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Amazzonia

Finalmente, Amazzonia!

Dovevo andare ad Iquitos nel 2011 nel corso del mio viaggio in Perù ma il destino mi ha portato nientepopodimenoche... all'isola di Pasqua! Dopo esser stato a La Paz e nella regione del lago Titicaca, pensavo di andare al Salar de Uyuni, tanto caro ad Elon Musk ed i suoi bei colpi di stato e da lì poi in Cile nel deserto di Atacama. Ma ancora una volta dovrò cambiare piani perché arrivato in aeroporto, impossibilitato a comprare il biglietto con anticipo per via della pessima connessione internet boliviana, scopro che il cessna per Uyuni è pieno; ne partirà un altro soltanto 3 giorni dopo. Oramai questi improvvisi cambi di programma in viaggio non mi preoccupano più, ci sono abituato. Anzi, mi stimolano e mi emozionano perché sempre mi riservano grandi sorprese.

Mi giro e vedo il check-in di una piccola compagnia, un nome un programma: Amazonas. Il volo in partenza è per Rurrenabaque, una minuscola cittadina nel bel mezzo della più selvaggia ed incontaminata foresta amazzonica boliviana. Le Ande infatti, dividono la Bolivia in diagonale praticamente in due, ad ovest l'altipiano ed ad est l'Amazzonia che così occupa quasi la metà dell'intero territorio nazionale.

Destino vuole che il cessna che va a Rurre, come in gergo la chiamano tutti, è invece quasi vuoto. E Rurre sia! Corono così un altro dei tanti sogni di viaggio, sempre accarezzati nella mia vita.

A Rurrenabaque si può anche arrivare da La Paz mediante un'interminabile viaggio di 24 ore via terra, attraversando in bus la Cordillera Real andina direzione Coroico. Se volete morire giovani scegliete tale soluzione, attraverso la famosissima, in senso negativo, La Paz-Coroico, la strada in assoluto più pericolosa del mondo. Diversi video orribili sono presenti su you-tube, con pullman che cadono nel vuoto. Strada allucinante, strettissima ed a strapiombo, sterrata e senza protezioni, percorsa in doppio senso da camion e bus, chiamata, non a torto, “el camino de la muerte”. Croci ovunque lungo il percorso. La mia anche no, grazie. Mi basterà avvicinarla da La Paz e dargli un'occhiata rapida con una bicicletta affittata ed un gruppo di ciclisti conosciuti sul posto. In pullman anche no, grazie... Sai com'è, ho moglie e figli e non mi va di affidare la mia vita ad una persona che nemmeno conosco e che non so cos'ha fatto la sera prima. Magari è ancora ubriaco lercio. Mi piace rischiare, il brivido da sempre mi attira, non farei subacquea ed alpinismo altrimenti; ma voglio quando possibile, avere sempre io il controllo totale ed assoluto della situazione. Aeroplano sia.

Lo sgarrupato aeroporto di Rurrenabaque

Dopo un'oretta di volo turbolento da La Paz, il pilota del bimotore che mi è a fianco, parecchio fuori di testa, panzone e canna di marijuana semiaccesa in mano, atterra nella pista sterrata dello sgarrupato aeroporto di Rurrenabaque... dai 4000 metri di El Alto, las tierras altas, ai 200 metri sopra il livello del mare di Rurre, las tierras bajas. Una bella “compressione d'azoto” a cui sono ben abituato essendo un sub!

Un volo comunque letteralmente allucinante: ero seduto a fianco del pilota fuori di testa con una sola altra persona a bordo; sembrava che ogni volta ci andassimo a schiantare sulle montagne... e poi, scavallate le Ande, giù in picchiata, quasi in caduta libera... e lui che rideva come un matto, cercando sempre con l'accendino di riaccendere il cannone che però puntualmente si rispegneva.

Scendo dall'aeroplano e bacio terra per esser sopravvissuto al sorvolo della Cordillera Real... forse mi conveniva andar a Coroico col pullman, avrei rischiato meno.

Una birra col lo psyco-pilota nel chiosco rosso Coca Cola dell'aeroporto, praticamente 4 assi di legno pericolanti e due tavolini di plastica, e ci separiamo. Lui riparte per La Paz, con gli effetti dell'alcool che si aggiungono a quelli del THC... poveri passeggeri! Io mi incammino a piedi, nella giungla, nell'unica stradina esistente verso un minimo di civiltà.

Mi avvolge subito una cappa infernale. Benvenuto in Amazzonia Stè! Per la prima volta... Che emozione!

Abitazioni di Rurrenabaque

Il piccolo paesino addormentato di Rurrenabaque, semideserto e soffocato dal caldo, si affaccia sul fiume Rio Beni, affluente del Rio delle Amazzoni. Il luogo, immerso nel verde della selva, è di una bellezza disarmante, malinconica, struggente. Qua e là qualche piccolo ristorantino con tavole di legno verniciate alla buona, ventilatore a soffitto e tetto in lamiera arrugginita, un internet point con connessione però che rimane solo un sogno impossibile, alcune piccole agenzie locali per escursioni sulla giungla. Qualche cane randagio, il rumore lontano di qualche motorino. Ed il dolce suono del fiume che scorre placido e tranquillo. Uno di quei luoghi nel mondo che ti fa dire: ma dove cazzo sono finito! Ah, quanto adoro questa sensazione di isolamento geografico totale e precarietà...

Il mio obiettivo è navigare il Rio Beni per entrare nel luogo a maggior biodiversità mondiale, il Madidi National Park.

Il piccolo imbarcadero di Rurrenabaque sul Rio Beni

A Rurre, in un chioschetto conosco Juan, ragazzo di 22 anni del posto. Davvero in gamba, grande maturità nonostante la giovane età. Alla mia richiesta di informazioni per entrare una settimana nel Madidi, mi mette subito in guardia. E' un luogo bellissimo, unico al mondo ma estremamente pericoloso, trattandosi di foresta primaria millenaria: molti ricercatori in passato si sono persi e scomparsi, alcuni sono morti, altri gravemente ammalati.

E' assolutamente impensabile andare lì da soli, senza una guida locale, che sia vissuta all'interno dell'area, machete in mano, che conosca luoghi, sentieri nella giungla e soprattutto pericoli. Perché in Amazzonia ogni cosa, la più stupida ed insignificante, può esser molto pericolosa e mortale. Lui è nato ed ha vissuto molti anni in una comunità indigena isolata, proprio dentro al Madidi e lì spesso torna perché ha la propria famiglia. Si offre di accompagnarmi l'intera settimana ed io accetto ben volentieri. Ma, nonostante le mie pacate e frequenti insistenze, non mi porterà nella sua comunità, il cui posizionamento nell'area è volutamente tenuto segreto. La mia curiosità "antropologica" costituirebbe un danno immenso per un popolo indigeno che ancora vive di tradizioni ancestrali; tale popolo, ha avuto frequenti contatti con la civiltà ma questi sono stati brevi, fugaci e sempre in ogni caso disastrosi, soprattutto a livello di malattie trasmesse e contaminazioni culturali, linguistiche, ideologiche, sociali. Così, con il tempo, gli indigeni hanno scelto volontariamente di autoisolarsi recuperando le loro tradizioni più antiche: oggi i familiari di Juan, vivono in radure nella selva, in capanne, esattamente come facevano centinaia di anni fa, coltivando e cacciando con poche o nulle concessioni alla modernità. Vanno lasciati così: senza disturbarli e volerli studiare.

La storia di tale comunità è davvero interessante. Gli indigeni, negli anni passati, inevitabilmente attirati dalle sirene del progresso e del consumo, abbandonavano sempre più la selva per andare a vivere a Rurrenabaque, dove però dovevano lavorare 12 ore al giorno da schiavi per 5 miseri dollari, tagliando legna per una compagnia straniera destinata all'esportazione in Argentina e Brasile. Il consiglio degli anziani si riunì, capirono che con il tempo, questa emigrazione verso la “civiltà” avrebbe portato alla totale scomparsa della loro cultura e della loro felicità. Il tutto per una vita di merda. Il consumo e la "modernità" in cambio di una vita di merda, 12 ore al giorno di lavoro sette giorni su sette, 365 giorni all'anno senza diritti. Pura schiavitù. Per 5 cazzo di miseri dollari giornalieri.

Era decisamente meglio la foresta. Così hanno creato, con l'aiuto di giovani come Juan, un gruppo di capanne vicino ad una laguna e con gli introiti del turismo ecosostenibile sono riusciti in una manciata di anni, grazie anche all'intervento di associazioni locali e l'aiuto dello stato socialista di Evo Morales, da sempre molto attento e sensibile alle tematiche ambientali ed ai bisogni degli indigeni, ad acquistare addirittura il diritto esclusivo dell'intero parco Madidi. Un territorio sconfinato ed assolutamente ed intoccabile tutto per loro, equivalente alla superficie di Marche ed Abruzzo messe insieme. Da Vasto a Pesaro. Che risultato pazzesco. Sono davvero contento che i miei soldi vadano allo sviluppo di progetti di questo tipo. A persone come Juan ed indirettamente ai suoi genitori, alla salvaguardia di un popolo indigeno e della foresta amazzonica più immacolata e vergine.

Juan mi spiega l'organizzazione politica e comunitaria. Le decisioni più importanti sono prese da un consiglio di anziani su cui svetta un "grande capo". C'è il religioso, il curandero del villaggio, ci sono i coltivatori, gli allevatori (principalmente polli) ed i cacciatori... cacciano poco, soprattutto i pericolosi maiali selvatici, grazie ad archi e frecce; le punte le realizzano con degli affilatissimi aghi molto velenosi che si trovano sull'albero del diavolo. La regola sacrosanta è la preservazione assoluta ed incondizionata della foresta primaria; possono tagliare solo legname di scarto, ovvero alberi già caduti o non caduti ma già morti, della foresta secondaria. Rotazione rigida delle colture per preservare fertilità del suolo e produzione locale dell'intero fabbisogno energetico ed alimentare, con pannelli solari che producono la poca elettricità di cui hanno bisogno.

