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I Quattro Re

Quando penso al mio Eden, al mio paradiso terrestre e marino, al luogo al mondo dove avrei voluto rimanere se non per sempre, perlomeno qualche annetto buono, ebbene la mente, l'anima ed il cuore vanno immediatamente lì, all'incantevole Raja Ampat, un arcipelago tropicale in un remotissimo angolo dell'Indonesia in gran parte sconosciuto al turismo, con isolotti a forma di panettone coperti da una giungla fitta ed impenetrabile, spiagge coralline di finissima sabbia bianca che sembra borotalco bagnate da un mare cristallino dalle mille sfumature di blu e verde... lagune nascoste ed acque turchesi... e sott'acqua la più bella, intatta ed incontaminata barriera corallina del mondo abitata da tutti i tipi di pesci e coralli che uno può immaginare. Un luogo selvaggio, vergine, immacolato. Nessuna strada, nessuna macchina e la civiltà lontana, molto lontana. Una capanna in riva al mare immersa nella foresta.

Raja Ampat, il mio paradiso, quasi troppo bello per crederlo veramente esistente; il sogno subacqueo di una vita, coronato e diventato realtà a Natale 2016.

Le paradisiache spiagge delle isole coralline di Raja Ampat

Che cazzo di viaggio quello ragazzi: prima dai giganti del mare a pois della Cenderawasih Bay e poi, nientepopodimeno che nell'arcipelago incantato dei "Quattro Re", l'equivalente subacqueo dell'Everest o del K2 per un alpinista professionista. Le due località, pur essendo relativamente vicine in linea d'aria, tuttavia non hanno alcun collegamento aereo, navale e stradale diretto; a separarle ci sono 600 km circa di inattraversabile foresta pluviale. Dovremo pertanto triangolare tornando da Nabire a Timika e da lì poi voleremo a Sorong, capoluogo della West Papua. Un traghetto pubblico mattutino ci porta, per una manciata di euro, a Waisai sull'isola di Waigeo, il primo re di Raja. E sei in paradiso, dopo un lungo ed estenuante viaggio.

La laguna incantata di Painemu a Raja Ampat nell'isola di Groot Faam

La biodiversità marina di Raja Ampat

L'arcipelago di Raja Ampat, è situato proprio sulla linea dell'equatore nella punta più occidentale della West Papua, una regione indonesiana appartenente geograficamente all'Oceania in quanto situata nell'isola della Nuova Guinea. Risulta composto da circa 1500 isole, scogli ed isolotti minori, in gran parte totalmente disabitati, ricoperti da una lussureggiante vegetazione tropicale e circondati da barriere coralline ancora in ottimo stato, indubbiamente le più belle del mondo. Il nome Raja Ampat, in indonesiano, significa “i quattro re” riferendosi alle 4 isole principali, ovvero Waigeo, Batanta, Salawati e Misool, le quali anticamente erano controllate da 4 distinti sultani. L'arcipelago si trova proprio al centro di quel triangolo magico, noto come "triangolo dei coralli", che ha per vertici le Filippine a nord, Bali ad ovest e le Isole Salomone ad est, nel punto in cui l'Oceano Indiano incontra il Pacifico: gode pertanto di una posizione privilegiata, totalmente esposta a correnti marine propizie all’evoluzione naturale, che la rendono, come è stata definita da famosi biologi marini, una vera e propria "fabbrica di specie".

Il triangolo dei coralli

Quest'area è semplicemente il luogo al mondo con la maggior biodiversità marina, l'equivalente acquatico del parco nazionale Madidi nella foresta amazzonica boliviana. Il numero e la varietà di pesci che popolano le acque dell'arcipelago è ai limiti dell'incredibile. Nell'enorme riserva marina, costituita per provare a preservare tale capolavoro della natura, vivono ben 1600 specie di pesci e 700 di molluschi. Degli 800 tipi di corallo esistenti nel mondo, oltre 600 si trovano qui: in pratica più del 75 per cento della varietà corallina mondiale si concentra a Raja Ampat. Semplicemente pazzesco. Nell'aprile del 2012 nel reef della punta est dell'isola di Kri, a Cape Kri, sono state contate dal famoso ittiologo Gerald Allen, ben 374 specie diverse di pesci nel corso di una singola immersione, un record mondiale, ed un centinaio buone di queste non erano mai state viste prima.

Cape Kri, punto con la maggior biodiversità marina del mondo

Le favolose barriere coralline di Raja Ampat si estendono ininterrottamente per chilometri costituendo la base di un ecosistema molto complesso e delicato, formato da migliaia di specie diverse, alcune delle quali endemiche e non presenti in altre aree del pianeta. Da qui le correnti trasportano le larve dei coralli fino all’Oceano Indiano e al Pacifico, permettendo di ripopolare altri reef. La bellezza e la ricchezza della zona è sbalorditiva non solo da un punto di vista marino, ma anche naturalistico ed antropologico. Si tratta di uno dei pochi posti al mondo dove è ancora possibile trovare pappagalli di specie molto rare ed il famoso uccello del paradiso; nell'arcipelago esistono poi ancora oggi, almeno 12 tribù indigene totalmente scollegate dal resto del mondo, per lo più dedite alla pesca ma che fino a pochi anni fa non disdegnavano pratiche di cannibalismo.

Dato l'inestimabile valore dell'area, indubbiamente il massimo esempio nel pianeta di biodiversità marina sopravvissuta alla furia devastatrice della bestia umana, è stata costituita un'enorme area protetta che copre una superficie complessiva di 40 mila chilometri quadrati ed arriva ad unirsi con il parco della Cenderawasih Bay: più o meno l'equivalente dell'intera Svizzera.

Il turismo ecosostenibile ed a basso impatto recita un ruolo assolutamente fondamentale e decisivo nella protezione di un tale gioiello naturalistico e paesaggistico costituendo una fonte di lavoro etica per le persone del posto, le quali pertanto poco a poco abbandonano sconsiderate pratiche che devastano il reef e la sua fauna, come la pesca con esplosivi oppure il "finning", l'asportazione di pinne degli squali per soddisfare l'assurda richiesta di zuppa di pinne, una costosa specialità della cucina cinese. I subacquei stranieri, soprattutto occidentali, europei ed australiani, sorvoliamo sugli americani, hanno una coscienza ecologica che i locali non hanno. Ve lo garantisco. Il turismo marino pertanto è il primo strumento di sensibilizzazione ecologica della popolazione locale.

