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La formica atomica

All'IMUG, l'Instituto de la Mujer Guanajuatense, la chiamavano "Formica atomica". Ed appena la incontri la prima volta capisci il perché. Un carattere vulcanico ed espansivo, ipersociale in un corpo minuscolo. Un'energia inesauribile. Una piccola grande donna. Si chiama Gabriela, ed oggi è mia moglie.

La mia prima volta in Messico nel 2006

Ci siamo conosciuti nella Città Eterna: io lavoravo da ricercatore scientifico in un istituto del CNR mentre lei era impegnata in due master universitari in psicologia, oltre a lavorare nei call center di Fastweb per 4 soldi. Vivevamo (non chiedetemi come fu possibile però...) insieme a due cari amici, Giampaolo e Marzio, in un grosso centro di fisioterapia dismesso ed abbandonato vicino alla stazione Tiburtina, talmente grande che dentro ti perdevi ed un'enorme stanza vuota era dedicata al gioco dei racchettoni e del tennis. Partite epiche.

La notte era abbastanza inquietante rimanere soli... La casa era enorme ed abbandonata da tempo, 500 metri quadri neppure abitabili. Non c'era riscaldamento ed il bagno e la cucina li costruimmo noi impastando il cemento dentro casa. Il nostro nido d'amore era la sala “manipolazioni vertebrali”. Gianpaolo mi sembra dormisse nella sala “Consulenze”, Marzio in quella “Massaggi”. La sala d'attesa all'ingresso con i divanetti mezzi divelti era la nostra zona pranzo e cena, con un tavolino sistemato al centro. La lavatrice stava in una grande stanza vuota, adibita solo a quello.

Gaby con Gianpaolo (a sinistra) e Marzio (a destra) nella nostra spaziale casa in Via San Polo dei Cavalieri a Roma

Con Gianpaolo nella vecchia sala d'attesa

La vecchia sala d'attesa all'ingresso trasformata in sala pranzo e cena

Io nel 2006 in versione "Angelo Branduardi", colpito a tradimento la mattina da Gianpaolo

Gianpaolo e Marzio impegnati nella costruzione del bagno

Preparativi per una cena messicana con la bandiera del Messico nella parete

Fu un anno davvero molto bello, intenso e spensierato. Ma poi arrivò il momento fatidico: Gaby riceve la chiamata tanto desiderata, per il lavoro dei sogni tanto atteso all'IMUG, il centro governativo dello stato centro-messicano di Guanajuato che si occupa di prevenzione della violenza sulle donne.

La coloratissima Guanajuato dal belvedere del Pipila

Ovviamente partì e cominciammo così un rapporto a distanza. Io a Roma, ad imprecare contro il traffico ed i semiconduttori organici che non ne volevano sapere di funzionare bene “in aria” mantenendo ottime prestazioni soltanto “sotto vuoto” . Lei nella cittadina dei sogni, nell'incanto di Guanajuato, la più bella del reame: un'incredibile tavolozza di colore il cui splendore lascia letteralmente senza fiato. E che merita decisamente un post a parte, a lei esclusivamente dedicato.

Il machismo e la violenza di genere in Messico

Il ruolo di Gaby all'IMUG era fare conferenze, incontri, consulenze e formazione nelle scuole, al fine di sensibilizzare la popolazione messicana, gli studenti e le donne in particolare, sul problema della violenza di genere, provando a scalfire poco alla volta quell'incredibile serie di credenze, atteggiamenti ed azioni finalizzate al mantenimento di un rapporto di violenta superiorità fisica e psicologica degli uomini nei confronti del gentil sesso.

Il tesserino di lavoro di Gaby all'IMUG

Il maschilismo la fa un po' padrone in tutto il Centro e Sud America, dove non a caso si trovano 14 delle 25 nazioni che primeggiano nel mondo in questa specifica tipologia di crimine. Ma il Messico in questa classifica eccelle particolarmente: è un paese culturalmente malato di "machismo", con una società profondamente sessista dove domina ed è totalmente accettata una sovrastruttura ideologica di stampo maschilista, patriarcale e tradizionalista che tende a subordinare ed umiliare il gentil sesso annientandone l'identità attraverso assoggettamento fisico o psicologico, fin quasi a livelli di schiavitù, e che induce a giustificare eventuali atti di violenza stigmatizzando le vittime per comportamenti e condotte ritenute immorali o contrarie al buon costume. Il fenomeno riguarda tutte le donne ed è tanto più evidente quanto più basso è il livello culturale dell'aggressore e dell'aggredita, ma esistono alcune categorie già di per sé fragili e poste ai margini, come le spogliarelliste, le prostitute e le ragazze madri prive di istruzione provenienti da zone di campagna, che sono particolarmente colpite e sempre più oggetto di discriminazione.

Il maschio messicano, soprattutto quello del “rancho" e dei paesini più poveri ed isolati, deve essere virile. Puro y duro. L’essere uomini si dimostra disprezzando le donne, squalificandole, tentando di dimostrarne l’inadeguatezza in ogni campo e considerandole esclusivamente un oggetto sessuale e lavorativo di cui si può disporre e poi disfarsi a proprio piacimento. Le donne in Messico, soprattutto nelle aree rurali isolate, si possono maltrattare e malmenare brutalmente, calpestare e violentare. Anche torturare, seviziare ed uccidere, senza che nessuno alzi un dito in loro difesa ed avendo la certezza quasi assoluta dell'impunità.

Secondo un rapporto di Amnesty International, in tutto il paese nel 2020 sono state assassinate 3723 donne e 940 di questi crimini sono classificati come “femminicidi”, ovvero omicidi di genere, derivanti da situazioni in cui l'uccisione rappresenta l'esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine. Dunque quasi 3 donne, spesso poco più che ragazzine, al giorno. Una violenza sulla donna in quanto donna, il più delle volte enormemente amplificata dall'eccessivo consumo di alcool, altra grande piaga del Messico. In ogni caso, i numeri forniti sono probabilmente ampiamente sottostimati: avere dei dati precisi sulle vittime è molto complesso, perché molte di loro risultano ancora disperse, molte non sono neppure registrate all'anagrafe e la polizia messicana non collabora quasi mai efficientemente nelle indagini.