Interessante notare che queste persone non sono costrette a vivere così, in modo così semplice, umile, non convenzionale e lontano dalla civiltà. Lo hanno fatto per scelta e sono felici così. Hanno sperimentato la vita di paese. Hanno capito cosa significa consumismo e schiavitù del lavoro e dei beni materiali ed hanno scelto di conseguenza di tornare alle origini.

Rifletto... noi pensiamo di essere felici nelle grandi città, protetti da benessere e comodità. Pensiamo di esser felici e soprattutto liberi. Invece probabilmente siamo schiavi di un sistema che ci costringe a lavorare 10 ore al giorno per il dio denaro, mettendo da parte le nostre passioni più grandi, inculcandoci tramite subdole pubblicità bisogni falsi ed effimeri, così da farci lavorare ancora di più per comprare oggetti che dopo poco non ci soddisferanno più... perché grazie alla pubblicità, la società del consumo ha già creato nuovi bisogni, nuovi status symbol. Comprata la nuova auto fiammante, la gioia dura lo spazio di una settimana. E già ne desideriamo un'altra più bella e più grande. In questa assurda ricerca materialista che non avrà mai fine, l'essenza base del capitalismo, siamo sempre più tristi, soli ed indebitati, con il mostro capitalista che gioisce perché si nutre voracemente della nostra stessa infelicità. Persone infelici comprano di più, pensando di coprire col materialismo e l'acquisto ossessivo compulsivo il vuoto interiore generato dalla solitudine. E la vita scivola via in un attimo. Chi sono dunque i pazzi? Loro o noi?

Navigando il Rio Beni verso il Madidi

Il tempo di organizzare scorte e viveri e partiamo. Ovviamente via fiume. In tutta la regione amazzonica boliviana infatti, le vie di comunicazione nell'area sono scarse ed assolutamente pietose (sperimentato sulla mia pelle), le strade sono poche e davvero malmesse, sterrate ed oltretutto poco percorribili durante la stagione delle piogge; le uniche vie di comunicazione sicure sono i fiumi, principalmente il Rio Mamoré, il Rio Beni ed il Madre de Dios.

Madidi National Park

La lancia scivola a favore di corrente sulle acque marroni e melmose del fiume. Attraversiamo paesaggi fantasmagorici con la natura intorno che urla a squarciagola: uccelli, alligatori, aquile, ragni ognidove ed insetti. Scarafaggi giganteschi. Diversi capibara sulla riva, un roditore davvero enorme. Non mi perdo nemmeno un minuto di questa magia e lascio che ogni singolo fotone rimanga impresso nella mia retina per sempre: sto navigando su un affluente del Rio delle Amazzoni, nel cuore del polmone verde del mondo!

Dopo un giorno intero di navigazione del Rio Beni, Juan ferma la barca su una spiaggetta. Una breve camminata e siamo all'ingresso del Madidi National Park. Un paio di casette in mattoni, sedi dei guardaparco, dove compilare il registro d'ingresso nell'area protetta.

Cazzo, sono dentro al Madidi. Ce l'ho fatta!

Ingresso al Madidi National Park

Il Madidi è un gioiello assoluto, da preservare con ogni mezzo. E' una delle aree dell'Amazzonia più isolate, vergini, selvagge, inesplorate ed incontaminate. Record su record, essendo stato dichiarato come il luogo del pianeta con la maggiore biodiversità. Ogni spedizione scientifica ne esce (sempre se esce viva!) letteralmente sbalordita e sconvolta, con sempre numerose nuove specie animali e vegetali che si scoprono. Una fabbrica pazzesca di specie: lo stesso Juan mi conferma, che spesso si trova di fronte ad animali e piante mai viste.

Nel parco sono presenti oltre 1200 diverse specie di uccelli, 270 specie di mammiferi, 500 specie di pesci, 200 specie di anfibi e oltre 120.000 specie di invertebrati. Questi numeri confermano il Madidi come l’area protetta con più specie di piante, farfalle, uccelli e mammiferi, anfibi e rettili registrate al mondo, stracciando letteralmente la concorrenza di altre aree incredibili come il Parque Nacional del Manu, in Perú ed il Parque Nacional Yasuní, in Ecuador.

Un paradiso terrestre dunque. Ma anche no. O meglio, solo in apparenza. Chi ha avuto modo di visitarlo almeno una volta sa che è esattamente il contrario: il Madidi più che un paradiso verde è un inferno verde. Data l'abnorme biodiversità, molti biologi, botanici e scienziati, ogni anno cercano di penetrare la selva e studiare l’ambiente e le specie che vi abitano ma solo una piccola minoranza, decide di ripetere l’esperienza una seconda volta. Chissà perché...

Le condizioni sono oggettivamente estreme. Temperatura ed umidità altissime. E la morte dietro l'angolo, perché quasi tutto ciò che vive nel parco, vegetale o animale ha poca importanza, è pericoloso, velenoso, in alcuni casi addirittura letale. Alcuni tipi di insetti, ragni, scorpioni, serpenti e piante, dispongono di veleni poco studiati e conosciuti, dagli effetti assai rapidi che possono paralizzare ed anche uccidere gli esseri umani; bellissime le rane arboricole dai colori sgargianti verdissimi, arancionissimi, giallissimi, ma se accidentalmente le tocchi fatti il segno della croce perché hai vita breve a causa dei loro devastanti veleni emotossici che rapidamente attraversano la barriera epidermica... magari vai a sciacquarti nel corso d'acqua ed un caimano nero gigante ti stacca un pezzo del corpo; anche i maiali selvatici possono uccidere. E' successo in casi rarissimi, ma è successo, con gruppi di decine di suini impazziti che hanno caricato uomini uccidendoli e riducendoli in brandelli.

Il solo contatto con una delle piante o degli animali del parco, che possono magari sembrare innocenti coloratissime farfalle o grandi falene, può causare grave prurito, eruzioni cutanee e vertigini. Basta strusciare per sbaglio, magari stanchi delle ore di marcia nella foresta, delle foglie, che si scatenano bruciori irresistibili ed eruzioni cutanee urticanti che costringono all'immediata ospedalizzazione... ovviamente dopo due-tre giorni di marcia serrata nella giungla per tornare al fiume e da qui un giorno di navigazione per andar nell'ambulatorio di Rurrenabaque... e capire che era meglio curarsi da soli nella selva con qualche “curandero”.

Tagli e piccole ferite sono pericolosissime perché possono esser infettate e colonizzate da parassiti tropicali come vermi e larve di mosca della sabbia con conseguenti malattie come la leishmaniosi, che possono manifestarsi anche in seguito e provocare danni ad organi interni non sempre reversibili e da cui è davvero difficile riprendersi. Ci sono dei vermi che possono mangiarti vivo dall'interno, letteralmente, colonizzando e facendosi largo nello stomaco; ed anche mosche antropofaghe (non sto scherzando, antropofaghe!) come la Botfly o torsalo, che non ha né la pazienza, né l'educazione di aspettare il decesso dell'organismo infettato per cominciare a divorarlo: dunque lo fa mentre questi è vivo e vegeto anche se con tremori e febbre altissima, con le larve in esponenziale proliferazione che divorano i tessuti poco alla volta generando grossi buchi nella carne. Per non parlare ovviamente di velenosissimi funghi da cui stare ben alla larga, pure con lo sguardo, e delle “formiche proiettile”, le cui punture generano dolori fortissimi valutati al quarto grado, il massimo, della scala Shmidt. Cioè, non esiste dolore più grande!

Non sto minimamente scherzando o esagerando. Sono tutte esperienze raccontate da persone del posto con cui ho interagito, Juan compreso, e da ricercatori che hanno scelto di addentrarsi nell'area. Le stesse guide del parco, obbligatorie per entrare, non possono e non vogliono dare alcuna garanzia di sicurezza ed incolumità all’interno dell'area. Chi ama l'estremo e vuole vedere tale luogo unico al mondo deve esser pronto a pagare il massimo. Questo è il loro giustissimo e sacrosanto concetto. In ogni caso, tutti questi rischi e pericoli significano fondamentalmente una sola cosa: madre natura vuole assolutamente proteggere tale inferno verde ad ogni costo dalla mano devastatrice dell'uomo. Forse sarebbe saggio reprimere ogni forma di curiosità di ricerca ed esplorazione. Rinunciare totalmente ad ogni finalità scientifica. Non deve esser fatta a tutti i costi la ricerca. Ci si può anche accontentare di “sapere di non sapere e che si potrebbe sapere tantissimo ma si sceglie di non sapere”. Io non mi accontento ed entro: 5 giorni di marcia nella foresta, nel luogo più biodiverso al mondo.

La laguna incantata di Chalalàn

La nostra base per l'esplorazione del Madidi, sarà un gruppo di capanne sulla riva di una laguna incantata, situata proprio nel cuore del parco. In ogni viaggio trovo il mio angolino di paradiso. La laguna incantata di Chalalan sarà, nell'inferno verde del Madidi, il mio angolo di paradiso blu. Tutte le mattine prima di partire in marcia e tutte le sere esausto al rientro mi fermerò lì su quella magica panchina di legno nel pontile semisommerso dall'acqua a leggere, a scrivere e meditare, a guardare l'orizzonte e l'orologio che stranamente è fermo. Sì, perché se ti siedi in quella panchina il tempo non scorre più. Si ferma. Sono solo, nell'isolamento geografico più estremo, nel bel mezzo della foresta amazzonica. Into the wild. Solo. Zero tecnologia, senza telefono, tanto lì non funziona. Una penna ed un taccuino, dove scrivere ricordi che altrimenti si perderebbero negli anfratti della memoria.