Ricordo una scena, un episodio che mi lasciò letteralmente pietrificato. Incazzato, sbalordito. Incredulo. Ero appena arrivato dal porticciolo di Wasai nell'isola di Kri a Raja Ampat e ci stavamo sistemando nella capanna. Era la sera del 31 dicembre e dei ragazzi locali, guide subacquee, sedevano su una barchetta ormeggiata nel pontile sorseggiando della birra in lattina, probabilmente già un po' brilli. Terminato di bere, mettevano la lattina sott'acqua e la affondavano nel reef. Sotto choc. Il giorno dopo sarà dedicato, con l'aiuto dei bambini, alle immersioni in apnea per il recupero subacqueo delle lattine. I bambini si sentivano come i salvatori del mondo e cominciarono successivamente a controllare i ragazzi per vedere quello che facevano e come si comportavano. Parlare e cercare di sensibilizzarli purtroppo è servito a poco: la comunicazione è impossibile perché i papuani non conoscono una parola d'inglese e le differenze culturali sono insormontabili. Gli abitanti delle isole, hanno una cultura limitata e devono esser portati alla salvaguardia del loro ambiente naturale non attraverso la predica ecologista ed ambientalista alla Greta Thundberg ma mediante mere considerazioni di carattere economico, mediante una mera analisi costi-benefici. Tutelare il loro ambiente, loro datore di lavoro e principale fonte di reddito grazie al turismo subacqueo, deve esser più redditizio e conveniente che distruggerlo.

Fortunatamente la regione dei "quattro re" è situata in un posto estremo, difficile da raggiungere, abbastanza fuori, incredibilmente, dalle principali rotte turistiche subacquee: il suo isolamento, insieme alla scarsa antropizzazione, ha determinato probabilmente la sua salvezza. Al momento fortunatamente l'arcipelago è ancora meravigliosamente incontaminato. Ma i rischi, ovviamente, sono sempre in agguato: i principali sono costituiti dall'aumento demografico delle isole, dai cambiamenti climatici stessi che impattano in maniera drammatica sulla salute dei reef, dal progetto di costruzione di un nuovo aeroporto nell'isola di Waigeo che potrebbe aumentare la pressione turistica sull'arcipelago... e poi ci sono sempre i pescatori illegali locali che ancora non hanno del tutto abbandonato le pratiche di pesca con le bombe e le grandi navi cinesi e vietnamite, a cui il grande acquario papuano, protetto per legge dal 2010, fa enorme gola per le redditizie pinne di squalo.

I villaggi e le homestays dei Quattro Re

Esistono due modi possibili per godere dell'infinita bellezza dell'arcipelago. Il più gettonato ma costoso dato l'estremo isolamento della regione, è quello della crociera mediante velieri o caicchi specificatamente adattati al turismo subacqueo: in tal modo si possono visitare diverse isole e raggiungere anche i diving spots più lontani.

Oppure si può soggiornare a terra in qualche isola paradisiaca: in tutti i 40.000 kmq di area protetta, esistono soltanto una manciata di resort ecochic semplici, in stile locale, solo legno, poco cemento e perfettamente integrati nello splendido paesaggio circostante. Sono tuttavia in mano a stranieri, non ai locali indonesiani ed ovviamente sono anche carissimi.

E noi? Crociera o resort ecochic? Of course, nessuna delle due.

Esiste una terza alternativa ultraeconomica, validissima, egualmente meravigliosa per soggiornare in paradiso: le homestays della popolazione papuana. Sono costruzioni molto essenziali in stile tradizionale che i locali mettono a disposizione dei turisti per una decina di euro giornalieri, pasti inclusi a base di riso e pesce locale. Gli alloggi sono piuttosto carini ma decisamente spartani, una manciata di capanne, bungalows o palafitte di canne e legno affacciate su incantevoli spiagge di fine sabbia bianca e la giungla alle spalle, per un’esperienza a diretto contatto con la natura più selvaggia, in una dimensione lontanissima dal comfort occidentale a cui si è abituati ma dall’essenza primordiale, quasi tribale. Se in vacanza si cercano acqua calda, wi-fi, pranzi e cene regali con camerieri che servono, colazioni continentali abbondanti e via dicendo, direi di rivolgere l'attenzione altrove. Qui si ha, in uno dei luoghi più belli e selvaggi del mondo, un tetto di paglia, un pavimento con assi irregolari di legno ed un materasso piuttosto sottile il più delle volte per terra con una zanzariera mezza rotta e bucata a scendere dal soffitto; da metter in conto ovviamente animali nella stanza, anche topi. Il bagno è fuori, in comune e ha la doccia indonesiana: praticamente un grande secchione riempito d'acqua, più salata che dolce, con una pentola dentro per lavarsi. Si sta in piedi e ci si butta l'acqua addosso: per i bambini un divertimento assoluto. Non c’è linea telefonica né internet, l’energia elettrica è disponibile solo un paio d'ore al giorno grazie ad un generatore che il più delle volte non funziona, l’acqua da bere è l’acqua di sorgente bollita, non c'è frigorifero dunque niente bevande fredde, niente spacci per beni di qualsiasi tipo ed alcool molto difficile da trovare: un vero distacco dalla comoda realtà a cui si è abituati, un’esperienza unica ed autentica immersi nella natura più incredibile. Per me, un sogno.

I tipici bungalows delle homestays dell'isola di Kri a Raja Ampat

In rari casi le homestays hanno anche a disposizione un piccolo centro diving con compressore ed una o due "guide" subacquee. Dunque anche in homestay è possibile fare immersioni, le quali ovviamente sono ben più economiche rispetto ai diving dei pochi resort ecochic di Raja. Ed il panorama subacqueo sempre quello è. Tuttavia soltanto i sub davvero esperti, con tecnica ed esperienza, totalmente autonomi e con propria attrezzatura, dovrebbero prender in considerazione i centri diving delle homestays per fare immersioni. I locali in generale sanno immergersi. Lo fanno in apnea o con bombole da quando sono nati d'altronde. Ma hanno scarsa o nulla preparazione a livello teorico, praticamente nemmeno sono ufficialmente brevettate "open water", tantomeno da guida. E poi non parlano inglese, la comunicazione con loro è possibile solo a gesti e sorrisi. Nessun briefing pre immersione, nè debriefing post. Loro si buttano in acqua, vanno per i cazzi loro e tu li devi seguire, con correnti che possono essere anche molto forti. Nemmeno mai si girano a controllare se tutti i subacquei sono con loro o se qualcuno ha dei problemi. Niente ossigeno di sicurezza o bombola d'emergenza in barca, l'equipaggiamento in affitto è assolutamente mediocre. Tranquilli però perché la camera iperbarica più vicina è nella lontanissima Manado nel Sulawesi! E la qualità dell'aria respirata? La manutenzione del compressore, la sostituzione dei filtri? Chissà... tutto un po' un'incognita. Ma se tutto fila per il verso giusto, allora hai fatto bingo.