Spesso le violenze riguardano ragazzine di 13-14 anni o poco più, che provengono dai paesini dimenticati da Dio e vanno a lavorare nelle case dei ricchi o nelle fabbriche delle città a 4 soldi. Sono poverelle ed analfabete e devono mandare avanti le loro famiglie. Il più delle volte hanno già figli e sono senza marito o compagno che le mantiene, perché vengono messe incinte in tenera età ed abbandonate successivamente a se stesse. Conosco personalmente "muchachas", ovvero donne delle pulizie che vivono h24 nelle case dei ricchi, che hanno 2 o 3 figli piccoli tutti da padre ignoto. Questo è praticamente la norma: quasi tutte le "muchachas" sono "solteras y con hijos". Le prime volte che andavo in Messico dopo aver conosciuto Gaby, rimanevo scioccato quando entravo nelle case della borghesia locale e vedevo la "serva" che preparava il pasto ma non si sedeva a tavola con noi. Quando chiedevo a lei di unirsi alla compagnia facendole spazio con una sedia, sembrava che dicessi una bestemmia. Non lo farebbero mai, né dall'altra parte ci sarà mai la proposta: la separazione in classi sociali, nel contesto ultra capitalista ed altamente diseguale del Messico, è evidentissima. Come in pochi altri stati del mondo.

Le “muchachas” hanno sempre lo sguardo basso, atteggiamento di paura, rispetto assoluto e totale sottomissione ai "padroni". Per loro, un angolino ed una stanzina minuscola dove vivere con il proprio figlioletto perennemente col naso sporco. L'ingiusto sistema non gli ha dato le stesse possibilità ed opportunità riservate ai rampolli di famiglia: loro non hanno potuto studiare, viaggiare, conoscere. Sono figlie di un Dio minore. Hanno visto solo sofferenza, e poco più che bambine, anziché studiare o giocare, magari pure vittime di un abuso sessuale, sono state costrette a spaccarsi la schiena per sfamare i loro bebè, a pulire le macchine gigantesche dei padroni una volta al giorno anche se queste brillano nei garage e non sono ancora state utilizzate. Perché la macchina sempre luccicante è un po' l'ossessione della borghesia messicana, cosiccome quella dei cuscini nei letti, in numero irragionevolmente alto (del tipo un letto matrimoniale, 10 cuscini di dimensioni diverse) o degli asciugamani, da lavare dopo ogni utilizzo. E per quei quattro soldi che guadagnano, se sono capitate nel contesto sbagliato, sopportano tutto in silenzio, molestie, abusi, umiliazioni e violenze, ritenendosi magari pure fortunate a poter lavorare. Ovviamente esistono famiglie dove sono trattate molto bene, meglio pagate ed accudite. Ma la sostanza non cambia: rimangono comunque persone di serie B.

La città messicana che detiene il triste primato di femminicidi è la famigerata Ciudad Juarez, in assoluto uno dei luoghi più pericolosi del mondo, un enorme ricettacolo di puttane di strada, spacciatori e narcos, gang e organizzazioni criminali, disperati e disperate in cerca di lavoro, un inferno di frontiera sul Rio Grande, proprio di fronte alla città texana di El Paso con la quale forma un'unica grande area metropolitana. Paradossalmente, se Ciudad Juarez è uno dei luoghi più pericolosi del mondo soprattutto a causa del narcotraffico, El Paso, pochi metri al di là del "muro fronterizo" si classifica stabilmente tra le 3 città più sicure d'America. Incredibile ma vero.

Sono due principalmente i motivi per cui in questo luogo esplode in modo drammatico la violenza di genere: quest'ultima infatti è strettamente legata e relazionata al fenomeno del narcotraffico ed alla sua cultura estremamente violenta e maschilista, come dimostrano anche i paesi di Honduras ed El Salvador. Inoltre nelle fabbriche di frontiera lavorano quasi esclusivamente donne. A Ciudad Juarez infatti, al di là del muro le fabbriche si estendono a perdita d'occhio: sono le famose "maquiladoras", stabilimenti industriali di produzione, trasformazione o assemblaggio di apparecchiature elettroniche, abbigliamento, ricambi auto, manufatturiero e quant'altro, che le imprese statunitensi hanno istallato al confine col duplice scopo di sfruttare il basso costo del lavoro messicano ed i vantaggi fiscali. Si chiama delocalizzazione della produzione: se le imprese occidentali, in nome del dio (con la d volutamente minuscola) libero mercato, licenziano e trasferiscono le attività nei paesi dell'Est o del Sud-Est Asiatico, quelle degli Stati Uniti, che ha imposto nel 1994 ai paesi confinanti il NAFTA ( Accordo Nordamericano per il Libero Scambio), vanno in Messico. E non si accontentano di sfruttare all'inverosimile e senza regole la manodopera "barata" locale non sindacalizzata. Non gli basta. Al capitalismo non basta mai. Gli imprenditori delle "maquiladoras" preferiscono ai vigorosi e "machi" maschi locali, di gran lunga le giovani donne, possibilmente disperate e migranti, che sono più docili e facilmente ricattabili, maggiormente disponibili ad occupazioni informali, con meno richieste salariali ed esigenze praticamente nulle di tutela e diritti del lavoro. Chi è disperato, logicamente lavora per meno. Sono le schiave dei tempi moderni, le “soldatesse” dell'esercito industriale di riserva di cui parlava Karl Marx. Ed in un'area devastata dal narcotraffico, dove già la cultura machista è fortissima ed il tasso di disoccupazione maschile è molto alto, le tensioni sociali uomo-donna sono inevitabili ed esplodono con ondate di intolleranza nei confronti delle lavoratrici delle "maquiladoras", le quali costituiscono per l'appunto la gran parte delle vittime di femminicidio a Ciudad Juarez.