La civiltà è lontanissima e questa sensazione di estremo isolamento mi fa letteralmente impazzire di piacere. Prendo la canoa, due colpi di remi e sono al centro dello specchio d'acqua. Nessuna increspatura, sembra olio. Il sole sta tramontando, la luce scende e la selva attorno a me esplode: le scimmie urlatrici, da qualche parte intorno a me, cominciano a ruggire talmente forte che sembrano leoni. La sensazione è assolutamente indescrivibile. Inquietante, meravigliosa. Mi sento piccolo piccolo di fronte tanta grandiosità. Madre natura mi inchino di fronte alla tua magnificenza... Chiudo gli occhi,la canoa è ferma ed immobile; un respiro profondo e mi perdo nell'infinito della bellezza del creato. Sono felice.

La laguna incantata di Chalalàn e la panchina dove gli orologi impazziscono ed il tempo si ferma...

Io e Juan, dormiremo 4 notti in una graziosa capanna sulla riva, zanzariera a coprire tutto il letto e luce fioca grazie all'energia solare derivante da alcuni pannelli fotovoltaici. Le cabañas sono costruite con legna degli alberi naturalmente caduti. Ne cadono molti, soprattutto quelli alti che non hanno radici solide e sono soggetti più degli altri alla forza del vento. Nella foresta sopravvivono darwinianamente parlando, solo i migliori, quelli più forti ed adattivi. Le cabañas hanno tetto molto spiovente, circa 45-50°: qui infatti piove moltissimo, le vicine Ande costituiscono una naturale barriera per le nuvole che ristagnano sopra la foresta causando abbondanti precipitazioni. Una maggiore inclinazione, implica sì maggior consumo di materiale, ma anche maggior durata delle capanne, fino a 30 anni, evitando ristagni d'acqua sulle fronde delle palme messe a loro copertura.

L'acqua dunque qui a Chalalàn, non è un problema, anzi direi che è proprio l'unico problema che non c'è, a causa della pioggia sempre abbondante: si recupera l'acqua piovana grazie ad opportune cisterne e la si beve purificata mediante pastiglie di cloro o filtri fisici. Molti frutti della foresta sono commestibili e poi abbiamo scorte di cibo al seguito, con una piccola cucina a legna dove ci si ritrova la sera attorno al fuocherello.

A cena, ci ritroviamo sempre in 4: io Juan, una guida naturalistica di Rurre ed un ricercatore dell'università di La Paz, tutti grandi appassionati di tematiche politico-economiche ed ambientali. E così, davanti ad un distillato amarissimo di foglie, si discute sui massimi sistemi, inevitabilmente di deforestazione e socialismo. Temi che mi scaldano ed appassionano; ma io cerco di parlare comunque il meno possibile. Ascolto piuttosto, da loro ho solo da imparare. Capirò più della Bolivia in queste serate che in tutto il mio viaggio e in tanti libri letti e ricerche online...

Il tema centrale è ovviamente anche Evo Morales, El Indio, vero uomo di “sinistra” secondo tutti, attento ai problemi degli ultimi e dell'ambiente che ha incredibilmente risollevato l'economia, principalmente attraverso la nazionalizzazione degli asset strategici. Il ricercatore di La Paz mi dice che mai aveva visto prima di Morales, studenti indigeni all'università. Ora invece è la norma e nessuno più si stupisce.

Io ascolto. E comincio a metter insieme i pezzi del mio puzzle. A partire dagli articoli di Repubblica, un tempo mio giornale di riferimento, letti in Italia prima di partire, sulla “dittatura comunista in Bolivia”. E' marzo 2013 e la mia “teoria del tutto” mi si palesa in modo sempre più evidente. Forse ho capito cazzarola, forse allora... e dunque in Italia... e dunque in Europa... e dunque la stampa e l'informazione... ma non può essere... la testa mi fuma e proprio quando stavo per capire, quando stavo per avere l'illuminazione buddhista, quando il mondo intero era nelle mani ed neuroni, assoni e sinapsi andavano alla velocità della luce, porca zozza, porcaccia paletta, rovino tutto cacciando la bottiglia di rum acquistata a Rurre, bottiglia di Rum che dura purtroppo lo spazio di un paio d'ore. Io, Juan e gli altri, senza giungere purtroppo a nessuna conclusione sui problemi dell'umanità, conclusione che sembrava però davvero vicinissima, tra un bicchiere di distillato e due di rum, tra uno di rum e due di distillato, ci sbronzeremo come gli asini, giusto perché domani dobbiamo affrontare tutti e 4 insieme 10 ore di marcia nella giungla in uno dei luoghi più pericolosi al mondo. Ma che serata però! Un po' barcollante, prendo la torcia e tra mille occhi illuminati che mi guardano, vado a sedermi sulla mia panchina di legno dove l'orologio muore ed il tempo si ferma. Guardo al buio totale il cielo stellato totalmente libero e scoperto; sembra che mi scoppi il cuore. Mai visto un cielo così. Sono felice. E brillo. Meglio che vado a dormire.

Stè, mi raccomando però: domani mattina, quando ti alzerai con un cerchio alla testa e berrai due litri d'acqua clorata per riprenderti, ricordati di non metterti subito gli scarponi ma di controllare cosa c'è dentro!!!

Non sento moglie e figli da diversi giorni e mi mancano. Qui il contatto è proprio impossibile. Ora sono in Messico, a godersi la spiaggia di Puerto Vallarta sul Pacifico dove i genitori di Gaby hanno un appartamentino. Io devo scappare invece... Gaby me lo chiede sempre: «Siamo tutti insieme in Messico, perché ogni volta stai 3 giorni e poi devi sempre scappare?» Non lo so: il bisogno di conoscenza, il bisogno di estremo, della natura selvaggia ed incontaminata, il desiderio di visitare luoghi desertici, isolati, remoti ed inospitali è in me innato, primordiale. Incontenibile. Non ce la faccio a star fermo. Voglio vedere e conoscere il mondo intero. Voglio capirlo questo cazzo di mondo impazzito. Perché ancora non lo capisco. La mia “teoria del tutto” è solo abbozzata, il mio “modello standard” ancora incompleto. Anche se, rum e distillati permettendo, mi è sempre più chiaro ed evidente quale sia il grande cancro dell'intero pianeta, l'origine di tutti i suoi problemi.

Sì, poco a poco, anche se in modo non lineare e con tante deviazioni e milioni di dubbi, sempre più spesso nella mia testa i pezzi del puzzle vanno uno ad uno al loro posto ed il quadro si fa sempre più nitido. Deforestazione, guerre, cattiveria, cambiamenti climatici, sovrappopolazione, consumismo, nichilismo e perdita di valori, Europa e Nato, Africa e povertà, migrazioni di massa, Karl Marx, malattie ed imperialismi... sì, tutto sta andando in quella direzione. Forse non è il caos che domina il mondo come vogliono farci credere. Non è la seconda legge della termodinamica dei sistemi S=K*logW, di aumento dell'entropia e dunque del disordine, che determina questo casino infernale della madonna nel pianeta. Tutto ha clamorosamente un'origine ed una causa comune. La mia “teoria del tutto” è solo abbozzata, il mio “modello standard” ancora incompleto. Ma tutto è incredibilmente sempre più chiaro e nitido nella mia testa.

Le capanne di Chalalàn

La mattina ci alziamo presto, quasi al sorgere del sole. Gli animali si avvistano soprattutto nelle prime ore del giorno ed al tramonto e poi le ore di marcia più faticose conviene farle quando non è ancora troppo caldo.

Imperativo assoluto, controllare bene gli scarponi prima di metterli. No, la verità è che non me lo ero ricordato... me lo ricorderà Juan. Grazie Juan! Mi hai salvato da una pericolosa pizzicata! Già... le tarantole giganti nerissime sono ovunque, visibili soprattutto la notte con la luce della torcia quando questa incontra ed illumina gli occhi dei ragni. Ce ne sono a centinaia! E grandi! Ed amano, guarda un po', nascondersi proprio dentro le calzature delle persone. E difatti, quella mattina nei miei scarponi ne troverò non una, ma ben due. La giornata di marcia infernale post sbronza amazzonica, comincia così, con due tarantole nere dentro i miei scarponi. Se il buon giorno si vede dal mattino, sono fritto.

Le tarantole qui, come nel sud est asiatico, le mangiano arrosto, a mo' di spiedino. Facilissime da catturare ed ottima, inesauribile fonte di proteine. Io però non ce la faccio proprio a mettermi in bocca quelle zampette pelose croccanti abbrustolite dal fuoco... In Cambogia fu la stessa cosa, nei mercati di Phnom Penh andavano a ruba, insieme a larve ed insetti. Per dovere di cronaca, tutti ma proprio tutti, sia in Asia che in America latina, dicono che le tarantole siano davvero una prelibatezza assoluta. Mi fido ciecamente.

Tarantole ovunque a Chalalàn!

Esploreremo una grande area del parco, procedendo a raggiera con centro nella base di Chalalàn, marciando senza sosta tutto il giorno in diverse direzioni attraverso diversi sentieri.

Juan sarà per 5 giorni una fonte di informazione continua ed inesauribile. Un interscambio culturale fortissimo, interessantissimo. Parliamo tutto il giorno, alternando nelle tematiche l'Italia alla giungla. Juan non è mai uscito dalla Bolivia ed è davvero incuriosito ed interessato al mio stile di vita europeo. Quanta voglia di Italia c'è nel mondo! Lo vedo e lo percepisco sempre quando viaggio... Discorsi su flora e fauna e sulla storia di Chalalàn, si alternano anche a lunghi silenzi delle marce, ognuno stanco ed assorto nei suoi pensieri.