Sei un sub esperto, autonomo e con attrezzatura al seguito? Allora fregatene e ti immergi e pernotti nel posto più bello del mondo, sopra e sotto l'acqua, con quattro soldi che finiscono oltretutto nelle tasche della popolazione locale.

Da guida subacquea, mi sento sempre responsabile dei miei compagni d'immersione, in questo caso di Gaby e di due amici, oltretutto neobrevettati. Con la coda dell'occhio nessuno dei tre è stato mai abbandonato un solo minuto. Gaby d'altronde già era brava, di immersioni alle spalle ne aveva già tante ed a forza di fare cazzate, ha imparato bene. Illy dopo pochi tuffi avrà già un ottimo assetto, di tutto rispetto. Su Pier preferisco sorvolare, tra consumi alle stelle, posizione eufemisticamente parlando, non orizzontale, pinneggiate improbabili e continui yo-yo. Tranquillo Pier, non mollare. Ci vuole tempo.

Ingresso del Koranu Fiak nell'isola di Kri

L'isola di Kri è una gemma totalmente coperta di lussureggiante selva tropicale, situata tra Waigeo e Batanta, nello stretto di Dampier: probabilmente, sbilanciandomi, il miglior posto al mondo per immergersi. Ci sono varie homestays nell'isola collegate tra loro attraverso sentieri nella fitta giungla tropicale. La prima settimana a Raja Ampat la passiamo al "Koranu Fiak", con annesso centro diving. Le poche sistemazioni spartane del Koranu, totalmente nascoste nella selva, si riconoscono da lontano solamente da un pontile che fuoriesce dal verde e si protende nel blu; pochi passi e si è già dentro la foresta pluviale, con piccoli viottoli di sabbia che conducono alle poche magiche capanne presenti.

La vista dalla piccola veranda della casetta in legno è sbalorditiva: un piccola spiaggia di sabbia bianca avvolta dalla vegetazione tropicale con il mare che, quando il sole fa capolino tra le nuvole, assume tutti colori possibili del blu e del verde. Il suono delle onde dell’oceano ti accompagna ad ogni ora del giorno e della notte. Ed a fine giornata, dopo una fresca doccia indonesiana, sempre rigorosamente scalzo ed in costume, si va a cenare al buio, con la luce soffusa delle candele, il chiarore della luna e delle stelle e gli squaletti che girano sotto al ristorantino. Tra un pesce arrostito ed l'onnipresente riso, Pier cucina degli ottimi spaghetti al sugo con la sua immancabile pentola. Si parla a bassavoce, quasi in segno di rispetto verso madre natura, col rumore del mare in sottofondo, raccontando le sbalorditive immersioni fatte ed organizzando le successive dell'indomani, mentre i bambini con la loro incredibile fantasia, in assenza di tablet, smartphone e diavolerie elettroniche varie, inscenano uno spettacolo teatrale da applausi.

E poi cala la notte, ti addormenti sul pavimento con misteriosissimi ed inquietanti rumori dalla fitta giungla circostante... ed anche dalla camera dove stai. Ma è meglio chiudere gli occhi, non sapere e non vedere. Dopo la "capanna infestata" di Nabire, siamo d'altronde ben abituati ai topi in camera... un po' meno però ad inquietanti lucertoloni giganti con la lingua biforcuta, grossi varani stile drago di Komodo, anche se più piccoli, intorno al metro e mezzo di lunghezza, che vagano qua e là tra i bungalow.

Eh già... lo avrete capito. Io sarei stato lì per sempre. Se non per sempre, perlomeno un paio di anni buoni. A che fare? Semplice, quello che più mi piace fare. Dunque studiare, leggere, suonare il piano, curare il blog, fare sport ed immersioni, vivere in modo selvaggio in mezzo alla natura. Il lavoro? Da sub tecnico e guida subacquea P3 Fipsas, il mio datore di lavoro sarebbe stato il mare, avrei potuto benissimo lavorare da guida nelle immersioni per qualche homestay locale, in cambio di vitto ed alloggio esattamente come faceva Valentina, ragazza milanese conosciuta a Kri. Ma anche a non voler fare un cazzo di niente, cosa per me caratterialmente, assolutamente impossibile, costa davvero poco rimanere a vivere e poltrire in paradiso: solo 300.000 rupie indonesiane al giorno, 12 euro circa con 3 pasti giornalieri frugali ed un posto letto. Scalzo ed in costume per sempre.

Spesso quando ripensiamo a quei posti io e Pier cominciamo a sognare. Sogniamo la nostra capanna ecofriendly sul mare, con un forno a legna ed un compressore per lavorare entrambi, lui cuoco con una piccola pizzeria super-artigianale, io da guida subacquea per pochi e selezionati ospiti... il tutto veramente ecologico, piccolo e solo legno, con pannelli solari e generatori eolici nascosti tra la vegetazione, piccole batterie d'accumulo. E costume per sempre. Scalzo per sempre. Le scarpe non le voglio portare più, porcaccia zozza. E poi però torni alla realtà. Il lavoro da portar avanti, la scuola dei bambini e una miriade di altre cose. Chissà, forse un giorno impazzirò e tornerò a Raja Ampat per qualche mese o anche annetto. Sempre sperando che le cose non sia cambiate e tutto sia rimasto ancora vergine. La vita è una sola e pure breve. Più breve di quanto immaginiamo.

