alle abluzioni ed al dio Visnù. Costruito intorno al X secolo, è meta di pellegrinaggio da parte dei balinesi che si immergono nelle sue piscine alimentate dalle sorgenti che sgorgano dalle pendici della montagna adiacente, per purificarsi con l’acqua sorgiva ritenuta sacra: infatti in indonesiano, "tirta" vuol dire sorgente ed "empul" vuol dire sacra. Il fiume Pakerisan, vicino al villaggio di Tampaksiring, ha origine proprio da queste sorgenti.
Cortile d'ingresso del Pura Tirta Empul
Superata una zona esterna di negozi di souvenir, vestiario ed artigianato locale dove Maya acquisterà un cappello dal quale non si separerà più, nemmeno per andar a dormire, attraversiamo un ampio giardino adornato di piante e statue che conduce al Candi Bentar, il tipico portale d’ingresso pluriscolpito a due battenti triangolari contrapposti, quello dove tutti gli influencer del mondo hanno almeno una foto. Oltrepassato l’ingresso, dopo aver costeggiano grosse piscine dove zampilla l'acqua della sorgente, si entra nel complesso dove si trova la vasca principale di purificazione, con 13 fontane finemente scolpite, le ultime due delle quali sono dedicate alle cerimonie funerarie. Sopra alle bocchette dell'acqua sacra che sgorga, si trovano i Canang Sari per le offerte agli dei.
Vasche del Pura Tirta Empul dove zampilla la sorgente del fiume Sungai Pakerisan
E visto che ci siamo, ci purifichiamo anche io e Leonardo. Leo sicuramente no, ma io qualche peccatuccio ce l'ho eccome... e così mi immergo facendo abluzioni con i locali per pulire la mia anima confidando nella clemenza di Visnù. Seguiamo quello che fa la gente del posto: dopo aver pregato di fronte ad un altare, cioè praticamente una sedia vuota sotto un tetto, seguiamo la fila. C'è poca gente, tutta locale. Chiudiamo gli occhi, incliniamo il capo, e con le mani giunte in alto ci mettiamo sotto il getto d'acqua sacra, partendo dal primo a sinistra e proseguendo fino ad arrivare all'ultimo a destra, ripetendo ogni volta gli stessi identici rituali. Il profumo dell'incenso bruciato, i fiori coloratissimi dentro i canang sari, il silenzio che tutto avvolge, la fede estrema dei fedeli assorti nei propri riti e nelle proprie preghiere, creano un'atmosfera molto mistica e rendono l’esperienza assai spirituale.
Leonardo nella vasca principale delle abluzioni
Svastiche e battaglioni Azov kantiani
In quest'atmosfera di preghiera, di pace e silenzio stona davvero tanto il simbolo della svastica, la famosa croce greca con i bracci, chiamati rebbi, piegati ad angolo retto ed indifferentemente orientati in senso orario o antiorario: è posta in altorilievo proprio sopra le bocchette dove sgorga l'acqua e lascia effettivamente sgomenti molti turisti "ignoranti". In realtà questo è un sentimento prettamente occidentale, perché in Asia nessuno associa la "croce uncinata" al Terzo Reich del partito nazista tedesco ed all'antisemitismo, all'orrore, allo sterminio ed alla guerra imperialista; la svastica è un antichissimo simbolo religioso originario di quasi tutte le culture e popoli euroasiatici. Si vede frequentemente in Cina, India, Thailandia ed Indonesia, essendo utilizzata fin dal neolitico in tutte le religioni del sud-est asiatico, dal buddhismo ed induismo allo sciamanesimo della Mongolia e della Siberia. In occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020, il governo giapponese, preoccupato per l'eventuale reazione di disgusto che il simbolo tradizionale buddista della svastica, presente in tutte le mappe e guide turistiche, avrebbe suscitato nei visitatori occidentali, indisse una consultazione pubblica per determinarne un'eventuale sostituzione con altro. Consultazione però rigorosamente bocciata: i giapponesi decisero in massa che la croce uncinata dovesse essere mantenuta:i simboli religiosi non si toccano.
Nell'induismo balinese la svastica simboleggia la divinità Visnù ed il sole, la purificazione, la protezione dagli spiriti maligni, dalle malattie e dalle sventure; è un simbolo di pace e prosperità, fortuna e felicità. È francamente paradossale che un simbolo così positivo in Oriente abbia acquisito una connotazione così negativa in Occidente, a causa del suo utilizzo, assolutamente inopportuno ed improprio, nel secolo scorso da parte del nazionalsocialismo hitleriano...