Juan è ragazzo d'oro. Una volta lasciata la comunità indigena del Madidi, ha provato a vivere a La Paz ed a Santa Cruz, ma non ce l'ha fatta. Il suo posto è nella giungla e così è tornato a Rurrenabaque; ha studiato un anno per diventare guida naturalistica in modo tale da vivere il più possibile nell'unico ambiente dove è felice, dove è nato e dove ha la sua famiglia e gli affetti più cari: la foresta amazzonica più impenetrabile. Discreto e sensibile, curioso, innamorato della sua selva, della quale conosce tutti i segreti, un rispetto ed una venerazione per madre natura che non ho mai visto così spiccata in nessun altro. Soprattutto in un ventenne. Ha studiato poco, ma la sua cultura e la sua maturità fanno impallidire. Juan conosce e riesce a ripetere quasi tutti i suoni degli animali e questi incredibilmente rispondono! Juan è come Mowgli, parla letteralmente con gli animali della foresta, da non credere. Se non l'avessi visto e sentito io, con i miei occhi e le mie orecchie, non ci avrei creduto! Incredibile la sua totale simbiosi e comunione con la natura. Si lascia divorare dalle zanzare ma non si mette repellente, per rispetto alla sua pelle e rispetto alle zanzare. Rispetta pure le zanzare! No, le zanzare no Juan! Io le odio: in Cambogia presi la dengue, quasi mi ammazzavano!

Mi spiega che moltissimi animali della foresta, soprattutto rane e serpenti, sono allergici ai più comuni repellenti ed addirittura muoiono se accidentalmente ci vengono a contatto. Un tipico esempio è l'anaconda, il serpente costrittore più grande del mondo, diffuso soprattutto nella pampa brasiliana ed argentina. In questa regione è presente una varietà più piccola, l'anaconda boliviano che può raggiungere al massimo solo i 3 metri di lunghezza. A volte è capitato di incontrare piccoli anaconda morti o agonizzanti con pelle squamata perché toccati da guide o persone con insetticida nella pelle. Io ho pantaloni e maniche lunghe ma il repellente me lo metto eccome... le zanzare mi massacrano davvero e non le sopporto.

Una ceiba gigante nella foresta amazzonica del Madidi

A pranzo mangiamo bacche squisite, che non a caso sono anche il cibo prediletto delle scimmie e beviamo acqua purissima nascosta all'interno di una pianta... Juan scalfisce la corteccia di un albero e me la fa assaggiare. È aglio! Proprio l'aglio utilizzato dalla comunità indigena... facciamo un po' di scorta per cucinare qualcosa stasera. Io da autentico italiano, ho sempre con me una boccetta di olio extravergine di oliva: stasera al fuoco della cucina di Chalalàn, delle belle bruschette "aglio amazzonico" ed olio extravergine non me le toglie proprio nessuno.

Con le risorse della foresta, si può far tutto, ma proprio tutto, anche realizzare oggetti e colorarli con qualsivoglia colore. Mi mostra una felce, verdissima e mi dice che con questa si può fare il violetto. Non il verde ma il violetto. Così tritura un po' di foglie e le sfrega vigorosamente contro le mani. Il risultato è proprio il violetto; tale colorazione nella pelle diventa pressoché indelebile aggiungendo sale, limone ed "aglio amazzonico". In questo modo gli indigeni si tatuano. Senza aver aggiunto all'impasto sale, aglio e limone ed anche lavandomi diverse volte con sapone, quel colore rimarrà sulla mia mano sinistra per ben due settimane; andrà via solo tornato in Messico! Per due settimane mi toccherà sentire la frase: «Ma che hai fatto alla mano?»

Nel Madidi si può morire con tutto, ma si può anche guarire. Qualsiasi infermità e malattia si può curare con qualche estratto di pianta. Praticamente ogni 5 minuti mi sento dire da Juan «Attento a quella pianta, è mortale... attento a quelle foglie, sono altamente urticanti... fermati e stai fermo immobile, è appena passato un giaguaro, l'impronta è freschissima... lo vedi quel fungo? Basta toccarlo per morire all'istante... non passare lì... da questa pianta si estrae l'antidoto contro il veleno di... attenzione a quella rana coloratissima! Ti paralizza all'istante! Devi sapere che... »

Capisco subito che in quel posto, senza Juan nato e cresciuto nella selva, sarei morto dopo 10 minuti. Meno male però che qualche animale bellissimo da vedere e non mortale c'è: le farfalle sono incantevoli, in particolare quelle della varietà "azules". Sono giganti, di un colore azzurro intenso e sono ovunque, ti svolazzano attorno e si lasciano quasi toccare. Le falene sono decisamente meno belle e soprattutto più pericolose, perché alcune sono velenose ed urticanti, meglio starne alla larga.

Continuiamo a camminare, passo svelto. Decisamente più rapido rispetto a quello della "palma caminadora", una pianta che cerca continuamente la massima esposizione della luce solare e per questo riesce a spostarsi e camminare, inclinandosi e muovendosi anche di 2-3 metri all'anno. Lo fa mettendo continuamente nuove radici che partono da diversi metri d'altezza e penetrano nel terreno sostenendo così il nuovo precario equilibrio e lasciando morire le vecchie non più utilizzate. Insomma, non solo scorpioni e funghi velenosissimi, giaguari intorno a noi e ragni assurdi, scarafaggi che sembrano elicotteri, mosche che ti mangiano da dentro, felci inchiostro, formiche proiettile e chi più ne ha più ne metta... anche alberi che camminano! Sono sbalordito.

La palma caminadora

Attraversiamo la vera giungla amazzonica primordiale, la vera foresta primaria, incontaminata. Qui l'uomo non ha messo mai piede ed è tutto com'era migliaia di anni fa. Ci sono vari livelli nella foresta che corrispondono a diverse specie vegetali ed animali. Il tucano ad esempio, è sempre nella parte più alta, dunque assai difficile da vedere, tantomeno da fotografare, a meno di avere un culo della madonna ed un gigantesco teleobiettivo al seguito. E non è decisamente il caso mio.

Sotto un albero gigantesco...

Gli alberi più maestosi hanno anche 900-1000 anni di vita, delle bestie assurde. Juan mi spiega che questi sono caratterizzati tipicamente da un legno molto tenero e leggero: se fosse il contrario non riuscirebbero a sostenerne il peso. Molti alberi cadono naturalmente. Il suolo dell'Amazzonia infatti, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è assolutamente fertile: l'acqua piovana fa defluire tutti i nutrienti in basso nel fiume... la fascia di terreno fertile ricca di humus è inferiore al metro, dunque le radici degli alberi non sono profonde ma superficiali e ciò determina maggiore instabilità degli alberi più alti... la limitata fertilità del terreno amazzonico aggiunge tragedia a tragedia perché si disbosca anche per coltivare ma si deve disboscare sempre di più per sostituire terreni che rapidamente non sono più produttivi... Rifletto. Mi sta insegnando più un indigeno che ha fatto a malapena le scuole elementari, che tanti documentari e libri letti!

Mi incuriosisce molto un albero che ha il tronco ricoperto di spine belle grandi e puntute. Mi avvicino ma Juan mi urla, avvertendomi di non toccarlo in nessun modo e stargli ben distante.

Oramai mi è sempre più chiaro. Devo avere mille occhi e non toccare nulla.

E' l'albero del diavolo, un nome un programma; ma ha talmente tanti altri nomi, come albero dinamite, o pistola delle scimmie (Monkeys’ Pistol) o "sandbox tree" che credo sia vicino oramai ad una bella crisi d'identità. Nome scientifico Hura crepitans ed è velenosissimo, per l'uomo mortale in breve tempo. I nativi del Madidi utilizzano le sue punte per realizzare frecce avvelenate con le quali cacciare maiali selvatici ed animali della foresta. Ma la sua peculiarità più interessante è un'altra: i suoi frutti, letteralmente esplodono come dinamite; sono caratterizzati da "deiscenza esplosiva", un fenomeno relativamente comune in natura ma che in questo caso, raggiunge una forza ed una violenza che non ha eguali. Il frutto dell'albero, infatti ha una forma di zucca e crescendo, si incurva sempre più accumulando al suo interno grande energia potenziale elastica. A maturazione conclusa, si stacca dal ramo e cade. L’urto con il suolo crea microfratture che determinano una grande esplosione in cui tutta l’energia elastica si trasforma in energia cinetica. I semi sono sparati in tutte le direzioni, fino a 50 metri di distanza, a velocità che possono raggiungere i 70 metri al secondo, ovvero i 250 chilometri all’ora. Meglio non trovarsi dunque sulla loro traiettoria!

L'albero del diavolo

I suoni della foresta sono assordanti. Se la mattina presto e la sera al tramonto la cosa è davvero inquietante per via del ruggito delle scimmie urlatrici, di giorno è un concerto assoluto di musica classica, più soft. Ed accade qualcosa di assolutamente sbalorditivo: c'è sole anche se è in alto, ben coperto dalle fronde dei rami e non si vede. Il cielo è sereno e ci sono poche chiare nuvole. C'è il sole ma sembra che piova! Il rumore della pioggia è forte ed evidentissimo, ma il cielo è sereno e non sento assolutamente gocce d'acqua addosso! Non capisco. Che succede? Mi ha punto qualcosa e sto impazzendo? Magari chissà, esiste la "zanzara della follia" o la "formica della pazzia" qui al Madidi! Non mi stupirei più di nulla. No, non sono stato punto da una fantomatica “zanzara della follia”. Juan mi spiega che non sono goccioline d'acqua ma è materia organica (foglie, rami, escrementi di animale... ) che cade dall'alto e sbatte sulle foglie. Il rumore è identico all'acqua della pioggia che scende e ciò crea uno sconvolgimento sensoriale a cui non si è abituati: il sole presente ma tutt'intorno il rumore della pioggia. Davvero incredibile! Una cascata rumorosissima di materiale organico. Mai avrei pensato ad una cosa del genere!