Punto più alto di Kri, con vista sul villaggio di Yembuba nell'isola di Mansuar

Le giornate al Koranu sono da favola. Da non morire mai. Una semplice colazione con un caffè in polvere ed un frutto e via subito in acqua per le due immersioni mattutine. L'intervallo di superficie lo si trascorre in qualche isolotto deserto o nelle bianchissime lingue di sabbia da cartolina, reidratandosi e mangiando frutta locale... Ritorno, pranzo, e facoltativo terzo tuffo giornaliero. Tipicamente le fantasmagoriche immersioni sono tutte molto vicine, nello stretto di Dampier ed a solo pochi minuti in barca. Solo occasionalmente ci si allontana e si passa più tempo in navigazione, come nel caso dell'incredibile sito di Melissa's garden, secondo alcuni l'immersione con più corallo al mondo: un infinito, favoloso e coloratissimo giardino, probabilmente il più bello e vasto tra quelli ammirati, situato ad ovest dell'isola di Kri, vicinissimo alla laguna incantata di Painemu.

Chiunque abbia cercato immagini relative a Raja Ampat, si è imbattuto in Painemu nell'isola di Groot Fam, uno dei luoghi indubbiamente più belli dal punto di vista naturalistico che io abbia mai visto. Painemu è una meraviglia assoluta della natura ed oramai è diventata il simbolo stesso dell’arcipelago indonesiano.

Con Gaby a Painemu

Entriamo nella laguna verde incantata, motore al minimo ed in religioso silenzio. Increduli di fronte a cotanta sconvolgente e commovente bellezza. Anche i bambini capiscono la magia del luogo e del momento e si ammutoliscono osservando sbalorditi la magnificenza di madre natura. Attracchiamo in un pontile di legno malridotto. Salgo con Gaby ed i bambini attraverso una scalinata di legno malridotta che si inerpica sopra una collina per giungere ad una terrazza panoramica: grandi formazioni rocciose a forma di panettone coperte da alberi emergono dall'acqua color verde smeraldo, con i contrasti delle sfumature di colore tanto più evidenti ed affascinanti quanto più forti sono i raggi solari. Ed i miei occhi si illuminano d'immenso.

Al ritorno, per la seconda immersione, ci fermiamo nell'isolotto di Arborek, circondato da uno splendido reef e sede dell'omonimo caratteristico piccolo villaggio. La maggior parte della popolazione di Raja Ampat, vive così, in modo davvero semplice, organizzata in piccole comunità isolane: grossi centri non ce ne sono. Le popolazioni che abitano queste zone, di fede prevalentemente cristiana, sono molto amichevoli e disponibili, poco abituate al turismo, dunque ancora totalmente genuine e non contaminate dal denaro. Il popolo è più simile in generale a quello africano e caraibico che a quello indonesiano sia per fattezze che caratteristiche: i lineamenti delle persone sono molto marcati, la pelle è molto scura ed i capelli neri e ricci.

I bambini di Arborek giocano con dei barattoli

La popolazione locale è stata resa partecipe di un programma di sensibilizzazione finalizzato a far comprendere loro quanto vi è di prezioso nel loro mare: in cambio del loro aiuto e del loro impegno alla tutela ambientale e pratiche di pesca sostenibile, ricevono parte del contributo che i visitatori pagano per entrare nell'area marina protetta. I locali non sono consapevoli dell'eccezionalità dell'ambiente naturale nel quale sono inseriti. Per loro è tutto normale, sono nati lì e cresciuti lì, non hanno mai visto nessun altro luogo. La maggior parte di loro nemmeno mai è stata nella città di Sorong, nemmeno addirittura nell'isola maggiore di Waigeo. Mai usciti dal loro isolotto incantato. E' normale per loro dunque buttarsi in acqua e vedere una barriera corallina dai colori sgargianti e tutti i pesci grandi e piccoli del mondo in concentrazione e varietà sbalorditiva. Per i bambini locali, è normale buttarsi dal pontile e giocare con squali e tartarughe. Qui il tempo si è davvero fermato.

Leonardo e Maya camminano sul pontile del villaggio di Yembuba a Mansuar

Piccoli villaggi locali sono presenti anche nell'isola di Mansuar. Kri e la più grande Mansuar, sono separati da un breve tratto di mare, poche centinaia di metri da coprire in parte a piedi con la bassa marea ed in parte a nuoto. Si arriva, nuotando oppure in barca, al "Yembuba Jetty", il pontile del tipicissimo villaggio locale di Yembuba: il pomeriggio per me una tappa fissa, anche con i bambini.

Mi piace viaggiare non solo nello spazio, ma anche nel tempo. E visitare i villaggi indonesiani papuani di Raja Ampat è un vero e proprio viaggio nel tempo, un'immersione non solo nella fantastica barriera corallina adiacente ma anche nella cultura indigena locale.

Il lunghissimo pontile di legno di Yembuba sembra non finire mai. Sotto, c'è il mondo e quell'altro, uno dei diving e snorkeling spots più apprezzati di Raja Ampat. Sopra, una marea di bambini festanti che giocano, guardando sotto alla ricerca di squali, pesci napoleone e tartarughe.

La chiesa cristiana più grande di Yembuba, alla fine della strada principale

Subito alla fine del pontile comincia la strada principale di terra battuta e sabbia di Yembuba con ai due lati le abitazioni basse del villaggio. Quasi in ogni casa, una chiesetta cristiana. Sembra strano ma questa è una cosa assai comune in Indonesia, evidentissima ad esempio nel Sulawesi in zona Manado, dove si resta letteralmente scioccati dalla quantità di edifici sacri presenti in un contesto di povertà estrema. Case fatiscenti, ma con la chiesa adiacente ben curata. In Indonesia è così, ogni famiglia, cerca di fondare la sua chiesetta e dirotta la maggior parte del denaro che ha nella sua costruzione.

Non mi permetto di giudicare, ho un rispetto assoluto nei confronti della fede e credo che questa costituisca parte fondamentale della cultura popolare, contribuendo anche ad accrescere il senso di comunità nel popolo ed allontanare l'individualismo ed il nichilismo tipico dell'ideologia liberale. Ma credo anche, marxianamente parlando, che questa troppo spesso costituisca un potentissimo oppiaceo, utilizzato dal sistema capitalista a proprio favore per controllare le masse, anestetizzarle e reprimere ogni possibile slancio rivoluzionario. Approfondirò il discorso, piuttosto complesso, mi rendo conto, nella sezione "pensieri" del blog.