A proposito... Strano davvero che il PD e tutta la propaganda antirussa e filoucraina del mainstream post 2022 non abbia pensato alla simbologia asiatica della svastica per sdoganare il nazismo ucraino di battaglioni come il famoso Azov! Strano davvero! Se le sono inventate di tutte, ma non questa! Hanno scomodato simboli runici, hanno minimizzato, nascosto, insabbiato... Ci hanno detto che soli neri occulti, tatuaggi di Hitler, saette, simbologie antisemite, lampi delle SS e quant'altro erano solo goliardate di un piccolo gruppetto di monelli. E che vuoi che sia una svastichetta innocente tatuata sul petto!? Sono eroi che lottano per la libertà, contro l'invasore russo! Sono il simbolo della resistenza partigiana! Da sbudellarsi dalle risate. Io francamente dei partigiani con le svastiche tatuate, che massacrano civili in Donbass dal 2014, totalmente impuniti e nell'indifferenza dei media e della Chiesa (la quale riceve pure in Vaticano le mogliettine premurose....), e che adorano Bandera, sinceramente non li ho visti mai, ma magari mi sbaglio eh. Per chi non lo sapesse, Stepan Bandera, era il capo dei nazionalisti ucraini durante la Seconda guerra mondiale, fedelissimo di Hitler che oggi continua ad esser idolatrato un po' in tutto l'esercito Ucraino. La sinistra radical chic, grida sempre al fascismo da anni, ma quando il fascismo torna veramente, gira la faccia dall'altra parte. La verità è che lo stato ucraino, oggi è uno stato dichiaratamente nazista, messo su con un colpo di stato guidato dall'UE e dalla NATO nel 2014. La simbologia nazista è presente in tutto l'esercito ucraino, non solo in Azov, ma anche in battaglioni come Aidar, Donbass, Dnepr 1 e 2. I soldati ucraini non sono un gruppo di ragazzi valorosi e coraggiosi che in trincea leggono Kant come vogliono farci credere Repubblica e company, ma sono i discendenti dei nazisti che collaborarono con le SS: ben 250.000 di essi sfuggirono a Norimberga, ebbero modo e tempo di riorganizzarsi e tornare. Ed eccoli qui oggi, a sventolare bandiere NATO accanto a svastiche, saette, soli neri e lampi delle SS, con l'appoggio incondizionato di tutta la intellighenzia radical chic di sinistra.
Un caffè di merda
Al ritorno, con Leonardo e Maya già contentissimi perché si va finalmente in piscina, passiamo per un paesino dove ammiriamo dall'alto uno dei panorami più belli di Bali, il lago celeste Danau Batur all'interno della caldera del Monte Batur, un vulcano attivo e piuttosto turbolento che sovrasta l'Isola degli Dei, il quale ogni tanto si diverte, insieme all'amico Agung, ad esplodere ed eruttare facendo evacuare mezza isola.
Torniamo ad Ubud ed i bambini in piscina mi massacreranno: perderò la "guerra" in acqua e la relativa scommessa e sarò costretto a comprare ad entrambi la sera a cena una Coca Cola, bevanda che nella mia casa è assolutamente bandita e vietata, inutile anche che spiego il perché. Ultima serata in totale relax in un ristorantino vegan, a base di Bintang e Coca Cola, perché domani si vola a Labuan Bajo nel cuore dell'arcipelago di Komodo, vero grande obiettivo di questo incredibile viaggio in Indonesia.
Ci alziamo presto l'indomani mattina per congedarci da Bali nel migliore dei modi possibili, assaggiando in una piantagione sulla via dell'aeroporto di Denpasar, una bella tazza di quello che dicono sia il caffè migliore del mondo, il "Kopi luwak", famosissimo qui a Bali. Che in realtà è un caffè di merda. Letteralmente, non sto scherzando. In indonesiano “kopi” significa caffè e “luwak” è il nome dello zibetto che vive nell'Isola degli Dei, un animale simile ad un furetto che è molto goloso delle bacche di caffè. Il problema è che non riesce a digerirle completamente e così le scacazza intere quasi come le aveva introdotte; gli enzimi digestivi dello zibetto intaccano solo la scorza esterna del chicco, quella che conferisce al caffè il tipico sapore amaro, con il risultato che il caffè-escremento non avrà il tipico retrogusto amarognolo, ma piuttosto un sentore dolce di cioccolato. I prezzi sono ovviamente altissimi a causa della produzione inevitabilmente limitata e si possono contenere solo andando proprio nella piantagione dove sono allevati gli zibetti e mantenuti in gabbie. Non lo sapevo, altrimenti non sarei andato. Il caffè di merda in realtà non è male, anzi è buono davvero. E così, ben rifocillati dagli escrementi dello zibetto, partiamo per Labuan Bajo. I temibili draghi di Komodo ci aspettano; quelli veri, non più quelli finti, di pietra ed a grandezza reale della Monkey Forest. Speriamo non siano troppo affamati...