Inutile sperare nell'aiuto della polizia, la quale è totalmente collusa col narcotraffico. In Messico, ve lo garantisco, nessuno si affida allo Stato per chiedere giustizia, perché lo stato è sempre assente, corrotto e spesso complice dei crimini denunciati. Le forze dell’ordine, anziché perseguire i carnefici, tentano quasi sempre di insabbiare e ridurre l’entità della vicenda, magari addirittura giustificandola in qualche modo, non esaminando in modo corretto la scena del delitto, non conservando o mettendo in sicurezza le prove del reato, non svolgendo analisi forensi o registrando eventuali testimonianze. Spesso, invitano "cordialmente" a desistere dalla denuncia perché l'assassino è un "intoccabile".

La polizia in Messico è estremamente pericolosa, quasi sempre legata ai cartelli della droga ed è molto meglio starne alla larga, cercando di risolvere in altri modi. E così l'impunità riservata ai delinquenti è praticamente totale. Diana "la cacciatrice" permettendo. Perché se a Ciudad Juarez i poliziotti non fanno il loro dovere, ci pensa lei, andando in giro per la città ad ammazzare gli assassini, spesso autisti degli autobus, i quali approfittano delle ragazze che la notte rientrano stanche e non accompagnate a casa dal lavoro. Dopo aver fatto il suo dovere, Diana lascia sempre un bigliettino accanto al cadavere: «Se il governo non è in grado di fermare chi violenta, uccide e massacra le donne di questa città, allora ci penso io».

Di fatto, dunque, la stampa locale rimane l'unica arma in mano ai familiari delle vittime che chiedono verità. Ma svolgere indagini in Messico è estremamente pericoloso: se si toccano temi "caldi" e persone "mammasantissima", la morte, spesso scenografica, brutale ed "esemplare", è praticamente certa: ci sono molte zone del Paese rimaste di fatto senza giornali e quasi senza giornalisti. I pochi che scrivono, per sicurezza non si firmano nemmeno più e la maggior parte dei media ha totalmente rinunciato a raccontare cosa accade.

In questo scenario disastroso, un'istituzione governativa come l'IMUG dove lavora Gaby è oro puro. Le psicologhe del centro come lei non fanno giustizia, non possono farla. Ma ascoltano, guidano, piangono insieme alle donne vittime della violenza curando le profonde ferite dell'anima, spingono alla denuncia a prescindere, e diffondono, tramite convegni e conferenze aperte soprattutto alle classi sociali più svantaggiate, una cultura anti-machista di legalità, rispetto della persona e prevenzione della violenza di genere. Perché al solito, prevenire è sempre meglio che curare.

Gaby ed il lavoro all'IMUG, tra matrimonio e bebè in arrivo

Gaby girava molto in auto per tutti i municipi dello stato, soprattutto nelle zone più remote e rurali, le più interessate al problema della violenza di genere. A volte sola, a volte aveva Ruben, un autista dedicato, oppure una collega a fianco. Partivano spesso in due con una “camioneta” governativa bianca mezza scassata senza ammortizzatori e stavano fuori gran parte della giornata raccogliendo testimonianze e facendo formazione, a volte anche con spettacoli teatrali improvvisati.

Gaby impegnata in un incontro di educazione e formazione a Dolores Hidalgo

Una delle maggiori difficoltà del suo lavoro era costituita dal fatto che molte donne dei villaggi erano totalmente analfabete, motivo per il quale negli incontri con la popolazione indigena poteva far un uso limitato di presentazioni in PowerPoint, strumenti informatici, testi e documenti scritti. Non poteva neppure consigliare letture o approfondimenti.

Incontro con le indigene, purtroppo analfabete di Mineral de Cata

Le montagne brulle intorno a Guanajuato in zona Mineral de Cata

Difficilissimo davvero intervenire in un contesto caratterizzato da bassa cultura e credenze popolari tradizionaliste e patriarcali che tendono a sminuire la donna relegandola ad un ruolo di quasi “bestia riproduttiva”, che deve esclusivamente far figli, sfamare la famiglia e lavorare. Mentre il marito magari si ubriaca tutto il giorno, la tradisce ripetutamente perché deve dimostrare di esser macho, dilapida i pochi soldi disponibili che potrebbe mettere a disposizione dei figli, ritorna a casa e la picchia selvaggiamente. Ecco, tutto ciò in Messico è assolutamente normale, culturalmente molto accettato ed anche giustificato.

Dopo l'inaspettata notizia dell'arrivo di Leonardo in questo mondo, ben narrata nella parte finale del post “Storia della mia vita”, lasciai il lavoro a Roma ed andai da Gabriela in Messico per un po' di tempo, accompagnandola nel lavoro. E' così che ho girato praticamente tutto lo stato di Guanajuato. Partivamo la mattina presto da Leòn, fermandoci quasi sempre al solito OXXO lungo la strada per un caffè di vaniglia, per un italiano sostanzialmente una brodaglia di mezzo litro di caffè molto annacquato, bollente e quasi ustionante, in un grosso bicchierone di carta portatile. E via, sparati all'IMUG, che raggiungevamo con mezzora di autopista fiancheggiando l'aeroporto internazionale del Bajio. Guidavo sotto gli incredibili e terrificanti tunnel di Guanajuato praticamente a memoria e dell'incantevole cittadina coloniale messicana, tutta patrimonio dell'umanità UNESCO, conoscevo ogni pietra.

L'IMUG si trovava nella zona alta di Guanajuato, vicino alla “Presa de la Olla” dove sta un bel laghetto immerso nel verde, in un vecchio e sgarrupato edificio coloniale, catalogato e protetto come tutti gli altri, nel callejon “El Infierno”. Un nome un programma... Ed infatti le lugubri leggende su quella viuzza si sprecavano... Si narrava che il palazzo dell'IMUG fosse infestato di fantasmi. Ed effettivamente, sembrava un po' la casa della famiglia Addams. La notte si riempiva di pipistrelli che entravano non si sa da dove, e dentro, a volte ma non sempre (un mistero di cui si parlava spesso...), ci pioveva anche, tanto che i dipendenti del centro quando questo succedeva, dovevano mettersi addosso dei sacchi neri dell'immondizia per proteggersi mentre lavoravano. Entravo nel palazzo governativo e venivo accolto dalle colleghe di Gaby, soprattutto dalle dolcissime Caro e Lulù, manco fossi il papa.