Alla fine della strada principale di Yembuba cosa c'è? Ovviamente una chiesa, la più grande del villaggio, probabilmente appartenente alla famiglia più benestante. Entriamo ed i miei bambini ovviamente sono presi d'assalto, quasi fossero extraterrestri...

La seconda settimana a Raja Ampat, la passeremo in un'altra homestay di locali, al Kordiris nell'isola di Gam. Siamo nel regno dell'uccello rosso del paradiso, ammirato dagli ornitologi di tutto il mondo per le sue incredibili danze di corteggiamento: quando il maschio vuole accoppiarsi con una femmina, comincia a girargli attorno, dispiegando le ali a ventaglio e muovendole ripetutamente a mò di farfalla emettendo caratteristici suoni.

L'isola di Gam rispetto a Kri è meno corallina, nel senso che lo splendido reef non è adiacente alla riva ma più al largo. In compenso ha spiagge più lunghe e larghe ed un mare cristallino con fondali più dolcemente degradanti.

Il paradiso terrestre del Kordiris nell'isola di Gam

Il Kordiris è un altro luogo magico, senza tempo, di quelli dove passerei mesi interi solo a leggere, nuotare e suonare. E guardare il paesaggio. Una spiaggia bianchissima bagnata da un'acqua celeste chiaro, una manciata di capanne di paglia e canne, la giungla dietro. Tanti panettoni in acqua vicinissimi alla riva a ricreare proprio a pochi metri dal tuo bungalow, una piccola ed incantata Painemu. Gli alloggi sono leggermente più spartani rispetto al Koranu Fiak, ed a me questo piace. A mia moglie sicuramente meno. Un pontile mezzo marcio, con sotto squaletti che girano indisturbati, porta ad un paio di casette sull'acqua, giusto per far provare ai globetrotter squattrinati del mondo l'esperienza del famoso water-bungalow maldiviano o polinesiano, con la sola differenza che qui si pagano 15 euro giornaliere pasti inclusi anziché 1000. I bambini su quel pontile si divertiranno tantissimo tra tuffi e corse e non so come, riusciranno anche a non farsi male con i tanti chiodi presenti.

Arrivo alla fine del pontile e mi siedo su una specie di panchina dove Leonardo e Maya la sera amavano leggere i loro libri. Alzo gli occhi, guardo l'orizzonte... e vedo in lontananza, quasi raggiungibile a nuoto, quello che è, a mio avviso, uno dei migliori siti d'immersione, se non il migliore, dell'intero arcipelago, dunque del mondo: Mike's Point.

Immersioni a Raja Ampat: Mike's point

Nell'epicentro della biodiversità marina mondiale, le immersioni non possono che esser assolutamente sbalorditive, fantasmagoriche, probabilmente le migliori al mondo. L'arcipelago papuano, fortunatamente ancora intatto, vanta indubbiamente alcuni dei siti subacquei più belli ed incontaminati del pianeta, anche se la visibilità non sempre è eccezionale per via dell'enorme quantità di microscopici nutrienti presenti in acqua.

Mappa dei punti dei principali punti d'immersione di Raja Ampat vicino le isole di Kri e Gam

Solo pochi minuti di barca, muta corta da 3 mm, monobombola da 12 litri e giù... verso l'infinito ed oltre. Comincia la discesa e lo stupore prende il sopravvento: pianori corallini che terminano in improvvisi ed adrenalinici drop-off, pareti verticali o dolcemente degradanti come Chicken reef, Mios kon, Arborek, Friwen wall, Cape Kri o Yembuba, che sprofondano nel blu totalmente ricoperte da coralli molli e duri di ogni forma, colore e dimensione con forte presenza di pesce pelagico di passo... secche dagli abissi isolate nel blu che divengono cleaning station di mante oceaniche giganti come al "Manta Sandy", praterie infinite di corallo come Melissa's garden e l'adrenalinica Otdima, il cui nome in indonesiano significa "Where is my guide" tanto forti ed imprevedibili sono le correnti... e poi pinnacoli e barriere sottomarine improvvise in mezzo all'oceano come Sardines reef o Blue Magic, un incredibile sito battuto da forti correnti dove in ogni immersione avvisteremo mante giganti...

Il 3 Gennaio 2017 si va a Painemu: prima immersione a Melissa's garden, seconda ad Arborek, gran finale al Manta Sandy

Stupefacente davvero, un caleidoscopio, mai uguale, variazioni discontinue di colore con tutt'intorno un'esplosione di vita, ogni sorta di pesce di barriera possibile ed immaginabile.

Il paesaggio sottomarino è dominato da una immensa barriera corallina, in ottimo stato di salute e non toccata dai fenomeni di sbiancamento. Facendo immersioni a Raja Ampat è praticamente impossibile imbattersi in pareti di roccia nuda: i coralli sono e crescono ovunque, e su di essi poi attecchiscono altre forme di vita.

Leonardo con una manta gigante nella cleaning station di Manta Sandy vicino Arborek

E' abbastanza inutile elencare le specie che è possibile trovare buttandosi in acqua. Tutte, nessuna esclusa. Tutte significa tutte, dal piccolissimo nudibranco e cavalluccio marino al "the big suff", la roba grossa come dugonghi, delfini, tonni, barracuda, squali, balene e mante giganti oceaniche con apertura alare anche di 5-6 metri. Per vedere tutti i pesci ed i coralli possibili ed immaginabili, non serve neppure fare immersioni con bombole, basta indossare la maschera, buttarsi in acqua e fare poche bracciate a nuoto dal proprio bungalow. Questo è lo spettacolo che si può vedere sotto al pontile di una homestay dell'isola di Kri.

A Raja Ampat vivono anche specie molto rare e continuamente se ne scoprono di nuove, come il "walking shark", un tipo particolare di squalo bambù che si muove sul fondale facendo leva sulle pinne con movimenti che ricordano per l'appunto una camminata. Si avvistano regolarmente anche diversi esemplari di sperm whale, una specie di gigantesco capodoglio stile Moby Dick con la testa enorme e la bocca piccola; un suo scheletro si trova anche, ben ricomposto, vicino alle capanne del Koranu Fiak a Kri.