Tra funghi velenosissimi, alberi esplosivi con frecce avvelenate, rane dai colori sgargianti che muori solo a guardarle, alberi che camminano, tarantole, insetti volanti che sembrano astronavi e chi più ne ha più ne metta, che ci manca? Semplicemente uno degli incontri più pericolosi qui al Madidi. I maiali selvatici, cibo preferito dei giaguari. Sembrano piccoli ed innocenti. Il problema è che sono un po' pazzi e sempre in gruppi molto numerosi, anche fino a 50-100. E se decidono di caricare perché si sentono minacciati ed in pericolo, sono “volatili per diabetici”. Cazzi amari per chi non avesse capito. In passato, Juan mi dice che sono morte delle persone, caricate e successivamente sbranate da branchi impazziti. Sono casi molto rari ma è successo, dunque è bene cautelarsi.

Juan sente qualcosa e mi blocca con una mano. «Fermati Stefano e rimani immobile. Non respirare, non fare il minimo rumore. Movimenti dolci e non a scatti. Sono maiali selvatici, piuttosto pericolosi se decidono di caricare. Stai fermo e non succede nulla. Se caricano non devi scappare, continua a rimanere fermo».

Torniamo sani e salvi alle capanne di Chalalàn. Stremati dalla fatica, volti stravolti... ben 10 ore di marcia nella selva dalle 7 di mattina, fradici di sudore ed assaliti da insetti e zanzare.

Quanto sarebbe bello ora buttarsi in laguna nelle sue acque trasparenti! Ma ovviamente ci penso due volte, magari mi esce un mostro marino "biodiverso" che nessuno aveva mai visto... Chissà quanti pesci carnivori, quante bestiacce aspettano la tua carne tenera per divorarti...

Se pure uno stupido maiale o un banale albero esplosivo qui possono ucciderti, figurati le acque di un lago... Ed invece no. L'Amazzonia sconvolge tutte le mie certezze. Juan mi invita a fare il bagno in laguna! No, non mi sta prendendo in giro. Mi assicura che non è mai e poi mai successo niente a nessuno, di non preoccuparmi perché fa il bagno in questa laguna da quando è nato; sono secoli che gli indigeni si buttano in queste acque e secondo la tradizione non c'è mai stato il minimo infortunio o incidente. E per dimostrarlo si spoglia rapidamente e si butta in acqua consigliandomi però di non allontanarmi troppo...

Bagno nella laguna di Chalalàn... nonostante piranha e coccodrilli!

L'acqua è pulita e la temperatura fresca e gradevolissima. Supero la diffidenza e lo seguo. Mi tuffo!

Bellissimo. Magia pura... finalmente tra l'altro mi lavo dopo una settimana da bestia sempre in cammino e con temperature ed umidità atroci! Mi tuffo rimanendo ben vicino al pontile, sia mai mi spunta qualche caimano dagli abissi.

Quel bagno ci fa letteralmente rinascere. Che bello! Ora ci aspetta il distillato (otra vez!!!) e delle belle bruschette con il mio olio extravergine e l'aglio preso in marcia dalla corteccia di un albero. Ma prima un bella lettura rigenerante nella panchina dove gli orologi impazziscono ed il tempo si ferma... ed un bel giro in canoa al tramonto, ad ascoltare, dondolando dolcemente sullo specchio d'acqua liscio come una tavola, i rumori infernali di madre natura e gli inquietanti versi delle scimmie urlatrici, prima che il buio e l'oscurità avvolgano tutto ed il cielo stellato prenda il sopravvento.

Aspetta un po'... cazzo c'è lì... che è quello... mortacci tuoi Juan, che mi combini!

Un caimano! Ma è enorme! Sì, la laguna è infestata da alligatori e piranha... come pensavo! Era scontato... ma questo, Juan non me l'aveva detto... mi aveva assicurato che non c'erano perché altrimenti non mi sarei mai buttato!

Juan, che mi combini? Ho due figli piccoli! Lo vai a dire tu a mia moglie ora in Messico su qualche spiaggetta del Pacifico con genitori e bambini, che suo marito è morto sbranato da un alligatore in una qualche parte dell'Amazzonia? Gli riporti tu i pezzettini del mio corpo da bruciare? (Sì, perché voglio esser cremato alla mia morte... )

Va beh, ti perdono dai... se è vero come dici tu che non è mai successo nulla... come se ci fosse un patto segreto di non attacco tra caimani ed indigeni locali... il problema è che io non sono un indigeno e non so se questo patto è esteso a tutto il genere umano o vale solo per loro!

Caimani in acqua... mortacci tuoi Juan!

Andremo a cena piuttosto tardi, perché di comune accordo con gli altri due, la guida naturalistica ed il ricercatore di La Paz, anche loro in canoa, rimaniamo a pagaiare in laguna con l'oscurità. Sono le 7.30 di sera ed è già buio pesto. Un'esperienza pazzesca.

Le emozioni oggi non finiscono mai, a partire dalle tarantole negli scarponi questa mattina appena sveglio. Il buio pesto arriva rapidamente. Il silenzio assordante della foresta, también. I caimani sono a due metri da me. Arimortacci tuoi Juan. Vedi gli occhi, illuminandoli con la torcia. Ti senti piccolo ed indifeso. Un insetto. Sei nulla di fronte all'immensità del creato. Sei zero, un moscerino. Scimmie, pipistrelli ed enormi boa sugli alberi. Movimenti dolci perché non devi sbilanciare la canoa: se caschi in acqua al centro della laguna, poi non so davvero se lo racconti, se i caimani si ricordano del presunto "patto di non attacco con gli umani". Gli insetti ti assaltano appena accendi la torcia ed allora non sai se vedere il mondo ed esser circondato da bestiacce oppure non farlo per non esser assaltato.

Il cielo stellato. Eccolo. E' arrivato. Allora non stavo troppo sbronzo ieri sera... era davvero il cielo stellato più bello dell'universo!

Questo senso di assoluto contatto con la natura ed isolamento estremo, sperimentato in pochi altri posti al mondo, mi riempie il cuore e l'anima; mi dona uno stato di estrema felicità e benessere psico-fisico.

Trinidad

Sono di nuovo a Rurrenabaque, sopravvissuto a 5 giorni nel Madidi. Non è scontato.

Miracolosamente nell'unico internet point di Rurre c'è connessione... debolissima ma c'è; riesco così a sentire Gaby ed i bimbi dopo una settimana. Stanno benone, alla grande tra spiagge e ristorantini messicani. Quasi non mi si cagano. Anzi, direi proprio che si stanno divertendo un mondo e non mi pensano proprio. Tra poco ci rivedremo, tra 4 giorni ho il volo di rientro in Messico.

Controllo il sito della linea Amazonas. C'è un aeroplano che parte subito per La Paz ed uno in coincidenza per Uyuni. Bingo. Una persona con un minimo di sale in zucca farebbe questo, stremata dalle fatiche amazzoniche. Ma io faccio sempre il contrario. La mia mente funziona in modo un po' diverso, direi strano. A volte indecifrabile. Tutto il mondo va a destra ed io vado a sinistra. Ho schemi mentali e cognitivi diversi. Gaby ne sa qualcosa. Poverina. Che faccio? Nonostante tutti me lo sconsiglino, mi imbarco nel viaggio della speranza. Uno dei viaggi in assoluto più allucinanti della mia vita.

Il richiamo della foresta è ancora fortissimo. Saluto con un forte abbraccio Juan e prendo un camion convertito a trasporto pubblico con qualche milione di km sulle spalle; scoperto, sospensioni inesistenti e pochi posti a sedere, da alternare tra i passeggeri, quasi tutti in piedi. Le galline che cercano di scappare. Non so se ridere o piangere. Ma inconsciamente, queste situazioni mi piacciono da morire. Vado a Trinidad, altra cittadina boliviana immersa nell'Amazzonia. Sempre a caccia di avventure.

Le strade nell'Amazzonia boliviana sono sterrate e poco praticabili nella stagione delle piogge, da ottobre a marzo. Alcune addirittura sono chiuse, soprattutto a dicembre, gennaio e febbraio: molte località divengono raggiungibili solo in aereo. E' marzo ed io decido di rischiare. D'altronde se il camion parte, vuol dire che c'è speranza di arrivare, no?

Arrivo a destinazione. Ma giuro che questo viaggio dell'orrore, Rurrenabaque-Trinidad, avrebbe meritato un post a parte. Stivati come, anzi peggio delle bestie, cani e persone, galline, pacchi e pacchetti. La strada talmente sterrata ed irregolare che sembrava di stare in un Camel Trophy. E 20 fottutissime ore, 20 interminabili ore di viaggio, una cosa che minimamente si può immaginare e concepire. Guadando corsi d'acqua e spingendo a mano il camion in panne in mezzo ad acquitrini. La notte in bianco. Una tortura inimmaginabile che io trascorro sempre in piedi perché c'erano anche donne ed anziani a cui ovviamente ho ceduto il posto.

Pioverà. Fa niente, tutto aperto. Il telo di protezione, o c'è o non c'è, è uguale, tanto è tutto rotto e bucato. Bagnati fradici ed il camion che continua a sfrizionare, procedendo lentamente nella selva. Si fermerà una sola volta a metà viaggio, di fronte ad un paio di baracche per permettere una breve pausa. 20 ore sempre in piedi. Un puro e semplice atto di masochismo. Aveva ragione Juan! Juan ha sempre ragione.

Ma arrivo a Trinidad. Con le ossa rotte ma ci arrivo. Testardo come un mulo.

La chiesa della piazza centrale di Trinidad

Trinidad è più grande e caotica di Rurrenabaque anche se decisamente molto meno affascinante. Vecchi, scassati e puzzolenti motorini ovunque. Giovani dappertutto. E ragazze davvero bellissime, cosa che colpisce abbastanza in Bolivia. Forse è la vicinanza col Brasile: i lineamenti delle persone infatti sono molto più brasiliani che non boliviani.

Io a Trinidad sono un marziano, nel senso che non vedono uno straniero da qualche decennio. Nessun turista va a Trinidad, qui non c'è nulla, se non il fiume ed impenetrabile giungla. E così in breve tempo, nella piazzetta centrale conosco mezza cittadina.

