Nonno Domenico, Mimì come tutti lo chiamavano, era una persona tutta d'un pezzo, il classico uomo d'una volta tutto casa, chiesa, lavoro e famiglia. Testa alta e schiena dritta, austero e burbero, taciturno e solitario. Modi rudi e spartani ma il cuore buono e l'animo sensibile. Bastava poco perché gli occhi gli si riempissero di lacrime: una rappresentazione teatrale di Leonardo e Maya, una parola dolce, un compleanno festeggiato in famiglia, un'occasione importante come lauree o cerimonie...
Grande vita la sua. Uomo di tanti fatti e poche parole, scolpite nella pietra. Parlava poco ma quando aveva davanti l'interlocutore giusto ed interessato, diventava un fiume in piena, un po' come accade anche a me. Spesso mi raccontava aneddoti ed esperienze passate, spaccati di vita operaia e contadina di decenni fa, usi e costumi del tempo ed io restavo incantato ore ed ore ad ascoltare... come quando mi parlava della sua infanzia, dei soprusi e delle angherie dei fascisti o ricordava quel maledetto giorno, il 27 novembre 1982, quando in prossimità della stazione di San Benedetto del Tronto, deragliò il treno espresso Milano-Taranto e lui dovette ricacciare tra le lamiere un bambino morto di pochi mesi... Nato nel 1927, ha vissuto in piena giovinezza il periodo del regime e della seconda guerra mondiale... tempi duri che forgiavano il carattere. La miseria, la fame e gli stenti, la morte dell'amatissima madre in giovane età... tanti sacrifici ma anche piccole e grandi soddisfazioni come il primo stipendio, il faticoso lavoro da ferroviere a posizionare le traverse dei binari con responsabilità via via crescenti nonostante avesse soltanto la licenza di quinta elementare, i risparmi poco a poco accumulati, il matrimonio e la nascita dei figli, fino alla meritata pensione, dove si è potuto finalmente dedicare con maggiore intensità, anima e corpo, alla sua più grande passione, l'orto e l'agricoltura. Lui ha sempre detto di sentirsi un contadino dentro.