L'attrazione principale di Raja Ampat è indubbiamente però lo squalo tappeto tassellato, chiamato anche "wobbegong", una specie endemica che si può trovare soltanto qui nell'arcipelago, dall'aspetto piuttosto mostruoso e primordiale. Deve il nome sia alla complessa frangia esterna simile ad una barbetta arruffata che si sviluppa intorno alla bocca e che gli conferisce un eccellente mimetismo, sia al fatto che passa la maggior parte del tempo sdraiato sul fondo dell'oceano a mò di tappeto. E' dunque una specie bentonica, con lo spiracolo ben sviluppato. E' solitario ed abitudinario, trascorre gran parte della giornata stando immobile con la coda arricciata all'interno di punti di riposo preferenziali che vengono utilizzati ripetutamente, come caverne, anfratti o sporgenze, diventando invece più attivo di notte, quando comincia a perlustrare il reef per cacciare.

Un wobbegong o squalo tappeto

Spesso in immersione si possono incontrare enormi esemplari di pesce pappagallo, grandi fino ad un metro e mezzo e pesanti 75 kg, facilmente identificabili per la mole e per una grossa protuberanza presente sulla fronte, una sorta di grande bernoccolo utilizzato dai maschi per difendere il proprio territorio.

Sono vere e proprie macchine "fabbrica sabbia". Dobbiamo ringraziare soprattutto questi pesci se possiamo godere delle soffici ed incantate spiagge coralline di sabbia finissima nei paradisi tropicali. Infatti essi grattano la superficie dei coralli triturandone lo scheletro duro servendosi del loro robusto becco e di forti mascelle con denti molto affilati: non essendo tuttavia in grado di digerire il carbonato di calcio, lo espellono insieme alle feci sotto forma di finissima sabbia, creando una caratteristica “nuvola”. Un pesce pappagallo produce ogni anno un centinaio di chili di sabbia, un quantitativo superiore a quello che deriva da qualunque altro processo naturale. A Raja Ampat la specie risulta piuttosto avvicinabile: ascoltarli mentre si avventano con velocità sul corallo colpendolo ripetutamente col loro becco e sgranocchiando i pezzi ingeriti è un’esperienza che non si dimentica.

Anche se potrebbe sembrare il contrario, in realtà tale specie è di fondamentale importanza per il benessere della barriera perché contribuisce alla pulizia del corallo raschiando a fondo la parte ormai morta che si ricopre di alghe e altri organismi vegetali infestanti. La natura come al solito, non sbaglia mai.

Un pesce pappagallo

Io in immersione nei fondali di Raja Ampat

Formazioni coralline a Raja Ampat

Il sito d'immersione a mio avviso più bello, suggestivo e morfologicamente vario di Raja Ampat è Mike's point, il quale prende il nome dal figlio di uno dei pionieri dell'arcipelago di Raja Ampat, nonchè fondatore del Papua Diving, Max Ammer.

Il diving spot si trova al largo dell'isola di Gam, poche centinaia di metri di fronte all'homestay del Kordiris e praticamente concentra tutto il meglio della Raja Ampat subacquea in un solo punto: dal caleidoscopico giardino corallino più superficiale alla parete degradante con improvviso drop-off che si frammenta in grotte, anfratti e pinnacoli fino a profondità da immersione tecnica, superiori ai 40 metri. Un sito favoloso ma non per tutti, perché le correnti sono davvero forti e variabili e ciò rende ogni tuffo, praticamente diverso dall'altro. Si potrebbero fare immersioni a Raja Ampat anche soltanto a Mike's point ed ogni volta si uscirebbe dall'acqua sbalorditi più di prima.

In superficie è solo uno scoglio, battuto da forti correnti, con inquietanti gorghi ben visibili dalla superficie, un qualcosa di molto simile a Batu Bolong a Komodo. Leggende locali narrano addirittura che l'isolotto fu bombardato dagli aerei alleati durante la seconda guerra mondiale, i quali scambiarono dall'alto gli intensi vortici del mare con una nave da guerra giapponese. Non ci sono prove di questo, anche se ciò spiegherebbe la frastagliata morfologia del panorama sottomarino non riscontrabile in altri siti d'immersione; è certo comunque che l'attività bellica nell'area durante gli anni '40 fu assai intensa perché Max Ammer ha trovato vicino al suo centro diversi proiettili calibro 50 datati 1942, i quali venivano utilizzati dalle mitragliatrici Browning M2 montate sugli aerei americani durante la seconda guerra mondiale.

Il panettone di giungla, sferzato dalle onde e dal vento, sott'acqua diviene una specie di fungo, con la testa coperta di vegetazione che emerge dalla superficie ed il fusto sott'acqua che si assottiglia appoggiandosi su un pianoro morfologicamente molto vario, in parte sabbioso ed in parte roccioso con grotte, anfratti ed un paio di fantastici tunnel da percorrere con la luce della torcia. Un magnifico, vasto e coloratissimo giardino di corallo, che sembra realizzato da un artista, lascia il posto ad una serie di spacchi e terrazze a profondità crescenti, con numerose grotte e caverne dove si incontra di tutto, dai wobbegong alle tante tartarughe, fino ad arrivare all'ultimo plateau oltre i 40 metri. Ogni occhiata data nel blu, togliendo lo sguardo dalla parete, cattura pelagico di passaggio, napoleoni alla deriva nella corrente, squali, a volte mante oceaniche, tanti tonni, barracuda e pesci palla.

Mike's point è un'immersione assolutamente fantasmagorica, una delle mie preferite, sul podio dei diving spots di Raja Ampat insieme a Blue Magic, dove la probabilità di avvistare mante oceaniche di passaggio è davvero alta, e Melissas' garden con il suo coloratissimo giardino corallino che non sembra avere mai fine.

Ripenso spesso alla fortuna da subacqueo che ho avuto nella vita. Mi sono immerso in molti dei diving spots più incredibili del mondo: tra gli squali martello delle Isole Galapagos ed i moai sommersi dell'Isola di Pasqua in Polinesia, nel Great Blue Hole del Belize, nelle barriere coralline africane della Tanzania, nei reef maldiviani con acqua calda e grande visibilità e nei laghi italiani scuri e gelidi con muta stagna e bibombola 12+12... nei cenotes del Messico, nei Caraibi a Cuba, in Nicaragua e Costarica, nella mia amatissima ed inarrivabile Indonesia nel Sulawesi e nell'arcipelago di Komodo... sono arrivato fino all'incredibile reef di Tubbataha, sperduto nel Mar di Sulu delle Filippine in mezzo all'oceano ad est di Palawan... nelle isole italiane, nei relitti della Sardegna come in quelli di Malta, nelle barriere coralline di Tiran e Ras Mohamed in Mar Rosso...