Ma già è tempo di fuggire via. La mia vita è una fuga. Tra solo tre giorni ho il volo di ritorno per il Messico e devo organizzare le modalità di rientro. Sono tranquillo perché Trinidad ha un piccolo aeroporto: male che va dunque, prendo un aereo per "la pazza" La Paz.

L'imbarcadero dove prenderò un battello rapido per Puerto Villarroel

Ed invece, il masochistico bisogno di avventura che è in me, riprende nuovamente il sopravvento. Non contento del viaggio infernale in camion da Rurrenabaque, vado al piccolo simpatico porticciolo sul fiume, ad una decina di chilometri dal paese e prendo il battello più veloce che in due giorni risalirà il Rio Mamorè fino a Puerto Villaroel. Notte sul ponte, in amaca ed una quarantina di ore di viaggio. Condizioni ovviamente spartane. Ma se non sono così, oramai è chiaro,decisamente non mi piace. Da Puerto Villaroel, un'altra corsa contro il tempo, mi porta in bus a Santa Cruz, seconda città più importante della Bolivia. La civiltà dopo una settimana da bestia assoluta. Da qui l'aeroplano per La Paz.

Prenderò, a check-in quasi concluso, il volo per il Messico per miracolo. E soltanto perché non avevo bagaglio da imbarcare.

L'ennesimo miracolo nei miei viaggi: il mio angelo custode, come dice sempre Gaby, davvero non ce la fa più! Infinite grazie, caro angelo.

L'Amazzonia, il Rio Beni ed il Rio Mamorè, mi hanno lasciato ricordi indelebili. Paesaggi assolutamente fantasmagorici che saranno scolpiti ed impressi nella mia memoria per sempre. Un giorno tornerò per navigare in Brasile sul fiume più grande del mondo.

Sperando non sia troppo tardi. Sperando che la deforestazione si sia arrestata. Sperando che per quel giorno Bolsonaro e con lui tutti i leader del mondo, siano rinsaviti ed abbiano messo l'ambiente e la felicità dell'uomo al centro di ogni loro progetto politico ed economico.

Perché dal futuro dell'Amazzonia, dipenderà il futuro del genere umano.

La deforestazione dell'Amazzonia

La foresta amazzonica è un patrimonio naturale inestimabile da cui dipende l'intera esistenza del nostro Pianeta, costituendo più della metà delle foreste tropicali rimaste al mondo ed ospitando una abnorme biodiversità, animale, vegetale ed anche antropica che include oltre 300 comunità indigene ancestrali in isolamento volontario con tradizioni e usi antichissimi.

Il territorio è immenso. Abbraccia ben 9 paesi diversi del Sud‐America: Brasile soprattutto ma anche Perù, Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela ed in misura minore Guyana, Suriname e Guyana francese.

L'Amazzonia sta morendo. L'opera di distruzione della foresta è esplosa in modo non sostenibile a partire dalla fine della seconda guerra mondiale quando i concetti di cambiamenti climatici e le problematiche ambientali e demografiche erano praticamente inesistenti. I governi della regione presero a sfruttare le risorse forestali perché il disboscamento permetteva copiosi guadagni derivanti dalla vendita e dall'esportazione del legname molto pregiato oltre all'aumento di terreno utile per l'agricoltura e per i pascoli, necessario per via della costante crescita della popolazione e delle sue esigenze alimentari, soprattutto proteiche. Già, le proteine... spiace deludere tutti i carnivori di questo mondo ma l'allevamento intensivo di bovini che deve soddisfare l'abnorme, irragionevole desiderio di carne e sangue dei cittadini occidentali, è responsabile da solo di circa l'80%, ripeto, l'80% della deforestazione dell'Amazzonia. Ricordiamocelo questo 80% quando ordiniamo una bella bistecca brasiliana in qualche ristorante! Stiamo contribuendo alla distruzione del polmone verde del pianeta.

L'altro 20% di perdita di selva è imputabile sempre meno all'esigenza di legname e sempre più invece alle piantagioni di olio di palma e soia. L'olio di palma è tra le colture tropicali più produttive e redditizie, responsabile praticamente di un'altra enorme, immensa tragedia ambientale, la quasi totale distruzione della foresta pluviale del Borneo in Indonesia. Un ettaro di coltivazione genera infatti per un produttore un guadagno di circa 1.000 dollari all’anno, un'occasione troppo ghiotta per i poveracci abitanti dell'area. La soia viene utilizzata come l'olio di palma, per gli usi più disparati, dal cibo, ai cosmetici, alla produzione di biocarburanti.

Dunque... disboscano la foresta amazzonica per produrre cibo... ci consoliamo dai... Un par di palle! La quasi totalità della soia prodotta in Amazzonia è finalizzata alla produzione di farine per nutrire gli animali degli infernali allevamenti intensivi, in Europa ed Asia! Pazzesco, per produrre il superfluo, distruggiamo ciò che è essenziale. Praticamente, possiamo concludere che l'intera foresta amazzonica si sta trasformando, direttamente o indirettamente, in carne da macello... Ricordiamoci anche questo quando acquistiamo carne spazzatura, non biologica ed a km 0 ma proveniente da allevamenti intensivi: stiamo finanziando la deforestazione del polmone verde del pianeta e contribuendo allo sviluppo di un modello economico sbagliato, basato sulla violenza nei confronti dell'uomo, della natura e degli animali. Un modello economico che porterà presto il pianeta al collasso.

In tutto ciò l'UE cosa fa? Semplice greenwashing, ovvero per chi non conoscesse il termine, copre di etico e falso ambientalismo verde, politiche che sono nere come il carbone. Dichiara a parole di voler difendere l'Amazzonia, stanziando ridicoli fondi contro gli incendi e pubblicizzando la cosa all'inverosimile grazie alla solita stampa prostrata e vergognosamente compiacente, da essa stessa totalmente controllata, ma dall'altro lato con l'accordo UE-MERCOSUR, discute l'ennesimo accordo di libero scambio con stati sudamericani, Brasile in particolare, per favorire il dio libero-mercato, unica divinità da adorare in Europa da Maastricht in poi, e poter importare sempre più carne brasiliana e soia a basso costo per alimentare i propri allevamenti intensivi. In pratica, dona briciole per gli incendi, ed importa ed alimenta pagnotte intere di coltivazione di soia e deforestazione, con conseguenze devastanti per il clima e per i diritti umani, sacrificati per l'ennesima volta sull’altare del profitto. D'altro canto, l'interlocutore dell'UE è ideale: al di là delle simpatie o dell'ideologia politica di ciascuno di noi, è innegabile che il presidente brasiliano Bolsonaro, non sia certamente un modello in materia di tutela ambientale e di tutela dei diritti delle popolazioni indigene; né da uomo di destra qual è può esser ideologicamente contro il sacro concetto di libero mercato.

La presenza inoltre, in tutta Amazzonia, di numerosi giacimenti minerari e petroliferi, è stata sempre occasione troppo ghiotta per stati poveri come Ecuador, Perù, Bolivia e Venezuela che hanno visto l'estrattivismo come possibile soluzione sociale, una fonte di facile e pregiata valuta estera con la quale poter finanziare l'apparato statale ed il welfare; per lo meno fino all'arrivo dei predoni del capitalismo internazionale, che ovviamente hanno subito privatizzato i profitti e socializzato perdite ed esternalità. Tutte queste attività oltretutto contaminano pesantemente il suolo e le acque dei fiumi dove le popolazioni indigene vivono indisturbate da centinaia di anni, aggiungendo al danno ambientale anche un danno antropico ed "antropologico".

Per favorire la penetrazione nelle aree più remote e selvagge sono state costruite anche numerose autostrade le quali non solo, sono state fonti primarie di deforestazione, ma hanno anche incoraggiato le costruzioni di nuovi villaggi lungo di esse, aggravando sempre più il problema.

La deforestazione purtroppo genera un'enormità di catastrofici problemi ambientali a catena, uno dietro l'altro. Le foreste pluviali ancor più delle foreste temperate, con la loro elevatissima densità di vegetazione e la posizione equatoriale che permette massimo irraggiamento solare, costituiscono i polmoni della Terra rilasciando ossigeno ed intrappolando anidride carbonica grazie alla fotosintesi clorofilliana. Il bilancio di CO2, immesso nell'atmosfera mediante le attività antropiche e sottratto mediante fotosintesi, pertanto va in passivo ed aumenta l'effetto serra, aumentano gli effetti dei cambiamenti climatici che in un circolo vizioso aumentano incendi non dolosi e riscaldamento globale che favorisce la desertificazione ed il mancato ripristino della foresta secondaria.

Gli alberi svolgono una importante funzione di mantenimento del terreno così il loro eccessivo abbattimento aumenta notevolmente il rischio di frane ed alluvioni che a loro volta danneggiano la foresta. La deforestazione determina perdita di biodiversità, impoverimento genetico, l'estinzione di numerose specie animali e vegetali che rappresentano la storia del pianeta nonché la progressiva scomparsa delle popolazioni autoctone indigene, costrette a spostarsi, emigrare ed eventualmente civilizzarsi.

Incendio in Amazzonia

Ampi tratti vengono disboscati ed il modo più facile ed economico per farlo è mediante incendi dolosi che però spesso divengono ingestibili, incontrollati ed incontrollabili, devastando aree macroscopiche e contribuendo essi stessi al climate change. La verità, durissima da accettare, secondo lo studio più recente di Nature del 2021, è che una grossa parte dell'Amazzonia, quella più orientale verso l'Atlantico, non è più il polmone verde del mondo ma è ne diventata la ciminiera perché a causa degli incendi, essa rilascia in atmosfera più CO2 di quanta ne riesca ad assorbire. Il bilancio è purtroppo impietoso ed i numeri che ho letto nella pubblicazione di Nature mettono i brividi: nel periodo che va dal 2010 al 2018, gli incendi hanno immesso ben 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, praticamente la quantità emessa annualmente dall'intera Russia, contro i solo 0,5 miliardi assorbiti, equivalenti alla quantità di CO2 immessa in aria da un paese come l'Italia. Il conto è presto fatto: il saldo è negativo di ben un miliardo di tonnellate di CO2, più o meno le emissioni annuali di una nazione come il Giappone, non proprio un modello in tema di inquinamento.