L'IMUG (Instituto de la Mujer Guanajuatense) al Callejòn El Infierno di Guanajuato dove Gaby lavorava

Due scartoffie da compilare, una mezzoretta di lavoro al computer, brevi riunioni con i colleghi e via, si partiva per conferenze verso i paesini più sperduti, attraversando panorami desertici con distese infinite di sassi e cactus. Perennemente in ritardo. Perennemente di corsa.

Promozione turistica dei paesini dello stato di Guanajuato nello splendido teatro Benito Juarez del centro storico di Guanajuato

Le coloratissime viuzze di Guanajuato

La sera alle 5 la giornata finiva e ci godevamo finalmente la gemma luminosissima di Guanajuato, in giro per i vicoletti passando di meraviglia in meraviglia o in qualche chioschetto o ristorantino del centro, allo zocalo di fronte allo splendido teatro Juarez godendo dell'umanità in transito ed assistendo magari ad una “callejoneada”, o sorseggiando una bella “michelada” gelida. Gaby ne andava matta: è una tipicissima bevanda messicana, essenzialmente una birra con ghiaccio, limone, salse e Clamato, una specie di succo di pomodoro, vongole e spezie varie. Vi assicuro che è buonissima!

Finalmente una michelada gelata a fine lavoro!

Gaby in una delle tante conferenze di sensibilizzazione sulla violenza alle donne dopo l'incidente in auto

Una volta Gaby, in macchina con una sua collega, fece un incidente. Non per colpa sua, anche se in macchina era decisamente spericolata: quando era sola andava sempre a 300 all'ora perché perennemente in ritardo con la tabella di marcia e divorata di impegni ed incontri. Non sapeva di esser incinta; io ancora lavoravo a Roma e non mi ero trasferito in Messico. Al colpo della strega con relativo collare da portare per un po', seguirono anche radiografie alla colonna vertebrale in un'ospedale pubblico convenzionato col governo, con il dottore che invece di far bene le lastre, gli guardava il culo, dicendogli che gli ricordava la sua ex... e così non so se per rivederla di nuovo o quant'altro, gli fece ripetere l'esame diagnostico: raggi X al bacino per ben due volte.

Pazzesco. Il nostro cucciolotto era lì e noi non lo sapevamo. Avevamo sottoposto il feto ad un bombardamento di radiazioni proprio nei mesi più delicati dello sviluppo cellulare. Siamo stati in ansia parecchio tempo ed affidammo tutta la gravidanza a Ramòn e Wendy, una coppia di medici ginecologi, entrambi davvero in gamba e specializzati in parti ad alto rischio, che diventeranno ben presto cari amici. Un solo problema con Ramòn: nel caso di cesareo, era imperativo programmare la nascita del bambino in un giorno feriale e quando uscivamo insieme la sera, tra una birra e l'altra, scherzavamo sempre su questo. Perché? Semplicemente perché durante il fine settimana si sbronzava come un asino, da “verdadero mexicano”.

Con Ramòn e Wendy subito dopo la nascita di Leonardo

Fortunatamente la gravidanza non ebbe intoppi e Leonardo nasce, sano come un pesce e bello come il sole, il 21 agosto 2008 a Leòn, in un giorno dove sembrava stesse cadendo il cielo per quanto pioveva. Cesareo purtroppo, a causa di alcune complicazioni, rigorosamente programmato da me in un giorno feriale lavorativo. Ramòn, in gran forma, mi darà Leonardo in braccio e mi dirà: «Felicidades Stefano! Esto es un compromiso para toda la vida...». Taglio il cordone ombelicale con i lacrimoni sul viso e do il benvenuto al mio leoncino Simba nel pianeta Terra.

Leonardo appena nato, solo pochi minuti di vita

Un compromiso para toda la vida...

Gaby continuò a lavorare all'IMUG per un po' di tempo, amata e benvoluta da tutti nel centro. Ma paradossalmente il pregiudizio e l'ignoranza colpirono anche lei. Il Messico è un paese ultra cattolico ed incredibilmente bigotto. E la direttrice dell'Istituto, tal Luz Maria era la persona più perbenista, moralista, bacchettona e puritana di questa terra. Teneva all'apparenza ed all'immagine del centro più dei suoi figli. Come poteva Gaby continuare a lavorare nel governo essendo incinta e non sposata? Eresia!!! Che immagine avrebbe dato l'IMUG alla stampa locale e nazionale? Fatto sta, che quando lo scoprì, iniziò a fargli un po' di mobbing, privandola delle migliori conferenze, non mandandola davanti ai giornalisti a parlare o relegandola a ruoli minori.

Fino al 5 maggio 2008, quando ci sposammo in comune alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto. Matrimonio “organizzato” (si fa per dire...) a tempo di record, in meno di una settimana, una cinquantina di invitati soltanto, e con inviti fatti pure via mail. Un'unica mail con destinatari multipli. Massimo risultato col minimo sforzo. Non c'era neppure musica ed animazione, e neppure il fotografo: le poche foto che ho, sono state racimolate un po' qua un po' là (si vede, lo so...), fatte (male) da amici e parenti. In fretta ed in furia preparai dei libricini che raccontavano la nostra breve ma intensa storia, visto che, a parte Giampaolo e Marzio, Gaby non la conosceva quasi nessuno, e ne posizionai uno a tavolo.

Il ristorante? Chalet Da Federico, vicinissimo alla Palazzina Azzurra sul bellissimo lungomare di San Benedetto del Tronto, prenotato ovviamente solo 3 giorni prima. Mi raccomando però, non ci andate: il proprietario del ristorante e la sua cricca di amichetti, appartiene alla categoria di persone che commissiona lavori e poi non paga, fregando le aziende e le persone che lavorano, confidando in una giustizia lenta e farraginosa.