Ebbene, molti mi chiedono quale sia stato il mio paradiso subacqueo assoluto, il luogo a cui penso ogni volta (capita spesso... ) che voglio fuggire dalla quotidianità e perdermi nel blu. La scelta è ardua: con assoluta certezza posso dire che il mio podio è costituito dalla triade Komodo, Raja Ampat, Tubbataha, tutti nel triangolo d'oro dei coralli. Ma voglio sbilanciarmi.

Se è vero che a Komodo ho fatto e ripetuto per ben due volte l'immersione più bella e psichedelica della mia vita in quell'incredibile sito che prende il nome di Batu Bolong, se è vero che Tubbataha mi ha regalato emozioni indimenticabili anche per via di svariati incontri da infarto con gli squali balena a 30 metri di profondità, la risposta non può che essere in generale, considerando la varietà dei siti sottomarini, la biodiversità e la bellezza paesaggistica anche fuori dall'acqua, l'arcipelago dei Quattro Re.

Il filmato finale delle immersioni a Raja Ampat merita un sottofondo pianistico di tutto rispetto. Come nei video dei post di Batu Bolong e Tubbataha, merita il meglio, merita Chopin. Ed uno dei suoi notturni a mio avviso più belli e romantici, l'opera 9 numero 1.

Cambiamenti climatici, barriere coralline e capitalismo

Il mare è il sistema di supporto vitale per eccellenza del pianeta Terra, un bene comune che ci fornisce tanti servizi gratuiti, dai trasporti, all'immagazzinamento di carbonio, al cibo, all'ossigeno, svolgendo un ruolo cruciale nella regolazione meteorologica, termica e climatica del pianeta. Dalla sua salute pertanto dipende il futuro ed il benessere di tutta l'umanità. Purtroppo i cambiamenti climatici, che in ultima e semplicissima analisi sono riconducibili solo ed esclusivamente al sistema economico capitalista, impattano in modo devastante su tale oro blu ed in particolare sulle barriere coralline, base e fondamenta dell'intero ecosistema marino: esse infatti coprono appena l'1% dei fondali a livello globale, ma costituiscono l'habitat di circa un quarto delle specie acquatiche note, fornendo supporto alimentare a decine di milioni di persone che vivono nelle regioni costiere.

Secondo gli ultimi studi dell'IPCC, principale organismo mondiale deputato allo studio dei cambiamenti climatici, anche nello scenario più ottimista di aumento a fine secolo della temperatura media limitato a soli 2°C, ci sarebbero comunque conseguenze gravissime quali l'aumento degli eventi meteorologici estremi, cambiamenti delle correnti oceaniche, innalzamento del livello del mare dovuto alla fusione dei ghiacci marini e delle calotte polari e aumento generale della temperatura delle acque. Avere uno strato superficiale della colonna d'acqua più caldo significa avere un oceano termicamente più "stratificato" con minor scambio d'acqua tra gli strati superiori e quelli inferiori più freddi; ciò influenza direttamente lo scambio di nutrienti e tutta la relativa catena alimentare, con impatto negativo anche sulle attività umane di pesca.

Il riscaldamento globale ha un impatto devastante sulle barriere coralline del mondo. Il "bleaching", lo "sbiancamento", è la prima risposta dei coralli alle situazioni di stress ambientale, un fenomeno distruttivo non sempre reversibile che può portare alla morte delle barriere. Può esser dovuto a tanti fattori, alcuni più o meno naturali, altri direttamente antropici, quali l'aumentato irraggiamento solare per la riduzione dello strato di ozono, il cambiamento della composizione chimico-fisica dell'acqua come il pH o il grado di salinità, i cambiamenti nelle correnti, il livello di inquinamento, l'alterazione delle specie in equilibrio nella barriera dovute alla pesca illegale, l'aumento del numero e dell'intensità dei fenomeni meteorologici estremi. Indubbiamente però la principale causa del fenomeno dello sbiancamento corallino è l'innalzamento della temperatura media delle acque: infatti dove maggiori sono stati gli effetti del riscaldamento maggiore è stata anche l'incidenza di tale fenomeno.

Come e perché avviene tale bleaching? Il colore caratteristico di ogni specie di corallo è dato da alcune alghe unicellulari fotosintetizzanti note come zooxantelle che vivono in simbiosi con i polipi; il colore è tanto più vivido quanto maggiore è la concentrazione di questo microorganismo. Si genera una relazione reciproca tra il polipo e l'alga in cui ogni organismo fornisce un beneficio all’altro: il corallo fornisce alle alghe un ambiente protetto e sostanze nutrienti come fosfati, nitrati ed anidride carbonica ed in cambio, le alghe eseguono la fotosintesi producendo ossigeno e glucosio, il nutrimento dei polipi, coprendo così il fabbisogno energetico richiesto per la calcificazione, la crescita e la riproduzione dei coralli.

Quando aumenta la temperatura dell'acqua, l'intero sistema simbiotico entra in una sorta di "febbre": le zooxantelle non sono più in grado di dare nutrimento mediante fotosintesi ma cominciano a produrre radicali liberi e sono pertanto espulse dai polipi del corallo facendo assumere alla struttura calcarea una colorazione tanto più bianca quanto più radicale e definitivo è il fenomeno espulsivo. Purtroppo in assenza della loro unica fonte di nutrimento, i polipi sono destinati a morire.

Se le temperature tornano regolari in tempi brevi, cioè prima che i coralli abbiano esaurito le loro riserve energetiche, la simbiosi può essere ristabilita. Altrimenti, sono destinati inevitabilmente a morire per mancanza di nutrienti. Sono molti i fattori che incidono sul recupero della simbiosi: ovviamente ogni elemento di stress alla barriera genera effetti cumulativi che allontanano la reversibilità simbiotica pregiudicando la sopravvivenza del reef. Diverse specie di corallo sono più o meno resistenti agli effetti termici. Alcune sembrano persino in grado di adattarsi alle elevate temperature dunque è ragionevole supporre che i cambiamenti climatici saranno probabilmente responsabili della morte selettiva di alcune specie rispetto ad altre favorendo, darwinianamente parlando, le specie più adattive. Nonostante ciò, tutti gli scienziati sembrano piuttosto concordi nel ritenere che il processo di sbiancamento stia avvenendo in tempi troppo brevi, ben inferiori al tempo necessario per il recupero della simbiosi e che la biodiversità delle barriere sarà comunque fortemente compromessa.