La combinazione di riscaldamento globale e riscaldamento locale dovuto ad incendi e deforestazione, modifica la mappa dei venti ed il livello di precipitazioni ed umidità dell'area, rendendo il microclima più secco: viene stravolto il delicato equilibrio della foresta pluviale e dei suoi abitanti (umani ed animali) e parte di essa poco a poco si trasforma in savana.

Insomma si innescano molti meccanismi a cascata distruttivi. Oltretutto disboscare la foresta primaria millenaria non è la stessa cosa che tagliare una foresta secondaria in crescita. Nel primo caso non si distruggono solo alberi, ma millenni di storia ed evoluzione, millenni di delicati e magici equilibri naturali. Un vero disastro.

Notizia buona: l'80 per cento della superficie originaria della foresta amazzonica è ancora ben conservato e relativamente vergine ed inesplorato. Notizia pessima, che si aggiunge a quella già data sul bilancio passivo di anidride carbonica: ben un quinto dell'Amazzonia è già stato definitivamente ed irreversibilmente distrutto con alcuni allarmanti studi però che stimano che quasi il 40% si trovi già ad un punto di non ritorno, più vicina a boschi con praterie tipiche della savana che a vera foresta pluviale primaria. Per capire quello che succede, basti capire che solo nel territorio brasiliano, ogni minuto scompare una superficie arborea equivalente a circa tre campi da calcio. Ogni minuto. Che tristezza. Se non invertiamo la rotta, la generazione successiva alla nostra assisterà alla scomparsa di questo inestimabile patrimonio naturale. I nostri figli, drogati tecnologici, vedranno barriere coralline e foresta amazzonica solo su tablet.

Gli incendi attivi in Amazzonia il 22 agosto 2019

Le ultime notizie, purtroppo, non sono buone. Secondo le immagini satellitari dell’agenzia spaziale INPE e della NASA, nel 2020 gli incendi sono aumentati di molto, in un contesto ulteriormente aggravato dalla siccità persistente, facendo segnare il peggior record degli ultimi 10 anni. I già scarsi controlli dell'immenso territorio vergine, a seguito della pandemia sono diventati assolutamente nulli. Ed i "liberi battitori" (spiegherò più avanti cosa sono) sono proliferati. Sono stati oltre 100.000 gli incendi nell'intero bacino amazzonico in tutto l'anno, una cifra folle, pazzesca, che rappresenta il dato più alto dell'ultimo decennio. Gli incendi nell'area sono aumentati anche per via dell'acuirsi della crisi economica che ha spinto sempre più persone che prima si dedicavano ad altro a sfruttare l’area per attività agricole e di allevamento. Non solo: oltre a queste, ci sono tutta una serie di attività il cui impatto è apparentemente minore ma che si stanno moltiplicando a dismisura. Una su tutte, l'estrazione dell'oro, bene rifugio per eccellenza di cui il suolo amazzonico è ricco. Il suo prezzo è disgraziatamente aumentato del 40% a seguito della pandemia di Covid-19, spingendo nuovi minatori, legali e non, improvvisati ed organizzati, alla ricerca del prezioso metallo; negli ultimi anni le imprese minerarie che "ripuliscono" grossi tratti di selva per estrarre il minerale sono spuntate dal nulla come funghi, contribuendo in maniera decisiva al declino della foresta.

A decretare nel 2020 lo stato di “catastrofe nazionale” a causa della siccità e degli incendi, è stato proprio lo stato amazzonico negli anni scorsi meno colpito in generale dal disboscamento, la Bolivia, ora salita addirittura al terzo posto nel mondo nell’elenco dei Paesi con le maggiori perdite di foresta primaria tropicale, dopo Brasile e Congo, superando per la prima volta l’Indonesia. La regione di Santa Cruz brucia. Diverse aree protette sono a forte rischio tra cui il Noel Kempff Mercado National Park, una regione di bellezza naturalistica infinita e di inestimabile valore, paragonabile in quanto a biodiversità al Madidi.

Effetti delle deforestazione visti da satellite nei pressi di Santa Cruz, in Bolivia. Confronto della situazione nel 1984 (immagine suuperiore) e nel 2000 (immagine inferiore)

Il teorema del libero battitore

Ogni qual volta vedo il bene comune e dunque l'interesse dell'intera comunità danneggiato dall'egoismo dei pochi, non posso che ripensare alla teoria dei giochi di John Nash studiata all'università. Ed al 30 e lode che tale teoria mi fece prendere senza nemmeno sostenere l'esame.

Nell'ultimo anno del mio corso di laurea in fisica, avevo la possibilità di inserire nel piano di studi due esami fuori facoltà a scelta. Scelsi due corsi di economia, così giusto per sperimentare: "micro e macroeconomia" ed "organizzazione aziendale", anche in previsione di un futuro lavoro in azienda.

Mai esami furono più utili. Mi si aprì un mondo che non conoscevo. Da lì nacque la mia passione per le scienze economiche e conseguentemente la politica. Il docente di entrambi i corsi era un bocconiano: quando parlava di Adam Smith gli si illuminavano gli occhi, quando sfogliava il suo Samuelson, la bibbia di ogni economista che si rispetti e nostro libro di testo, aveva orgasmi multipli. Il prof. stravedeva letteralmente per me anche se avevo idee un po' diverse, non ancora comunque ben strutturate ed organizzate come oggi in un pensiero uniforme. Ero l'unico fisico del corso e lui adorava la mia capacità di tradurre in formule matematiche ogni concetto. Formuloni che altri studenti trovavano indecifrabili e lui stesso aveva difficoltà a spiegare, per me erano formulette banali. Non perché fossi un genio sia ben chiaro, tutt'altro. Ma per un fisico abituato alla meccanica quantistica ed alle equazioni differenziali alle derivate parziali, oggettivamente la matematica presente al primo anno di economia era assolutamente banale. Una passeggiata. Ci fermavamo spesso dopo la lezione a parlare, andavamo al bar per un bicchiere e lui mi raccontava le sue esperienze nel consiglio d'amministrazione della FIAT. Lo ascoltavo con estrema attenzione.

Ricordo che un giorno mi accennò qualcosa della teoria dei giochi di John Nash. Che però a me incuriosì moltissimo. La andai a studiare da solo in modo approfondito. Tutta. Dopo una incredibile conversazione a lezione, dove controbattevo alle sue argomentazioni a favore del libero mercato citando proprio la teoria di Nash da lui stesso introdotta, mi disse tra lo stupore generale di portare il libretto universitario. Mi mise 30 e lode senza fare l'esame tra lo sbigottimento e lo stupore generale. Anche se la pensavo diversamente da lui. Bene, scusate la divagazione, ma quando scrivo di getto, è così, perdo il senso del tempo. E cazzo, sono le due di notte, devo andar a dormire! Continuo domani.

Bene, buongiorno a tutti. Un caffè e si riparte. Torniamo alla teoria dei giochi. Cazzo c'entra la teoria dei giochi con la deforestazione? C'entra, c'entra. Eccome se c'entra. Il "teorema del libero battitore" della teoria dei giochi mostra in modo inequivocabile come gli scempi ambientali siano causati essenzialmente dal fatto che i beni pubblici non sono percepiti come propri ma considerati come liberi da sfruttare prima che lo faccia qualcun' altro. Sia ben chiaro, non tutti sono cattivi e approfittatori nella società, ci mancherebbe. Il problema è che l'errato comportamento di un singolo fa degenerare quello dell'intero gruppo cosicché il perseguimento dell'interesse individuale, nella maggior parte dei casi porta ad un danno per l'intera collettività.

Immaginiamo una pacifica comunità di persone che viva in simbiosi con la natura ai margini di un bosco. Ogni famiglia ogni settimana taglia esclusivamente la quantità di legna necessaria per riscaldare la casa, per cucinare o lavorare. Preferibilmente rami secchi, oppure alberi già morti e caduti. In queste condizioni la comunità si sviluppa in modo sostenibile perché la foresta è sfruttata ogni anno entro il suo tasso di riproducibilità. La ricchezza derivante dal legname è distribuita fra tutti e la foresta non decresce. Tutto rosa e fiori? Macché.

In questa comunità, costituita da centinaia o migliaia di persone, una mela marcia c'è, eccome se c'è. C'è sempre. L'egoismo, il sentimento di prevaricazione e superiorità è insito nella natura umana. E così un giorno notiamo qualcosa di nuovo: Tizio decide di fare una bella provvista di legname in previsione dell'inverno in arrivo. Ma Tizio vuole anche costruire una nuova casetta e guadagnare qualche soldo in più dal suo onesto lavoro rivendendo un po' di pregiato legname della foresta primaria. E così, senza troppa malizia e cattiveria, forse anche inconsapevole di generare un diabolico e perverso meccanismo a cascata, abbatte una dozzina di alberi insieme ai suoi figli. A Caio non gliene fotte un cazzo di quello che ha fatto Tizio. A lui non interessa fare scorte, gli è sufficiente abbattere un albero per l’intero mese. Bravo Caio! A Sempronio invece la cosa lo fa riflettere. Se Tizio ha fatto così, allora anche io lo posso fare, mica sono più stupido! D'altronde la foresta è di tutti ed il taglio è libero e non regolamentato! E così anche Sempronio il giorno dopo, mosso dall’esempio di Tizio e dei suoi figli, decide di fare una scorta abbattendo anche lui una dozzina di alberi. Il fenomeno si ripete anche il giorno seguente, ma con altri quattro paesani che emulano lo stesso comportamento. I paesani passano nei giorni successivi da 4 ad 8, a 16 a 32 e via dicendo.