Aspetto con ansia una sua querela per dimostrare quanto scritto, pubblicando in questo blog, fatture non pagate ed ingiunzione di pagamento in corso da diversi anni. Caro Federico, non ti arrabbiare e ritieniti anche fortunato: vivi in Italia dove un decreto ingiuntivo dura 10 anni e viene ampiamente tutelato sempre il delinquente e mai l'eventuale creditore... e poi se stavi a Ciudad Juarez, magari eri entrato nel mirino di Diana “la cacciatrice”...

Gaby rimase in Italia solo una settimana. Ripartì immediatamente per lavoro in Messico. Ma talmente era bacchettona Luz Maria che manco quel certificato di matrimonio gli andava bene, non essendoci sposati in chiesa! I rapporti con la direttrice si incrinarono sempre di più, anche se ora, con la fede al dito, Gaby poté riavere il ruolo di Jefa de Unidad che aveva in precedenza, tornando a fare consulenze, formazione nelle scuole, incontri e convegni.

Dopo un po' raggiunsi anche io Gaby. Avevamo deciso di tornare a vivere in Italia a San Benedetto del Tronto, per una famiglia un posto ben più vivibile, sano e sicuro rispetto al caos di Roma, oppure anche di Leòn in Messico. Avrei abbandonato la ricerca nel pubblico per abbracciare il privato dell'impresa. Così sistemai le mie questioni lavorative e personali, arredai un appartamentino vicino al bel lungomare di SBT, e volai in Messico. Il tutto con l'incognita del futuro, perché Leonardo era in arrivo, io avevo già lasciato, un po' a malincuore, il lavoro a Roma e stavo rinunciando anche al dottorato di ricerca in “Scienza e gestione dei cambiamenti climatici” a Venezia, che avrei dovuto cominciare a settembre 2008.

Ma anche Gaby doveva decidere cosa fare... insomma, a 30 anni eravamo entrambi ad un grosso bivio della nostra vita. Carriere già ben avviate e si molla tutto per ricominciare da capo. Pazzi? O coraggiosi?

Pensieri a parte, mi godevo alla grande il Messico. Io quando sono in viaggio sono sempre felice. Forse mi sento realmente me stesso solo in viaggio. Non so se è bello o brutto dirlo, ma credo sia davvero così. Perennemente in cerca di qualcosa che mi sfugge sempre, ma quando giro per il pianeta Terra placando la mia sete di conoscenza, quando scalo vette innevate o mi immergo negli abissi al buio ed al gelo in qualche relitto, io sto benissimo. Felice e realizzato. E difatti penso davvero che prima o poi mollerò tutto, anche la casa, e vivrò nel mondo intero con un campervan 4x4. Da nullatenente, solo un camper 4x4 con cui andare dovunque. Il sogno è un Mercedes Storyteller. Col pianoforte dentro. E la racchetta da tennis. E tanti libri. Ed attrezzatura alpinistica e subacquea. E sci...

Mhmh... mi sa che devo tagliare qualcosa sennò anziché un Iveco o un Mercedes 4x4 mi servirà un'astronave... In ogni caso la progettazione del mezzo ideale è già cominciata, perché con la vicenda Covid, urge un piano B. Quando impazzirò totalmente, vi avvertirò. Se continueranno a fracassarmi i coglioni, a me ed alla mia famiglia, con questi sieri genici sperimentali perfettamente inutili, dannosi ed anche letali, impedendoci di vivere e continuando a discriminare e denigrare liberi pensatori come noi, credo che questo istante arriverà molto presto. Saluterò il pecorume della maggior parte del popolo italiano che ha permesso ed avallato tutti questi orrori costituzionali senza dire in due anni una sola parola, ed andrò via, rimpiangendolo davvero molto poco. Via, verso l'infinito ed oltre.

Dolores Hidalgo e San Miguel de Allende

Mentre Gaby lavorava e cercava di consolare le donne malmenate o violentate, io da neo disoccupato scorrazzavo in lungo ed in largo, conoscevo gente, facevo incontri. Miglioravo il mio spagnolo e formavo ogni giorno di più, un tassello alla volta, un pezzo del puzzle alla volta, il mio pensiero socialista, anticapitalista ed antimperialista. Poco a poco, tutto andava incredibilmente al suo posto e la comprensione delle vicende del mondo, prima assai confusa, disorganizzata e caotica, ora appariva sempre più nitida, incredibilmente nitida e lineare con semplicissimi rapporti di causa-effetto. Il mondo era facilissimo da capire: bastava dividerlo in sfruttati (tanti) e sfruttatori (pochi). Tutti i problemi del pianeta Terra sono banalmente una diretta conseguenza di tale rapporto di forze. Come scritto nel mural di Diego Rivera nel Palacio Nacional dello zocalo di Città del Messico, «Toda la historia de la sociedad humana hasta el dia, es una historia de lucha de clases». E più capivo, più continuavo a studiare, mettendo da parte la scienza e la fisica per abbracciare l'economia. Giravo e studiavo. Studiavo e giravo. Da neo disoccupato.

Oltre ai centri più importanti come Guanajuato, San Miguel de Allende e Dolores Hidalgo, visitavo anche paesini sconosciuti e sperduti, a volte poco più che villaggi. Comonfort, Celaya, San Francisco del Rincon, Mineral de Cata, San Diego de la Reunion, Penjamo, Salvatierra, Ocampo, Purisima, Romita, Yuriria, Jalpa de Canovas... Una delle cose che ho apprezzato di più dello girare con Gaby per tutto lo stato di Guanajuato, era la visita in totale solitudine, ai "pueblos fantasmas", alcuni davvero romantici e sconosciuti come ad esempio Mineral de Pozos, vicino San Luiz de la Paz, dove spesso l'IMUG teneva conferenze. Una specie di Real de Catorce dei poveri, una chicca assoluta. Un vero tuffo nel tempo tra miniere abbandonate, silenziosi edifici decadenti non più abitati, incontri inaspettati e paesaggi desertici da percorrere rigorosamente a cavallo.