L’aumento della temperatura rappresenta solo una parte del problema di distruzione degli habitat corallini marini.

Con l’aumentare delle emissioni cambia anche la chimica dell'oceano, che diventa più acido. Gli oceani, infatti, sono il più grande deposito al mondo di carbonio: ogni anno assorbono quasi un terzo di tutta l'anidride carbonica prodotta dall'attività umana, riuscendo ad immagazzinarne una quantità ben 50 volte superiore rispetto a quella di tutta l'atmosfera terrestre.

L'aumento di concentrazione atmosferica di gas climalteranti genera pertanto una progressiva acidificazione degli oceani, ovvero un abbassamento del pH dell’acqua e un calo degli ioni carbonato CO3- in essa disciolti, assolutamente deleterio per tutte le formazioni coralline del reef, il cui scheletro è costituito essenzialmente da carbonato di calcio, CaCO3 . Poco a poco i sedimenti che fanno da fondamenta al reef iniziano a dissolversi. Un vero e proprio disastro ambientale.

Cambiamenti chimici molto più lenti in un lontano passato hanno causato estinzioni marine di massa cosicché è ragionevole supporre che il tasso di acidificazione senza precedenti di oggi possa portare a cambiamenti inimmaginabili. Se le emissioni di anidride carbonica si manterranno su questi ritmi attuali, le acque degli oceani potrebbero essere una volta e mezzo più acide di quelle attuali entro la fine del secolo, condizione questa che non si verifica sul pianeta da più di 20 milioni di anni ed a cui probabilmente i reef corallini non saranno in grado di adattarsi: infatti ai coralli serve più energia per la calcificazione e diventa molto più difficile sopravvivere alla perdita delle alghe simbiotiche fotosintetiche, che forniscono loro la maggior parte del nutrimento.

L’acidificazione, costituisce un grande fattore di stress che non solo riduce la capacità di recupero post-sbiancamento, ma abbassa anche la temperatura di soglia oltre la quale si verifica il bleaching, costituendo pertanto una delle cause, anche se indirette, del bleaching stesso.

Negli ultimi 35 anni quasi il 50% dei reef è scomparso a causa del fenomeno dello sbiancamento e delle malattie che insorgono successivamente anche quando la simbiosi viene recuperata, a causa del forte stress a cui sono sottoposti i coralli. Proprio nell'anno in cui ho effettuato il viaggio a Raja Ampat, nel 2016, è andato distrutto circa il 30% della grande barriera australiana. Purtroppo le previsioni dovute alle simulazioni dell'IPCC, anche le più conservatrici, le meno allarmistiche e più ottimiste, dimostrano che se le emissioni di gas climalteranti continueranno allo stesso ritmo di oggi, entro la fine del secolo il 99% delle barriere coralline sarà scomparso. E con esse il loro incredibile ecosistema marino, danneggiando in modo irreversibile le popolazioni costiere che vivono di pesca e che vedranno crollare il proprio potenziale di cattura delle risorse ittiche. I poveri dunque, saranno al solito sempre più poveri e costretti ad abbandonare le loro terre spostandosi in altre aree del mondo e diventando i nuovi migranti ambientali; aumenteranno le guerre per l' accaparramento di cibo e delle risorse. Aumenterà la povertà, la quale a sua volta, in un circolo vizioso che si autoalimenta, aumenterà l'esplosione demografica che a sua volta aumenterà le esigenze alimentari sempre più scarse.

Non se ne esce. Spiacenti signori sostenitori del libero mercato, apologeti dell'ossimorico concetto di economia "sociale capitalista". Non se ne esce se non mediante cambio radicale del paradigma economico. Inutile fare ricerca sull'impatto delle creme solari nei coralli, inutile cari "gretini" di tutto il mondo, fare marce per santificare Greta Thunberg e lottare per la diffusione delle auto elettriche, inutile distribuire aiuti ai paesi poveri, inutile discutere sull'immigrazione e sul razzismo, su frontiere aperte o chiuse, su un aumento di un punto percentuale della quota rinnovabile dell'energia. O donando il 5 per mille a Save The Children o Greenpeace. Tutte cazzate, puro e semplice "greenwashing" utile al sistema per sopravvivere e continuare a perpetuare i propri crimini contro l'uomo e l'ambiente, controllando le masse ed illudendole del contrario.

Non se ne esce se non capiamo tutti, nessuno escluso, che i cambiamenti climatici che devastano le barriere coralline e gli ecosistemi di tutto il mondo non sono dovuti all'attività antropica in sé, ma al folle attuale modello di produzione e consumo esportato nel mondo a suon di bombe, del quale beneficiano veramente in pochi mentre la maggior parte della popolazione mondiale, nonché la nostra grande madre terra ne è pesantemente danneggiata. Il capitalismo sta distruggendo il mondo, siamo un treno impazzito che corre a tutta velocità verso un burrone e noi continuiamo a ballare ed a far festa.

Ecologia, problemi ambientali e problemi sociali nel mondo vanno a braccetto. Non me ne voglia la povera Greta Thunberg, purtroppo solo una inconsapevole marionetta pilotata da burattinai che stanno ben più in alto, ma non si possono risolvere i primi se non si mette mano in modo radicale e definitivo ai secondi.

Cari subacquei di tutto il mondo, se vogliamo continuare ad immergerci nelle meravigliose barriere coralline tropicali, continuando a vedere bellissimi pesci di colore variopinto e soprattutto se vogliamo dare ad i nostri figli e nipoti la possibilità di farlo, allora non c'è altra strada che cominciare a lottare ogni giorno contro il mostro capitalista che distrugge il mare, l'ambiente e l'uomo. Dobbiamo combattere per un mondo più equo, più giusto, con meno disuguaglianze e meno consumismo, un mondo dove regni la pace, la solidarietà e la cooperazione tra popoli, non la competizione economica sfrenata, dogma assoluto del sistema economico predatorio basato sul libero mercato, che genera guerra, mercantilismo, disparità di opportunità e devastazione ambientale. Dobbiamo lottare tutti insieme per costruire un modello di società che metta la felicità dell'uomo e la tutela della natura al centro del progetto.