Non è nemmeno detto che queste persone siano consapevoli delle conseguenze del loro agire, anzi. Probabilmente reputano il loro "strappo alla regola" talmente minimo e irrilevante da non causare alcun danno alla collettività. Non sono cattivi, per lo meno non tutti. E' cattivo, solo chi ha capito le conseguenze del proprio gesto e continua a farlo per mero interesse personale.

Sempre più persone cominciano a tagliare più legna oltre i limiti sostenibili previsti, tanto "fanno tutti così"... La voce si sparge e la situazione presto si fa allarmante. Anche Caio il buono a questo punto si sveglia. Preoccupato dall’idea di rimanere senza legna per l'inverno, suo malgrado è costretto a tagliare anche lui, ma essendoci sempre meno alberi, egli taglia più del necessario per fare scorte. Lo stesso ragionamento lo fanno tutti gli altri, cosicché la deforestazione invece che ridursi aumenta in velocità esponenzialmente fino a che l'ultimo albero è stato tagliato. Rapa Nui docet. Il comportamento scellerato, non necessariamente malizioso, di una persona, ha generato un meccanismo a cascata, una perversa psicologia della folla dalle conseguenze facilmente immaginabili: il bosco scompare entro pochi anni perché la somma di questi piccoli strappi alla regola causa un immane disastro ecologico. Scompare il bosco e scompaiono gli animali che in esso vivono, gli uccelli e le api che impollinano. La qualità dell'aria peggiora, aumentano malattie respiratorie e spese per farmaci. La comunità deve emigrare perché nessuno può trarre più profitto dalla vendita della legna, né riscaldarsi o cucinare. L'egoismo e l'avidità di pochi, hanno danneggiato tutti, ma tutti più o meno consapevolmente hanno contribuito allo scempio ambientale. Colpevolmente, aggiungo. L'ignoranza purtroppo ai giorni d'oggi è una grave colpa.

Poche persone si sono arricchite, quelle che hanno meno rispettato le regole, sfruttando il bene comune di tutti e tagliando il più possibile, assolutamente certi dell'impunità, mentre la maggior parte della popolazione si è impoverita e si è dovuta iscrivere alle liste di collocamento. Il bene comune poteva far lavorare tutti in modo sostenibile senza troppe ed eccessive disparità sociali e differenze economiche mentre ha arricchito solo pochi furbi ed impoverito la massa.

Facilissimo capire che tale semplice storiella ben si adatta alla gestione di qualsiasi patrimonio pubblico, in particolare l'ambiente. Sostituite la parola “tagliare” con “sfruttare” e potete adattare tale favoletta a tutto. Purtroppo infatti, anche in presenza di regole, il furbacchione di turno che ha la tentazione di “tagliare” un po' di più per aumentare il proprio reddito o profitto, c'è sempre. Ne basta uno e tutti gli altri a cascata si sentiranno autorizzati a farlo. Chi non lo fa e gira la faccia dall'altra parte è comunque complice e mette una firma sulla propria povertà in futuro.

Alcuni sistemi economici chiusi basati sullo sfruttamento di risorse naturali, possono in questo modo degenerare velocemente in un disastro ambientale ed economico. Il primo esempio che mi viene in mente è in Indonesia, paese del sud-est asiatico che conosco abbastanza bene, dove la pesca con le bombe nei villaggi più sperduti e sconosciuti sta lentamente distruggendo la barriera corallina più bella del mondo. E la colpa non è del capitalismo straniero predatorio, sia ben chiaro, ma dei suoi stessi abitanti, poveracci pescatori locali padri di famiglia che non si rendono conto che stanno tagliando il ramo dove sono seduti. La barriera corallina poco a poco muore e scompaiono i pesci. Il mare muore. Loro moriranno e nessuno li salverà. Non conoscono il teorema del libero battitore.

Spesso, paradossalmente chi cerca di sfruttare a proprio vantaggio le risorse comuni in modo non sostenibile, lo fa coprendo di etico e virtuoso il suo comportamento, magari addirittura promettendo posti di lavoro per tutti mentre sul lungo periodo li sta distruggendo: il ricatto del lavoro, come nel caso ad esempio dell' ILVA di Taranto, è spesso utilizzato per coprire ogni crimine ambientale senza che il capitalista di turno ne paghi i costi, che scarica ovviamente sul sistema sanitario nazionale, pagato da tutti. Al solito, privatizzazione dei profitti e socializzazione di perdite ed esternalità. Nulla di nuovo.

Il "teorema del libero battitore" spiega bene quali siano i meccanismi e le cause principali responsabili dello scempio delle risorse pubbliche: sono le scelte individuali, la libertà economica assoluta di agire, il libero mercato non regolamentato, tutelato in ogni modo agitando lo spettro del pericolo comunista bolscevico, i quali conducono inevitabilmente alla distruzione completa e irreversibile del bene comune, in questo caso le foreste; i costi sociali sono visti da ciascun individuo come "costi di altri" (esternalità o costi esterni in economia) e non considerati pertanto nelle scelte individuali.

Già, il libero mercato... divinizzato nella nostra cultura e società, diventato dopo Maastricht un dogma intoccabile. Tutti prostrati di fronte a lui, alla globalizzazione dei mercati ed al neoliberismo. Presto lo inseriranno in costituzione, come hanno fatto in modo criminale con il pareggio di bilancio, e magari lo scolpiranno nelle tavole di Mosè dei 10 comandamenti cosicché pure in Chiesa ci toccherà ad assistere alla sua apoteosi.

La soluzione al teorema del libero battitore? Un bambino di 10 anni lo capirebbe. E' assolutamente folle ed irrazionale pensare che l'uomo possa risolvere da sé questo problema. L'uomo non riesce a dominare il suo egoismo e la sua cattiveria. Per una razionale gestione delle risorse comuni (forestali in primis) è indispensabile il coordinamento e la regia di un organismo superiore. Chi è? Ovviamente lo Stato sovrano. L'individuo non può esser lasciato a briglie sciolte. Il mercato non può, non deve esser lasciato totalmente libero e senza controllo. Il dio libero mercato (inteso sia ben chiaro, prima che mi diate dello sporco comunista mangia-bambini, NON come sacrosanta libertà di impresa, sancita e tutelata dalla costituzione, ma come filosofia neoliberista del “leissez-faire” più deregolamentato e senza il minimo controllo statale) è una immensa puttanata che è entrata nel cervello delle persone grazie alla propaganda massmediatica, ma conduce inevitabilmente prima o poi al disastro grazie all'egoismo di pochi, insito nella natura umana. Serve lo Stato, un organismo superiore forte e sovrano che controlla e regolamenta fortemente il leviatano vincolandolo alla pubblica utilità ed al benessere comune. Non è un caso, che l'UE portavoce nel mondo del neoliberismo più becero e deregolamentato, vuole distruggere lo stato ed il concetto stesso di stato, ultimo baluardo contro la deriva nichilista della società, ultimo baluardo di resistenza contro lo strapotere del mercato. L'economia vuole il totale controllo sullo stato e sul cittadino. Per non avere limiti. E' evidentissimo invece come solo uno stato che abbia il totale controllo e la totale gestione della sua economia (principalmente ad esempio mediante adozione di una moneta sovrana) può perseguire il benessere comune. Altrimenti è schiavo di istituzioni sovranazionali.

Ma chi difende lo stato, è bollato inevitabilmente come “sovranista”, in modo dispregiativo, come se la parola sovranità non fosse scritta nell'art. 1 della nostra Costituzione. Andatelo a rileggere 10 milioni di volte l'articolo 1. La sovranità appartiene al popolo, cazzo. Appartiene a noi, non ad organismi sovranazionali che nessuno ha eletto. Appartiene a noi ed il Mario Draghi di turno non può svenderla regalandola alla governance europea.

Pensateci bene la prossima volta che ascoltate in televisione gli italici politici del PD = PDL o di M5S o Lega negli orribili palazzi di vetro di Bruxelles, prostrati in adorazione e piegati a Π/2 radianti senza lubrificante di fronte alla Ursula di turno, che invocano meno Italia e più Europa e conseguenti cessioni di sovranità! Magari lo fanno, ovviamente in cattiva fede, citando pure l'art. 11 della costituzione, confondendo “limitazioni di sovranità”, per loro stessa natura temporanee e reversibili, “in condizioni di parità con altri stati e finalizzate alla pace ed alla giustizia” (che in UE non ci sono), che i padri costituenti avevano previsto solo ed esclusivamente per ONU ed in nessun caso per organizzazioni europee, con “cessioni di sovranità”, definitive ed irreversibili a mostri neoliberisti. Roba da matti.

Fatevi due semplici domande, banali banali. Cessioni di sovranità: a chi? e perché?

Semplicissimo. A chi? Ad enti sovranazionali non eletti dal popolo, rappresentanti del peggior turbocapitalismo finanziario internazionale e della peggiore ideologia neoliberista. Perché? Per sottomettere lo stato sovrano all'economia in modo tale da de-politicizzarla e per limitare e de-democraticizzare le costituzioni nazionali troppo socialiste ed antifasciste.

Dove siete cari presidenti della repubblica italiani? Tutti, nessuno escluso, da Maastricht in poi? Dov'eri caro Mattarella, tu che che tanto applaudivi gli azzurri agli europei di calcio, quando il Cristiano Ronaldo del neoliberismo nel mondo, il “vile affarista liquidatore dell'industria pubblica italiana” (parole di Cossiga) Mario Draghi, nel suo discorso d'insediamento, sosteneva la necessità per gli stati membri dell'UE di cedere sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa? Una bestemmia assoluta.

Ricordatevi, cari presidenti, che il vostro compito principale, per il quale siete lautamente e profumatamente pagati dal popolo è quello di esser garanti della Costituzione. I padri costituenti del '48 da almeno un trentennio si stanno rigirando nella tomba, osservando il vostro comportamento. Rinsavite, per favore. Detto in romano, aripijateve. Fatelo per loro.