Le miniere abbandonate di Mineral de Pozos

Il giorno più importante per l'IMUG, come d'altronde per ogni ente o istituto governativo messicano, è il 15 settembre. Nello stato di Guanajuato, si trova la cittadina storicamente più importante del Messico, Dolores Hidalgo, la "cuna de la indipendencia". Gaby ci andava spesso per lavoro ed io con lei ad accompagnarla. Non è particolarmente affascinante per la verità, anche se ha alcune haciendas a dir poco fantasmagoriche, dove ho avuto anche il piacere di pernottare e cenare: se si escludono lo zocalo, le vie limitrofe ed i bei murales di Diego Rivera nel palazzo del municipio, c'è poco da vedere e da fare, soprattutto se il confronto viene fatto con la turistica San Miguel o peggio, con l'abbagliante capitale dello stato. Fu qui che domenica 15 settembre 1810, il prete Miguel Hidalgo, conosciuto oggi come Padre della Patria, diede inizio all'indipendenza messicana invitando alla ribellione il popolo, pronunciando il famoso "Grito de Dolores" Viva Mexico! Da allora, ogni 15 settembre tutto il paese celebra il giorno dell'indipendenza e nelle piazze risuona il triplice grito, urlato al cielo anche dallo stesso Presidente della Repubblica.

Nel 1810, la cittadina era poco più che un villaggio e contava solo un manipolo di indigeni, ma Hidalgo ed Allende, percorrendo le campagne, riuscirono a riunire un esercito di 20.000 uomini. Entrarono il 28 settembre a Guanajuato e riuscirono ad espugnare la famosa "Alhóndiga de Granaditas". Con una truppa disorganizzata di quasi 80.000 uomini, Hidalgo decise di prendere a sorpresa Città del Messico ma poi, contro il parere del generale Ignacio Allende, scelse invece di marciare su Queretaro, città tra Leòn e Mexico City dove è nata Gaby. Da lì in poi fu un'escalation di sconfitte e crimini di guerra, fino alla cattura di tutti i leader rivoluzionari, alla scomunica, alla tortura ed alla loro fucilazione nel 1811 da parte del "santo" Impero Spagnolo. La testa di Hidalgo, insieme a quella dei suoi compagni Ignacio Allende, Juan Aldama e Jiménez fu esposta in una gabbia di ferro ad uno dei quattro angoli della Alhóndiga de Granaditas di Guanajuato, e lasciata lì in putrefazione fino al 1821 come monito a tutti gli aspiranti rivoluzionari.

Gaby a Dolores Hidalgo il 15 settembre 2007

Sindaci e presidenti della Repubblica cominciano praticamente ad agosto a fare gargarismi per urlare al cielo il 15 settembre, il più forte possibile Viva Mexico! per 3 volte consecutive. Anche l'IMUG cominciava i preparativi alla festa d'indipendenza praticamente un mese prima. Nel 2007 Gaby era la responsabile e venne addirittura il Presidente del Messico in persona (o meglio, il fantoccio USA in persona) Felipe Calderòn ad effettuare il triplice "Grito de Dolores" di Hidalgo.

Anche i bebè di un mese festeggiano il giorno dell'indipendenza... Leonardo il 15 settembre 2008

Nel 2008 vestimmo a festa anche Leonardo, che non aveva nemmeno un mese. Sicuramente da italo-messicano, Leo non avrà crisi d'identità con i colori delle bandiere nazionali, in quanto sono assolutamente identici ed anche con lo stesso ordine: la bandiera messicana differisce da quella italiana solo nella parte centrale bianca per la presenza di un'aquila che divora un serpente.

La cattedrale di San Michele Arcangelo nel centro storico di San Miguel de Allende

Gaby era spesso anche nella zona di San Miguel de Allende, una pittoresca e molto turistica cittadina coloniale, fotograficamente bellissima, anch'essa come Guanajuato patrimonio UNESCO dell'umanità ed uno dei "pueblos magicos" del Messico. E' frequentata soprattutto da americani e canadesi anziani che vanno a svernare lì godendosi la pensione, il che ha fatto inevitabilmente lievitare i prezzi riducendo al tempo stesso l'autenticità autoctona del posto. La bellezza coloniale in ogni caso è rimasta invariata ed i suoi cromatismi regalano scorci indimenticabili, secondi solo a quelli della "più bella del reame". Strade lastricate di sampietrini, fiancheggiate da coloratissime case, gallerie d'arte e negozi d'antiquariato ed artigianato locale, ristorantini, bar e caffè...

La movimentatissima e vibrante vita notturna di San Miguel si concentra nei dintorni della piazza centrale, un'area verde con caratteristici e curatissimi alberi dalla chioma perfettamente toroidale, dalla quale si diramano viuzze lastricate piene di "antros", pub e localini notturni. La scena è dominata dall'incredibile chiesa di San Michele Arcangelo, simbolo indiscusso della città, un particolarissimo edificio rosa neogotico con guglie puntutissime slanciate verso l'alto che rimanda ad alcune realizzazioni di Gaudì. Lo spettacolo è impressionante: lo è di giorno, quando se ne apprezza lo stranissimo colore, dovuto al tufo rosa impiegato per la sua costruzione (estratto dal vicino vulcano), ed anche di notte quando è splendidamente e magicamente illuminata.

I messicani stravedono per San Miguel, addirittura più rispetto a Guanajuato e non ho mai capito perché. Anzi sì: i messicani stravedono in generale per tutto ciò che piace agli americani. Soffrono un po' di "gringofilia", indice di chiaro senso di inferiorità e tendenza all'emulazione, dalle macchine e dai centri commerciali giganteschi alla cultura dello spreco e del consumo sfrenato di cibo spazzatura e farmaci. Spesso nei discorsi a tavola c'è un'accesa disputa su quale delle due sia la cittadina coloniale più bella dello stato.

E per me, non c'è storia. Guanajuato è sicuramente più messicana, più bohemien ed autentica. Lì c'è l'università, ci sono i giovani messicani, non i ricconi americani e canadesi che vanno a svernare. Guanajuato è più giovane, più sbarazzina. Più colorata. Enormemente più varia. San Miguel è bellissima ma quasi finta. Guanajuato invece abbaglia e sconvolge. E' puro stupore e meraviglia. E' lei la più bella del reame, la più bella cittadina dell'intero continente americano, il luogo dove ogni istante ed ogni angolo diventano eterna magia e poesia.

Viva gli sposi!

Non potevo dunque che sposarmi a Guanajuato, stavolta in chiesa: Gaby, molto cattolica, ci teneva molto. Ed anche il padre, che con la doppietta mi aveva sempre ben a tiro. Sarà stata molto felice anche Luz Maria, la quale però, stranamente non fu invitata alla festa, al contrario delle meravigliose Caro e Lulù. Cerimonia nel Templo Hospital de Marfil e fiesta successiva a tutta tequila alla Casa Colorada, una bellissima hacienda sopra al Pipila, dove si gode di una vista fantasmagorica di tutta la città.

Grande donna, Gaby. Oggettivamente ha rinunciato a tutto per seguirmi. Una carriera già avviata, un lavoro che amava nel quale ho avuto l'onore di accompagnarla per un po' di tempo... non era facile mollare tutto per andar in un altro paese sconosciuto, con stile di vita, usanze e tradizioni totalmente diverse, nell'incognita più totale affettiva e lavorativa... Sì ci vuole coraggio. Ma come dico sempre, si nasce leoni o pecore. Difficilmente si diventa l'uno o l'altro. Ci si nasce. Gaby è nata leonessa. Ed i geni inevitabilmente si tramandano.

Gaby, bellissima il giorno del matrimonio, l'8 novembre 2008 a Guanajuato

Va bbeh. Com'è finita la storia? Sì lo so... quando comincio a scrivere il tempo vola e mi dilungo. In breve, è finita come doveva finire, con due marmocchi a San Benedetto del Tronto. Al leoncino Simba si aggiungerà 15 mesi dopo la “patatina di babbo” Maya: nasce a Leòn, il 27 novembre 2009, nella stessa clinica Medica Campestre del fratellino.

Nasce Maya!

Secundo compromiso para toda la vida!

Maya è pura luce, una forza della natura, un vulcano in eruzione. Ora nel momento in cui scrivo, con una piccola difficoltà, che spero supererà presto, perché lei come Leonardo, appartiene alla categoria di persone che non sono di questa terra ma hanno una marcia in più. E poi è leonessa anche lei: si chiamano così tutte le donne di Leòn.

E così la famiglia è al gran completo, cane a parte che però arriverà a brevissimo: non sono ancora in grado di fornire il nome, perché questo tuttora è oggetto di accese discussioni... io tifo per Fidel o Novak (per motivi penso non difficilissimi da capire), Leonardo per Simba, Maya per Rio e Gaby per Taco. Ancora oggi nel momento in cui scrivo, marzo 2022, l'accordo è lontanissimo, più lontano di quello tra Putin e Zelensky.

Viviamo nella splendida San Benedetto del Tronto, in uno stato chiamato Draghistan, e continueremo a vivere qui, per lo meno fin quando ce lo permetteranno. Poi eventualmente faremo le valigie e chissà... migreremo verso nuovi lidi, tanto noi siamo cittadini del mondo. E siamo felici lo stesso, anche se qualcuno vuole a tutti i costi rovinare la nostra bella e serena esistenza, impedendoci di vivere, lavorare e fare sport, pretendendo in nome di una “presunta pubblica sicurezza” di violentare il nostro corpo sovrano con un siero magico ed imponendoci un QR code per continuare ad avere diritti e libertà. Bene, visto che tanto li amano e tanto li osannano, se li ficcassero nel culo il siero magico a base di proteina Spike ed il green pass fascista, i membri del governo e pure tutti i fedeli sudditi covidioti del Draghistan, pronti a mandarci al rogo sulla base della propaganda di regime.

Ogni tanto Gaby torna a Leòn insieme ai bambini a riabbracciare i genitori, i parenti e gli amici. Spesso accade a giugno alla fine della scuola, oppure durante le vacanze natalizie. A volte, ma non sempre, vado anche io: partiamo insieme, oppure li raggiungo appena posso.

Leòn

A proposito di Leòn: doveroso parlare un minimo, lo strettissimo indispensabile, poche righe perché di più non ce la faccio proprio e non mi escono le parole, del luogo tanto caro a Gaby, dove ha vissuto ed è cresciuta, dove ha la famiglia e tutte le amicizie più importanti. Ma a me non piace per niente: Leòn è una città industriale piuttosto brutta, caotica, inquinata e trafficatissima, un mostro in continua espansione geografica e demografica, dalla viabilità impossibile da capire e da sopportare. E' la quarta città del Messico per numero d'abitanti, dopo la capitale Ciudad de Mexico, Guadalajara e Monterrey, nonché centro calzaturiero più importante d'America con ben 25 milioni di paia di scarpe esportate annualmente nel mondo. Tutti o quasi lavorano praticamente in questo settore e nel suo indotto, che non teme crisi, nemmeno della concorrenza del dragone cinese. Anche Pepe ci lavora, il fratello di Gaby, che sta alla sua famiglia come praticamente io sto alla mia, nel senso che è l'eretico ideologico della compagnia, quello che come me, quando apre bocca nelle riunioni o nelle cene, fa inorridire tutti, tanto è distante la nostra visione del mondo dal pensiero unico universalmente accettato imposto dai mass media. In Italia definirebbero Pepe un complottista, un sovranista, un terrapiattista, un novax, un filorusso, un antiscientifico e bla bla bla. Io lo stimo, pur nella diversità di molte nostre posizioni; ricordo sempre una sua frase che faccio totalmente anche mia: «Estoy listo a morir para mis ideas y mis principios». Chepeau.

Simpaticissimo anche il mio compare Lalo, compagno di indicibili sbronze: dopo una serata con lui, mi servono sempre 3 giorni di recupero. Meno male che in Messico c'è il menudo, un piatto molto piccante di zuppa di trippa (anche di pesce), cipolla, salsa di pomodoro, avocado, coriandolo e spezie varie, che per il dopo sbornia, non ci crederete ma è davvero miracoloso.

Io e Gaby con suo fratello Pepe

Con i genitori di Gaby, Maru e Roèl a Natale 2020: l'Italia chiude per Covid e noi scappiamo in Messico!

Gaby in Messico con le sue care storiche amiche... prima c'erano le uscite a San Miguel e Guanajuato, ora le festicciole con i marmocchi...

Un ottimo menudo piccantissimo è il rimedio migliore in Messico per il post-sbornia!

L'avrete capito: quella che trascorro a Leòn è sempre una settimana di fuoco, piacevole ed intensissima, tra cene, partite allo stadio, uscite al pub con gli amici di Gaby, vecchi incontri, match di tennis ed inviti in club di golf come il Campestre, con un livello di lusso nemmeno minimamente immaginabile da noi e che sarà oggetto di un post a parte (“Dal Campestre a San Juan de Abajo”).

Gaby passa inevitabilmente molto tempo con le sue amiche che non vede da tempo. Ed anche con sua sorella Maqui, alla quale è legatissima.

Vedere Gaby e Maqui insieme è puro spettacolo: è praticamente impossibile interromperle, tanto sono assorte in interminabili chiacchiere. Puoi dirgli qualsiasi cosa e non ti ascoltano. Ti fanno cenno di sì con la testa e continuano a parlare, 200.000 parole al secondo a velocità supersonica. Ed io strategicamente, approfitto sempre di questi momenti per accennare frasi del tipo: «Gaby domani parto per l'Amazzonia»... o cose del genere. Così ha più tempo per digerire la cosa e quando comincia ad incazzarsi, io già sono sopra l'aereo.

Famiglia Cipolloni al parco metropolitano di Leòn

Per rigenerarmi, per riprendermi dalle bevute con amici, parenti, conoscenti, compari veri ed improvvisati, oppure anche per allenarmi a qualche ascensione andina visto che siamo a 2000 metri d'altitudine, vado a correre al Parco Metropolitano, una grande area verde (o gialla a seconda della stagione...) con un lago artificiale e tante paperelle che scorrazzano qua e là.

Ma Parco Metropolitano a parte, Leòn mi asfissia: per me la città ed il traffico sono difficilmente gestibili. Non sopporto di sprecare due ore del mio tempo ogni giorno dentro una scatoletta di latta. Mi sento stupido. La civiltà, le auto, la tecnologia spinta, i centri commerciali mi intristiscono. Mi intristisce la lontananza dal mare e dalla montagna. La mancanza di bellezza mi spegne. Così resisto al massimo 5-6 giorni e poi scappo via. Lascio moglie (precedentemente avvisata quando era in chiacchiere con Maqui) e figli in buone, anzi ottime mani, e parto verso mete ignote, che programmo sempre all'ultimissimo secondo in base alla disponibilità di tempo e voli aerei.

Devo abbandonare la civiltà e tornare bestia. E così magari me ne vado alle Galapagos, o a scalare qualche vetta, oppure nella giungla del Guatemala, o in qualche reef tropicale del Belize o delle Bahamas. A volte punto in alto e me ne vado sui moai giganti dell'Isola di Pasqua, come feci nel 2011. Quando non posso allontanarmi da Leòn, mi viene in soccorso Roberto di Arte Piano ed il suo negozio di pianoforti acustici, per la verità piuttosto vecchi e malandati. Uno squillo e sono da lui, a sfogare le mani e le dita, integre e non, sui tasti bianchi e neri del re degli strumenti musicali. Le soluzioni ai miei problemi dunque, sono sempre due: viaggi e pianoforte. Come il titolo del blog.

Negozio Arte Piano di Roberto a Leòn

Cascasse il mondo, una tappa è comunque sempre obbligata: Guanajuato. La sua sensualità ti devasta il cervello ed una volta che la vedi, sei fritto. Ed io figuratevi, l'ho vissuta ogni giorno, per mesi, fin dal lontano 2006: immaginatevi quanto posso amarla. Così prendo la macchina ed in mezzoretta di autopista sono da lei, dalla più bella del reame. E mi perdo nei suoi vicoletti, salgo al Pipila, gironzolo senza meta nelle bancarelle del mercado Hidalgo o vado a bermi una michelada in plazuela de San Fernando passando davanti al teatro Juarez salutando i menestrelli col mandolino. Ovunque, faccio il pieno d'immensità e splendore. Ed ogni volta, pur conoscendo ogni pietra dell'incantevole cittadina, l'emozione è sempre la stessa, anzi, sempre maggiore.

Nel 2020, fuggito in Messico dallo psicodelirio di massa tutto e solo italiano del Covid, mi ritrovo per caso davanti al vecchio palazzo governativo dell'IMUG, quello infestato di fantasmi, quello dei pipistrelli e della pioggia che cade dal soffitto a volte sì ed a volte no. L'IMUG però non c'è più: è stato trasferito in un'altra zona, in un centro di nuova costruzione, ben più moderno ed attrezzato. Ora tutto lo sgarrupato edificio è diventato la "Casa de la Presa", un ristorantino chiccoso di arte, gastronomia e design per turisti danarosi. Sicuramente hanno cacciato tutti i fantasmi presenti, hanno messo qualche toppa al tetto per le infiltrazioni d'acqua ed hanno anche trovato il buco da dove la notte entrano i pipistrelli.

Il vecchio IMUG oggi trasformato in un ristorante boutique

Guardo il vecchio edificio dell'IMUG ed i ricordi volano: i paesini sperduti ed i "pueblos fantasmas", le conferenze, Lulù, Caro e la loro fantastica accoglienza, Luz Maria e il suo bigotto moralismo... le donne indigene che piangevano con Gaby con la faccia gonfia di botte e le corse in macchina verso Dolores Hidalgo o San Miguel de Allende. Quanti ricordi. Bei ricordi. Grazie Gaby.
Birra in mano, mi siedo su una panchina in ferro battuto con un venticello che mi accarezza il viso e chiudo gli occhi. Felicità.

Ps. Nella disputa sul nome del cane ha vinto Maya. E chi sennò? Vi presento Rio.

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